C.d.A. e O.d.V. non rispondono per infortuni dipesi dalla organizzazione del lavoro concreto svolto nella singola unità produttiva
in Giurisprudenza Penale Web, 2016, 10 – ISSN 2499-846X
Cassazione Penale, Sezione Prima, (ud. 20 gennaio 2016) 2 maggio 2016, n. 18168
Presidente Cortese, Relatore Minchella
La pronuncia qui allegata offre interessanti spunti di riflessione in tema di riparto delle responsabilità penali tra gli organi societari per infortuni sul lavoro.
In particolare, la Corte di Cassazione ha chiarito che, in presenza di valida delega di funzioni, e qualora l’infortunio sia dipeso non da una generale negligenza nella predisposizione delle misure di sicurezza (la quale potrebbe dare adito ad una responsabilità di vertice), ma al contrario da una occasionale lacuna nell’organizzazione quotidiana del lavoro nella singola unità produttiva, allora gli organi gestori e di controllo andranno esenti da ogni responsabilità. Non rientra infatti tra i compiti di costoro decidere quando l’attrezzatura antinfortunistica, che sia resa disponibile sul luogo di lavoro, vada o non vada utilizzata.
1. La vicenda ed il giudizio di merito
I fatti oggetto della presente pronuncia riguardano l’infortunio occorso nel dicembre 2010 ad un operaio all’interno del cantiere navale di Monfalcone (GO) di proprietà di una nota società cantieristica italiana. Il lavoratore in questione svolgeva le mansioni di ammagliatore, dovendo assicurare fasci di tubi metallici da issare a bordo di alcune costruzioni navali.
Il giorno dell’infortunio tale attività era svolta dal soggetto per mezzo di filo di ferro. Nell’atto di issare, i tubi oscillavano, finendo per sfilarsi dal fascio; uno di essi cadendo colpiva il lavoratore alla nuca e alla schiena provocandogli lesioni gravissime consistenti nella paraplegia completa degli arti inferiori, con conseguente invalidità permanente e pericolo di vita.
A seguito di tali accadimenti iniziava presso il Tribunale di Gorizia un procedimento penale a carico di numerosi soggetti, nei confronti dei quali erano mosse a vario titolo contestazioni –tra l’altro– di omissione dolosa di cautele contro infortuni sul lavoro (art. 437 c.p.) e lesioni personali colpose (art. 590 c.p.).
Per ciò che in questa sede interessa, l’imputazione ex art. 437 c.p. era mossa da un lato ai componenti del Consiglio di Amministrazione, per avere omesso di collocare apparecchi idonei al sollevamento dei materiali a mezzo gru o per averne messo in numero insufficiente (in particolare baie e ceste, in luogo del filo di ferro, che garantissero l’equilibrio dei tubi); dall’altro lato ai membri dell’Organismo di vigilanza, per avere omesso di segnalare al C.d.A. e ai direttori generali una serie di carenze in materia antifortunistica che pure emergeva chiaramente da alcuni report sulla sicurezza all’interno del cantiere.
Tale prospettazione accusatoria era infine disattesa nel dicembre 2014 dal Giudice per l’Udienza Preliminare, che dichiarava non luogo a procedere per insussistenza del fatto.
In punto di motivazione, il Giudice rilevava in primis che gli strumenti asseritamente non predisposti (baie e ceste) non potevano rientrare nella nozione di ‘impianti, apparecchi o segnali’ utile ad integrare la fattispecie ex art. 437 c.p., dovendo essi piuttosto considerarsi semplici contenitori, privi della complessità tecnica richiesta dalla norma. Per di più, baie e ceste non sarebbero nemmeno attrezzature di per sé ‘destinate a prevenire disastri o infortuni sul lavoro’, altro requisito indefettibile imposto ex lege.
In secundis, il Giudice riteneva che non il C.d.A., né l’O.d.V. dovevano ritenersi gravati dell’obbligo di predisporre le cautele omesse, con conseguente insussistenza della necessaria posizione di garanzia, e ciò in virtù di deleghe valide ed efficaci, formalizzate nei confronti dei responsabili delle singole unità produttive. Tali deleghe bastavano ad escludere il cumulo di responsabilità tra delegante e delegato.
2. Il ricorso del Procuratore e gli argomenti difensivi
Il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Gorizia proponeva ricorso per Cassazione, lamentando anzitutto la violazione dell’art. 437 c.p.: baie e ceste ricadrebbero eccome nelle cautele richieste dalla norma.
In secondo luogo, l’accusa contestava le conclusioni operate dal G.U.P. in tema di delega di funzioni. Per un verso infatti identici poteri sarebbero stati conferiti a due soggetti, con conseguente ed anomalo sdoppiamento della figura del Datore di Lavoro; per altro verso ed in ogni caso, la delega non esonera il delegante dall’obbligo di vigilare sul corretto espletamento delle funzioni delegate, obbligo quest’ultimo invece disatteso dal C.d.A., che sapeva e non agiva, e dall’O.d.V., che sapeva e non segnalava.
Dal canto suo, la difesa contestava l’applicabilità dell’art. 437 c.p. al caso di specie, poiché l’attrezzatura che si asseriva omessa non apparterrebbe al novero degli strumenti richiesti dalla norma, né sarebbe essa funzionale alla prevenzione di disastri o infortuni. Non solo, l’omissione dolosa di cautele antinfortunistiche sarebbe delitto contro l’incolumità pubblica ed imporrebbe l’esposizione a rischio di un numero indeterminato di persone e non un singolo lavoratore, come è invece accaduto nel caso di specie.
Sotto altro profilo, la difesa rilevava che le baie e le ceste, non impiegate il giorno dell’incidente, erano state fornite al cantiere. La scelta di farne uso, pertanto, non atteneva alla sfera di gestione societaria, quanto invece all’organizzazione del lavoro all’interno della specifica unità produttiva.
La questione della delega di funzioni era poi ricostruita dalla difesa in modo lineare: il responsabile del cantiere di Monfalcone era stato validamente individuato come Datore di Lavoro. Di conseguenza, l’ascrizione della responsabilità nei confronti del C.d.A., che per definizione si occupa di alta gestione e alta vigilanza e non di quotidiano controllo sull’utilizzo delle misure antifortunistiche, equivarrebbe ad ampliare in modo del tutto irragionevole il novero dei responsabili, con ciò rendendo priva di significato ogni valida delega.
Da ultimo, la difesa rilevava due ulteriori elementi a suo dire dirimenti. D’un canto la contraddizione presente nel capo d’imputazione, laddove si contestava ad un tempo al Consiglio di Amministrazione una omissione dolosa di cautele e all’Organismo di Vigilanza di non aver segnalato le carenze in tema di sicurezza, con ciò impedendo l’attivazione del Consiglio stesso. Infatti, delle due l’una: o il C.d.A. sapeva, ma allora non serviva che l’O.d.V. segnalasse, oppure il C.d.A. non sapeva, ma allora non potrebbe quest’ultimo rispondere di reato doloso.
D’altro canto l’insussistenza dell’obbligo giuridico in capo all’O.d.V. di adottare cautele. Quest’organo infatti, essendo addirittura d’istituzione facoltativa, non ricopre il ruolo di Datore di Lavoro e non è per conseguenza gravato da una posizione di garanzia che giustifichi la responsabilità ex art. 437 c.p..
Infine, il Procuratore Generale concludeva per il rigetto del ricorso.
3. Le motivazioni della Cassazione
La Suprema Corte rigettava il ricorso perché infondato.
Nel motivare siffatta conclusione, i Giudici si sono soffermati su tre punti, uno solo di essi avente natura infine dirimente.
Per prima cosa, la sentenza dà atto dell’imperfetta qualificazione del fatto come omissione dolosa ex art. 437 c.p.. Infatti, pur se tale fattispecie è in astratto applicabile non solo nei casi in cui l’omissione abbia creato il pericolo di un infortunio (o addirittura lo abbia cagionato) ad una pluralità di lavoratori, ma anche ad uno solo di essi, in ogni caso le cautele omesse nel caso di specie non rientrano nella nozione di apparecchio di sicurezza avente intrinseca finalità antinfortunistica. Ma, chiariva la Corte, tale questione non risultava decisiva ai fini del rigetto.
Peraltro, la Cassazione aderisce all’argomento difensivo che rilevava una contraddizione nella concomitante responsabilità dei due organi, C.d.A. e O.d.V.. Scrivono sul punto i Giudici: “se (…) i citati membri dell’Organismo di Vigilanza nulla avevano riferito ai membri del Consiglio di Amministrazione, è ben difficile ipotizzare una responsabilità in capo a questi ultimi per non avere adottato le cautele che le situazioni di pericolo avrebbero richiesto”. Ma neppure tale argomento assume in sé carattere dirimente, carattere invece proprio del terzo punto, di seguito riferito.
L’infondatezza del ricorso discende dal fatto, processualmente accertato, che le baie e le ceste erano state fornite al cantiere, ed erano presso di esso presenti e disponibili il giorno dell’incidente. Dunque “l’utilizzo o meno delle stesse non attiene affatto al profilo della omessa collocazione di strumenti, apparecchi o congegni adeguati, ma soltanto al profilo organizzativo del lavoro concreto svolto nel cantiere navale; (…) ed allora è del tutto corretta la conclusione della sentenza impugnata, laddove si evidenzia che la problematica si fa di natura eminentemente organizzativa: è valida conclusione del Giudice di merito l’affermare che, se le ceste vi erano nel cantiere in quanto fornite dalla componente datoriale, spettava eventualmente ai soggetti responsabili di unità operative disporne l’utilizzo”.
Sulla base di questi ragionamenti, la Corte concludeva dunque che “l’invocata responsabilità cui fa riferimento il ricorso non poteva dunque essere del Consiglio di Amministrazione, i cui compiti non si dilatano sino a decidere se, nell’ambito di una singola operazione di carico di tubi, andasse utilizzata una cesta; e parimenti nemmeno poteva gravare siffatto obbligo sui componenti dell’Organismo di Vigilanza”.
4. Conclusione
Pertanto, come anticipato, la compagine societaria di vertice non risponde per infortuni, qualora questi siano strettamente dipesi dal profilo organizzativo del lavoro concreto svolto nella singola unità produttiva. In particolare, il Consiglio e l’Organo di Vigilanza non sono penalmente responsabili, ove abbiano effettivamente reso disponibili le attrezzature di sicurezza sul luogo di lavoro e l’infortunio sia sia occorso per il cattivo o mancato uso di queste.
Come citare il contributo in una bibliografia:
L. Roccatagliata, C.d.A. e O.d.V. non rispondono di infortuni dipesi dall’organizzazione del lavoro concreto svolto nella singola unità produttiva, in Giurisprudenza Penale Web, 2016, 10