Unione Europea e lotta alla criminalità organizzata: tempo di bilanci per la Commissione Europea
in Giurisprudenza Penale Web, 2016, 7-8 – ISSN 2499-846X
Il 7 luglio scorso la Commissione Europea ha pubblicato la prima Relazione al Parlamento Europeo e al Consiglio a norma dell’articolo 10 della Decisione Quadro 2008/841/GAI del Consiglio, del 24 ottobre 2008, relativa alla lotta alla criminalità organizzata (1).
Il contrasto alla criminalità organizzata è uno dei temi di materia penale, insieme alla lotta al terrorismo e al traffico di stupefacenti, che più si presta ad essere oggetto di strumenti internazionali volti a produrre effetti sulle legislazioni nazionali. Tra tali strumenti si colloca appunto la decisione quadro del 2008, emanata al fine di perseguire l’obiettivo dell’Unione Europea di “migliorare le capacità comuni dell’Unione e dei suoi Stati membri al fine, segnatamente, di lottare contro la criminalità organizzata transnazionale” (2).
La Relazione che qui ci occupa trova il suo fondamento nella disposizione contenuta all’articolo 10 della Decisione. Questa norma fissava all’11 maggio 2010 il termine entro il quale gli Stati Membri avrebbero dovuto adottare il testo normativo, nonché trasmettere al segretariato generale del Consiglio e alla Commissione il testo delle disposizioni inerenti al recepimento nella legislazione nazionale degli obblighi imposti dalla Decisione. Tale termine è stato rispettato solamente da quattro Stati Membri (Belgio, Cipro, Irlanda, Paesi Bassi); i rimanenti Stati hanno comunicato le misure di recepimento da essi adottate in tempi successivi.
Sulla base delle informazioni ricevute e con l’ausilio di alcuni studi esterni, la Commissione ha elaborato il testo in esame. La Relazione si compone di tre parti: la cornice introduttiva, la valutazione delle disposizioni nazionali, nonché le conclusioni e le prospettive future.
1. Introduzione
In questa sezione i relatori della Commissione delineano il contesto in cui la decisione è stata emanata, le finalità della relazione e i criteri di valutazione delle disposizioni.
La decisione quadro 2008/841/GAI rappresenta il terzo strumento adottato a livello internazionale con l’obiettivo di ottimizzare la lotta alla criminalità organizzata attraverso la legislazione penale. Essa è stata preceduta dall’azione comune del 21 dicembre 1998 (3), adottata dal Consiglio nell’ambito dell’allora cosiddetto “terzo pilastro” dell’Unione Europea, riguardante la cooperazione nei settori della giustizia e degli affari interni” (GAI). A tale azione comune si deve la prima definizione di criminalità organizzata.
Il secondo strumento menzionato nella relazione è la Convenzione delle Nazioni Unite contro la criminalità organizzata, adottata dall’Assemblea Generale ONU nel 2000, alla quale l’Unione Europea ha aderito quattro anni più tardi (4). Questa triade di strumenti internazionali ha la finalità di rendere piú coordinata ed efficace la lotta alla criminalità organizzata attraverso il ravvicinamento e, per quanto possibile, l’armonizzazione delle legislazioni penali nazionali in materia.
Il compito di monitorare il recepimento delle disposizioni europee che necessitano attuazione negli ordinamenti domestici spetta alla Commissione: essa ha analizzato le misure di recepimento concernenti i primi otto articoli della decisione quadro (i rimanenti articoli non necessitano infatti di attuazione), utilizzando dei criteri di valutazione generali (relativi all’attuazione delle decisioni quadro tout-court) e specifici (relativi alla decisione in oggetto).
Si rende inoltre noto che la decisione quadro non è applicabile al Regno Unito, che ha scelto di non aderirvi.
2. Valutazione
Il corpo centrale della relazione contiene la valutazione delle disposizioni nazionali degli Stati Membri in materia di criminalità organizzata. La relazione divide gli Stati in due gruppi, a seconda delle modalità di recepimento dell’art. 2 della decisione. Tale disposizione prevede due tipologie di condotta criminosa che ogni Stato dovrebbe rendere oggetto di reato autonomo, in maniera alternativa o cumulativa.
Il modello del “duplice reato” è stato adottato nel tentativo di conciliare tradizioni giuridiche di matrice diversa: esso comprende l'”associazione criminale” (5), nozione mutuata dal civil law, e la “conspiracy” (6), tipica degli ordinamenti di common law. Ciononostante, Danimarca e Svezia, hanno deciso di non includere nelle loro legislazioni nazionali un reato autonomo ai sensi dell’art. 2 della decisione, a causa delle loro tradizioni giuridiche contrarie (7). Le legislazioni di questi due Stati vengono quindi esaminate separatamente.
I relatori procedono quindi alla disamina delle disposizioni nazionali alla luce di ciascuno degli otto articoli della decisione, raggruppando gli Stati membri con soluzioni legislative analoghe. In primo luogo si analizzano le definizioni adottate da ciascuno Stato, valutando il grado di corrispondenza con quelle delineate nell’art. 1 della decisione quadro. La disamina si sofferma sulle nozioni di associazione strutturata, continuità nel tempo, composizione, criterio del vantaggio e di reato presupposto. L’adozione delle definizione europee è tutt’altro che omogenea tra gli Stati Membri. Considerando ad esempio il nostro ordinamento, la legislazione italiana non fa alcun riferimento alla definizione di associazione strutturata, né alla continuità della stessa, né al criterio del vantaggio finanziario o materiale del condotta criminale.
Per quanto riguarda la scelta della fattispecie criminosa, solo quattro Stati Membri hanno recepito l’articolo 2 nella sua interezza, prevedendo quindi entrambi i reati summenzionati. Diversamente, ventuno Stati, tra cui l’Italia, aderiscono al solo reato di partecipazione ad organizzazione criminale.
L’analisi della Commissione si estende in seguito alle disposizioni nazionali sulla responsabilitá delle persone giuridiche, sulle pene applicabili alle persone fisiche, sulle circostanze aggravanti, sulla possibilità di riduzione o esenzione dalla pena per l’autore del reato, sulla competenza giurisdizionale e sul coordinamento dell’azione penale e sull’assenza di obbligo di querela o denuncia da parte della vittima. In generale, si nota una certa omogeneità tra gli ordinamenti per quanto riguarda la possibilità di perseguire penalmente e punire le persone giuridiche, di comminare pene personalizzate e di procedere d’ufficio in caso di azione penale relativa ai reati ex art. 2 della decisione.
3. Conclusioni e prossime tappe
La Commissione conclude la sua valutazione con un parere piuttosto negativo sull’impatto della decisione quadro sulle legislazioni nazionali. Essa sostiene che tale strumento “non garantisce il livello minimo necessario di ravvicinamento per quanto concerne la gestione o la partecipazione di un’organizzazione criminale in base a una nozione unica di organizzazione criminale” (8). La duplicità del modello di reato e la genericità delle previsioni della decisione consentono infatti agli Stati Membri di continuare ad applicare il diritto nazionale vigente senza dover ricorrere a significative riforme verso l’adozione di una fattispecie unica di reato.
Molte inoltre sono le legislazioni nazionali che hanno travalicato i requisiti minimi della decisione quadro, estendendo il campo di applicazione delle disposizioni nazionali ad una piú ampia gamma di condotte criminose o prevedendo pene più severe rispetto ai livelli base previsti nella decisione europea.
Sulla base di tali considerazioni, la Commissione sottolinea la necessità per gli Stati membri di allinearsi con l’agenda europea sulla sicurezza, ribadendo il proprio ruolo di sostegno e di controllo sul processo di attuazione della decisione quadro.
(1) Da qui in avanti: “la Relazione”.
(2) Preambolo, Decisione Quadro 2008/841/GAI del Consiglio del 24 ottobre 2008 relativa alla lotta contro la criminalità organizzata.
(3) Azione comune 98/733/GAI.
(4) Decisione 2004/579/CE del Consiglio.
(5) L’art. 2 a) la definisce quale: “il comportamento di una persona che, intenzionalmente ed essendo a conoscenza dello scopo e dell’attività generale dell’organizzazione criminale o dell’intenzione di quest’ultima di commettere i reati in questione, partecipi attivamente alle attività criminali dell’organizzazione, […], essendo inoltre consapevole che la sua partecipazione contribuirà alla realizzazione delle attività criminali di tale organizzazione“.
(6) Secondo l’art. 2 b): ” il comportamento di una persona consistente in un’intesa con una o più altre persone per porre in essere un’attività che, se attuata, comporterebbe la commissione di reati di cui all’articolo 1, anche se la persona in questione non partecipa all’esecuzione materiale dell’attività“.
(7) Per approfondire, si legga: “Per un contrasto europeo al crimine organizzao e alle mafie – La risoluzione del Parlamento Europeo e l’impegno dell’Unone Europea“, a cura di Sonia Alfano e Adriano, Franco Angeli, 2012.
(8) Relazione, pag.11.
Come citare il contributo in una bibliografia:
S. Carrer, Unione Europea e lotta alla criminalità organizzata: tempo di bilanci per la Commissione Europea, in Giurisprudenza Penale Web, 2016, 7-8