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Sul riconoscimento del vincolo della continuazione: tra approdi consolidati ed immanenti criticità

in Giurisprudenza Penale Web, 2016, 10 – ISSN 2499-846X

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Cassazione Penale, Sez. I, 20 luglio 2016 (ud. 28 giugno 2016), n. 31243
Presidente Di Tomassi, Relatore Bonito, P.G. Spinaci

Con la Sentenza in commento, la Suprema Corte ha colto l’occasione per ribadire l’ormai costante giurisprudenza in ordine al (pur sempre arduo) accertamento dell’unicità del disegno criminoso, indispensabile per l’applicazione del trattamento sanzionatorio previsto dall’art. 81 cpv. c.p.

La vicenda, in breve.

Con ordinanza emessa dal Tribunale di Trani, in funzione di Giudice dell’esecuzione, veniva rigettata l’istanza del condannato, formulata ai sensi e per gli effetti di cui all’art. 671 c.p.p., ed avente ad oggetto l’applicazione della disciplina del reato continuato in relazione a quattro Sentenze irrevocabili pronunciate a suo carico, peraltro dal medesimo Tribunale.

In particolare, con il predetto provvedimento, il Giudice dell’esecuzione, pur riconoscendo l’intervenuta prova dello stato di tossicodipendenza dell’interessato, osservava come la stessa non potesse essere decisiva per l’invocato riconoscimento del vincolo della continuazione, che richiedeva, invece, un effettivo e concreto accertamento, fondato su ulteriori elementi, i quali, tuttavia, non erano stati “rigorosamente e positivamente provati”.

Chiamata a pronunciarsi sul ricorso proposto dall’interessato – che denunciava l’illegittimità dell’impugnata ordinanza per violazione di legge e vizio di motivazione – la Suprema Corte ha operato una dettagliata analisi circa l’identificazione degli indici rivelatori dell’unicità del medesimo disegno criminoso, sintomatici (secondo un assunto politico-criminale tuttavia non assolutamente pacifico) di una minore capacità a delinquere e, dunque, tali da giustificare il più benevolo trattamento sanzionatorio previsto dall’art. 81 cpv. c.p.

In effetti, mentre nell’originaria versione codicistica il reato continuato si caratterizzava per il duplice requisito della “medesimezza del disegno criminoso” e della “omogeneità” dei reati avvinti dal nesso di continuazione, oggi l’unico elemento caratterizzante l’istituto de quo rimane l’unicità del disegno criminoso.

Ė facile comprendere, dunque, la necessità di delimitare i confini di tale concetto, di per sé totalmente generico (oltreché attinente all’interiorità psichica dell’agente) ed oggi generalmente ricondotto, ai fini della relativa configurabilità, all’indispensabile sussistenza di due componenti: una “intellettiva”, di mera rappresentazione mentale anticipata dei singoli episodi delittuosi, poi di fatto commessi; l’altra “finalistica”, costituita da un’altrettanto necessaria unicità dello scopo.

In forza di tali premesse, la Suprema Corte ha così avuto modo di sottolineare che «la continuazione presuppone l’anticipata ed unitaria ideazione di più violazioni della legge penale, già insieme presenti alla mente del reo nella loro specificità, almeno a grandi linee, situazione ben diversa da una mera inclinazione a reiterare nel tempo violazioni della stessa specie, anche se dovuta a una determinata scelta di vita o ad un programma generico di attività delittuosa da sviluppare nel tempo secondo contingenti opportunità (cfr., per tutte, Cass., Sez. II, 7/19 aprile 2004, Tuzzeo; Sez. I, 15 novembre 2000/31 gennaio 2001, Barresi)».

Pare evidente, alla luce di quanto precede, come il maggior problema consista nell’accertamento, in concreto, del vincolo di cui all’art. 81 cpv. c.p., che, pur investendo l’interiorità soggettiva di ciascun agente, deve essere ricavato da «indici significativi, secondo le regole dell’esperienza, del dato progettuale sottostante alle condotte poste in essere».

Orbene, ha spiegato la Cassazione, «tali indici, di cui la giurisprudenza ha fornito esemplificative elencazioni (fra gli altri, l’omogeneità delle condotte, il bene giuridico offeso, il contenuto intervallo temporale, la sistematicità e le abitudini programmate di vita) hanno normalmente un carattere sintomatico e non direttamente dimostrativo; l’accertamento, pur officioso e non implicante oneri probatori, deve assumere il carattere di effettiva dimostrazione logica, non potendo essere affidato a semplici congetture o presunzioni».

Ciò nonostante, proprio in ragione della difficoltà di fare piena applicazione delle conclusioni che precedono, detto accertamento è, di fatto, rimesso al Giudice di merito ed è insindacabile in sede di legittimità.

Nella pronuncia in commento, la Cassazione è passata, infine, ad esaminare la rilevanza, in tema di accertamento del vincolo della continuazione, dello stato di tossicodipendenza del soggetto agente, posto che l’art. 671 c.p.p. lo annovera tra gli elementi che incidono sull’applicazione della disciplina del reato continuato.

Orbene, sul punto, la Suprema Corte ha ricordato, ancora una volta, che «la consumazione di più reati in relazione allo stato di tossicodipendenza non è condizione necessaria o sufficiente ai fini del riconoscimento della continuazione, ma ne costituisce comunque un indice rivelatore che deve formare oggetto di specifico esame da parte del giudice dell’esecuzione qualora emerga dagli atti o sia stato altrimenti prospettato dal condannato (Cass. Sez. 1, n. 18242 del 04/04/2014, Rv. 259192), tenendo conto che il riconoscimento dello stato di tossicodipendenza non può essere contrastato sul piano logico, ai fini della decisione per cui è causa, con il richiamo allo stile di vita del condannato (quello del tossicodipendente è infatti uno stile di vita, che per esplicita statuizione legislativa integra dato positivamente valutabile ai fini in discussione)».

In conclusione, ritenuto che il Tribunale di Trani non avesse fatto corretta applicazione dei principi sin qui illustrati, la Corte di Cassazione ha dichiarato l’illegittimità dell’impugnata ordinanza, annullandola con rinvio per nuovo esame al medesimo Tribunale.

Come citare il contributo in una bibliografia:
L. Amerio, Sul riconoscimento del vincolo della continuazione: tra approdi consolidati ed immanenti criticità, in Giurisprudenza Penale Web, 2016, 10