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La Cassazione esclude che il professionista attestatore possa rivestire la qualifica di pubblico ufficiale

in Giurisprudenza Penale Web, 2016, 7-8 – ISSN 2499-846X

A cura di Mattia Miglio e Corrado Ferriani

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Cassazione Penale, Sez. V, 8 marzo 2016 (ud. 2 dicembre 2015), n. 9542
Presidente Marasca, Relatore Zaza

Importantissimo approdo della Suprema Corte di Cassazione Penale che esclude che il professionista incaricato di predisporre la relazione ai fini dell’ammissione alla procedura al concordato preventivo possa rivestire, ai fini penalistici, lo status di pubblico ufficiale, e che, di conseguenza, possano essere a lui contestati i delitti di “Falsità ideologica commessa dal pubblico ufficiale in atti pubblici” (art. 479 c.p.) e di “Corruzione in atti giudiziari” (art. 319-ter c.p.), entrambi i quali si qualificano come reati propri e possono essere commessi solo da soggetti attivi che rivestono proprio la qualifica di Pubblici Ufficiali.

Ripercorriamo brevemente la vicenda sottoposta all’attenzione degli Ermellini: a valle del fallimento di una S.r.l., la Procura della Repubblica di Nuoro apre un’indagine nei confronti del management della Società e del professionista incaricato di predisporre la relazione finalizzata al precedente concordato preventivo, rivelatosi, ex post, non solo inutile ma addirittura pernicioso per la stessa sopravvivenza economica della Società.

A causa del dissesto così creatosi, la Procura contesta, tra i vari capi, al professionista attestatore i delitti di cui agli artt. 236-bis l.f., 319-ter c.p. e 479 c.p., chiedendo altresì al GIP l’applicazione di misure cautelare nei confronti dell’indagato.

Il GIP respinge l’istanza del P.M. e tale decisione viene confermata da un’ordinanza del Tribunale di Sassari, avverso la quale la Procura ricorre dinanzi alla Corte di Cassazione, chiedendo l’accertamento della qualifica di “Pubblico Ufficiale” in capo al professionista attestatore, designato dal debitore, ex art. 161, comma 3, l.f., per la stesura della relazione attestante la conformità ai dati aziendali e la fattibilità del piano contenente la descrizione delle modalità e i tempi di adempimento della proposta di concordato preventivo.

Come si è visto poc’anzi, la Cassazione respinge il ricorso per i motivi qui di seguito esposti.

A sostegno della propria tesi, in primis, la Cassazione allega un elemento di carattere prettamente sostanzialistico, legato, come si vedrà, alla mancanza di effetto certificativo in capo al professionista: l’ attestatore non è affatto una figura dotata di poteri certificativi ma, al contrario, appare piuttosto una figura assimilabile a un “ausiliario” dell’organo giudicante. Sfruttando le indicazioni di un importante precedente della Cassazione Civile (Cass. Civ. SS.UU., 23 gennaio 2013, n. 1521), la Cassazione penale rileva, nello specifico, che l’attestazione del professionista, da un lato, non vincola il giudizio del giudice in merito al giudizio di fattibilità della proposta di concordato (il giudice infatti può benissimo discostarsene), mentre, sotto altro profilo, anche gli stessi creditori non sono affatto “legati” alle valutazioni effettuate dal professionista, potendo essi stessi discostarsene ed effettuare liberamente ogni valutazione in merito, avente ad oggetto le probabilità di successo o di fiasco del piano.

In altre parole, il professionista attestatore, lungi dall’essere un organo certificatore, può essere qualificato, tutt’al più, come “un consulente”.

Accanto a tale argomentazioni, il ragionamento dei Giudici viene altresì suffragato anche dal dato normativo che emerge in forza di alcune disposizioni presenti all’interno della Legge Fallimentare.

Infatti, il R.D. 267/1942 non contiene alcuna norma che attribuisce espressamente la qualifica di “Pubblico Ufficiale” in capo al professionista attestatore designato dal debitore, ex art. 161, comma 3, l.f., per la stesura della relazione attestante la conformità ai dati aziendali e la fattibilità del piano.

Al contrario, la legge fallimentare conferisce espressamente, in numerose disposizioni, lo status di “Pubblico Ufficiale” ad altre figure presenti nelle procedure concorsuali: si pensi al “Curatore” (art. 30 l.f.), al “Commissario Giudiziale” (art. 165 l.f.) e al “Commissario Liquidatore” (art. 199 l.f.).

Ove non espressamente menzionata dalla l.f., tale qualifica, pertanto, non può essere estesa, in via ermeneutica, ad altre figure coinvolte nelle procedure concorsuali: a tal proposito, infatti, è utile ricordare, il precedente è richiamato dalla sentenza in commento, che la stessa Corte di Cassazione ha espressamente escluso, in assenza di puntuale disposizione legislativa in tal senso, la qualifica di “Pubblico Ufficiale” in capo al liquidatore giudiziale nominato nella procedura di concordato preventivo (cfr. Cass. Pen., Sez. V, 16 gennaio 2015, n. 15951).

Tali considerazioni, pertanto, valgono anche per la figura del professionista attestatore e la loro validità viene, ove ve ne fosse ancora bisogno, rafforzata anche dalla recente introduzione del reato di false attestazioni nella relazione del professionista ex art. 236-bis l.f. al fine di garantire “tutela penale ad interessi la cui offesa non è stata ritenuta riconducibile ad altre ipotesi criminose” (cfr. p. 5 della sentenza in commento).

Alla medesima conclusione, pur con differente approccio, era pervenuto il Tribunale di Torino (Cfr. Tribunale di Torino, IV sez. pen., in Il Fallimento, 2010, pag. 1439, con commento di M. Lanzi), il quale aveva stabilito che “il professionista che attesta la veridicità dei dati aziendali e la fattibilità del piano, ai sensi dell’art. 161 terzo comma l.f. non può essere considerato pubblico ufficiale ai fini dell’art. 357 c.p. e, di conseguenza, in caso di false attestazioni non risponde del reato di cui all’art. 479 c.p.”.

In particolare, secondo i giudici torinesi, il professionista attestatore “… dovendo fornire al giudice ed al commissario giudiziale seri elementi di valutazione, è altrettanto vero che egli è legato da un rapporto di fiducia all’imprenditore che lo ha nominato scegliendolo a preferenza di altri, circostanza questa che (involgendo in qualche misura una dipendenza funzionale da una parte processuale) di per sè rende ardua l’assimilazione al pubblico ufficiale (cfr. Cass. pen., sez. VI, 31656, 13 febbraio 2008)”.

In altri termini, ammesso e non concesso che la figura del professionista attestatore rivestisse la qualifica di “Pubblico Ufficiale” , troverebbe ordinaria applicazione l’art. 479 c.p. e la norma di cui all’art. 236-bis l.f. non sarebbe altro che un doppione inutile, che non avrebbe alcuna applicazione pratica e che, a tutto concedere, sarebbe confinato a mere discussioni teoriche e dottrinali.

Di conseguenza e in conclusione, al professionista attestatore non è attribuita la qualifica di “Pubblico Ufficiale” e, pertanto, nei suoi confronti non possono essere contestati né il delitto di falso ideologico né, come nel caso in questione, il delitto di corruzione in atti giudiziari.

Come citare il contributo in una bibliografia:
M.Miglio – C. Ferriani, La Cassazione esclude che il professionista attestatore possa rivestire la qualifica di pubblico ufficiale, in Giurisprudenza Penale Web, 2016, 7-8