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Tenuità del fatto e reati edilizi

in Giurisprudenza Penale Web, 2016, 12 – ISSN 2499-846X

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Cassazione Penale, Sez. III, 19 ottobre 2016 (ud. 5 ottobre 2016), n. 44319
Presidente Amoroso, Relatore Scarcella

La Suprema Corte torna sull’applicabilità della nuova causa di non punibilità prevista dall’art. 131-bis ai reati edilizi.

Nel caso in esame la Corte d’Appello di Napoli, riformando la sentenza di primo grado, condannava l’imputato per i reati previsti dall’art. 44, lett. c) del d.P.R. n. 380/2001 e dall’art. 181 comma 1-bis del d. lgs. n. 42/2004, unificati dal vincolo della continuazione.

Tra i numerosi motivi di ricorso l’imputato censurava la decisione con cui la Corte d’Appello aveva ritenuto inapplicabile la causa di non punibilità prevista dall’art. 131-bis.

Nel rigettare la doglianza, la Corte di Cassazione afferma che, sul punto, deve ritenersi pienamente condivisibile, oltre che esaustiva, la motivazione della Corte d’Appello, che aveva chiarito come, nel caso di specie, l’offesa arrecata non potesse ritenersi tenue, poiché le opere realizzate avevano comportato la creazione di un vero e proprio nuovo piano ammezzato, suddiviso in quattro ambienti (due stanze e due bagni) con un’altezza tale – di fatto – da consentirne pienamente l’utilizzo a fine abitativi, sebbene non sufficiente a permettere di ottenere il certificato di agibilità. Ciò, a parere della Corte d’Appello, non avrebbe consentito di qualificare l’offesa come tenue, indipendentemente dal fatto che le opere non avessero comportato un concreto aumento del volume o della superficie dell’edificio.

Nel ritenere pienamente esaustiva la motivazione della Corte d’Appello, tuttavia, la Suprema Corte, affrontando un tema non rilevato nei primi due gradi di giudizio, afferma inoltre che, in ogni caso, la causa di non punibilità non avrebbe potuto trovare applicazione nel caso di specie, “tenuto conto della contemporanea violazione di più disposizioni della legge penale”. Già in altre precedenti pronunce, infatti, la Cassazione aveva affermato che l’art. 131-bis non può trovare applicazione “qualora l’imputato abbia commesso più reati della stessa indole (o più violazioni della stessa o di diverse disposizioni penali sorrette dalla medesima “ratio punendi”), poiché è la stessa previsione normativa a considerare il “fatto” nella sua dimensione “plurima”, secondo una valutazione complessiva in cui perde rilevanza l’eventuale particolare tenuità dei singoli segmenti in cui esso si articola” (Cass., sez. V, n. 26813/2015). Ed è proprio in applicazione di questo principio che, a parere della Corte, nel caso in esame la causa di non punibilità della tenuità del fatto non avrebbe potuto trovare applicazione.

Quest’ultimo punto della decisione, tuttavia, può destare qualche perplessità, anche in relazione ad alcuni recenti precedenti della stessa Corte.

Va rilevato, infatti, che il caso in esame consiste senza dubbio in un ipotesi di concorso formale di reati. Il contestato art. 44, lett. c) del d.P.R. n. 380/2001, infatti, punisce la condotta di lottizzazione abusiva di terreni a scopo edilizio, nonché la realizzazione di interventi edilizi nelle zone sottoposte a vincoli, in difformità o in assenza di permesso[1]. L’art. 181 comma 1-bis del d. lgs. n. 42/2004, invece, punisce chiunque, senza la prescritta autorizzazione o in difformità da essa, esegua lavori di qualsiasi genere su beni di interesse paesaggistico o dichiarati di notevole interesse pubblico[2].

Non può dubitarsi, dunque, che la realizzazione di un’opera abusiva in zona vincolata dia luogo a un concorso formale di reati, essendo unica la condotta di costruzione che integra, contestualmente, violazione della disciplina urbanistica e di quella paesaggistica. La conclusione della Corte nel caso in esame, dunque, pare non distinguere tra l’ipotesi di concorso materiale e quella di concorso formale. Distinzione che, invece, era ben presente nella precedente sentenza n. 47039/2015. In quest’ultimo caso, infatti – pur essendo contestate proprio le medesime norme – la Corte era giunta alla conclusione opposta, espressamente stabilendo che, nel caso di concorso formale di reati, non ricorre la “non abitualità” prevista dall’art. 131-bis. Nel caso in questione – in merito alla realizzazione di due tettoie abusive in un unico contesto – la Corte aveva puntualmente rilevato che, poiché non vi erano elementi obiettivi dai quali il giudice avrebbe potuto desumere la reiterazione della condotta in tempi diversi, non si poteva che concludere che “la violazione di due distinte disposizioni di legge, pacificamente tra loro concorrenti, stante la diversità del bene giuridico tutelato, è dunque conseguenza di una condotta unica, così sussistendo un concorso formale tra i reati. Essendo il concorso formale caratterizzato, com’è noto, da una unicità di azione od omissione, risulta impossibile collocarlo tra le ipotesi di <condotte plurime, abituali o reiterate> menzionate dal terzo comma dell’art. 131-bis”. La Corte concludeva, pertanto, nel senso che “il concorso formale di reati non consente di considerare operante lo sbarramento della abitualità del comportamento che impedisce l’esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto ai sensi dell’art. 131-bis”.

Tale conclusione, in effetti, pare essere quella maggiormente condivisibile, considerato che l’abitualità è un requisito che attiene al fatto, presupponendo una pluralità di condotte che, invece, manca nel caso di concorso formale di reati, in cui, com’è noto, un’unica condotta integra più fattispecie incriminatrici.

Nella sentenza n. 47039/2015, infatti, nota opportunamente la Corte che la contestuale violazione di più norme quale conseguenza dell’intervento abusivo, può – eventualmente – costituire un “indice sintomatico” della non particolare tenuità, che va, tuttavia, considerato unitamente a tutti gli altri parametri di valutazione della concreta offensività dell’intervento edilizio.


[1] Più precisamente, la norma prevede “l’arresto fino a due anni e l’ammenda da 15.493 a 51.645 euro nel caso di lottizzazione abusiva di terreni a scopo edilizio, come previsto dal primo comma dell’articolo 30. La stessa pena si applica anche nel caso di interventi edilizi nelle zone sottoposte a vincolo storico, artistico, archeologico, paesistico, ambientale, in variazione essenziale, in totale difformità o in assenza del permesso”.

[2] L’articolo 181, infatti, punisce al primo comma “Chiunque, senza la prescritta autorizzazione o in difformità di essa, esegue lavori di qualsiasi genere su beni paesaggistici e’ punito con le pene previste dall’articolo 44, lettera c), del decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001, n. 380”, mentre, in base all’aggravante prevista dal comma 1-bis, “la pena è della reclusione da uno a quattro anni qualora i lavori di cui al comma 1: a) ricadano su immobili od aree che, per le loro caratteristiche paesaggistiche siano stati dichiarati di notevole interesse pubblico con apposito provvedimento emanato in epoca antecedente alla realizzazione dei lavori; ((28)) b) ricadano su immobili od aree tutelati per legge ai sensi dell’articolo 142 ed abbiano comportato un aumento dei manufatti superiore al trenta per cento della volumetria della costruzione originaria o, in alternativa, un ampliamento della medesima superiore a settecentocinquanta metri cubi, ovvero ancora abbiano comportato una nuova costruzione con una volumetria superiore ai mille metri cubi.

Come citare il contributo in una bibliografia:
C. Bosacchi, Tenuità del fatto e reati edilizi, in Giurisprudenza Penale Web, 2016, 12