La responsabilità delle imprese di gruppo ai sensi del D.lgs. n. 231/2001 (Tesi di laurea)
Prof. relatore: Elisa Scaroina
Prof. correlatore: Maria Lucia Di Bitonto
Ateneo: Università Luiss
Anno accademico: 2015/2016
La tesi intitolata affronta le problematiche legate all’imputabilità del gruppo quale persona giuridica e quale autonomo centro di imputazione del reato ai sensi del D.lgs. n. 231/2001.
Le tematiche affrontate nel lavoro sono frutto della considerazione per cui l’aggregazione tra imprese sia il frutto di una logica imprenditoriale volta all’abbattimento dei costi collegati al ciclo produttivo che, in un mercato sempre più globale e concorrenziale, si fa sempre più impellente. Da qui la necessità di indagare un fenomeno meno diffuso in Italia rispetto all’estero ma che, in un prossimo futuro, potrebbe determinare interessanti riflessi sulla nostra economia e la cui corretta regolamentazione potrebbe attrarre nuovo capitale sul mercato italiano.
Attraverso il decreto citato il nostro Legislatore abbandona l’antico brocardo “Societas delinquere et puniri non potest” prevedendo così un innovativo meccanismo basato sul concetto di “colpa di organizzazione”. Tale meccanismo è volto ad addebitare, direttamente in capo alle persone giuridiche, i reati commessi all’interno delle stesse al ricorrere congiunto di determinati presupposti:
- l’aver commesso un reato presupposto della responsabilità dell’ente ai sensi degli artt. 24, ss, D.lgs n. 231/2001;
- che il reato sia commesso da un soggetto avente una posizione qualificata all’interno dell’ente (o di apicale o di sottoposto ai sensi degli artt. 6-7, D.lgs. n. 231/2001);
- che il reato sia stato commesso nell’interesse o a vantaggio dell’ente (art. 5, D.lgs. n. 231/2001).
Nel predisporre la responsabilità della persona giuridica, tuttavia, il Legislatore non dedica alcuna disposizione al gruppo di società. L’unica compiuta regolamentazione del fenomeno è rinvenibile agli artt. 2497, ss, c.c., introdotti attraverso la riforma del diritto societario attuata con il D.lgs. n. 6/2003.
Forse intimorito dal brocardo “Omnis definitio in iure civili periculosa est; parum est enim, ut non subverti posset”, il Legislatore non provvede a dare una compiuta definizione del gruppo di società ma ne individua l’essenza (o, per meglio dire, il baricentro) nell’attività di direzione e coordinamento che viene svolta da parte della società, posta al vertice del gruppo nei confronti delle società controllate (ai sensi dell’art. 2359 c.c.).
A fronte della lacuna riscontrata all’interno del D.lgs. n. 231/2001, il lavoro si pone il presente quesito: il gruppo di società in quanto tale può essere considerato una persona giuridica e quindi essere ricompreso nel novero dei soggetti destinatari del decreto ai sensi dell’art. 1, comma II, D.lgs. n. 231/2001? Il Decreto 231, ai sensi dell’art. 1, si applica agli “enti provvisti di personalità giuridica e alle società e associazioni anche prive di personalità giuridica eccettuati lo stato, gli enti pubblici territoriali, gli enti pubblici non economici e gli enti che svolgono funzioni di rilevo costituzionale”.
Dalla normativa emergente dal decreto si può osservare come il sistema predisposto nel 2001 sia ritagliato sull’ente singolarmente considerato, affermazione confermata dal fatto che il Legislatore non dedica alcuna disposizione al fenomeno dei gruppi di imprese. In relazione alla riconosciuta natura “penale” della responsabilità de qua, si può affermare che il gruppo di società non può rispondere in virtù di automatismi applicativi o presunzioni basate sulla presenza dell’attività di direzione e coordinamento svolta dalla capogruppo, ma bisognerà verificare se in concreto sussistono le condizioni per l’addebito di responsabilità prevista dal Decreto n. 231.
Sul punto si è più volte interrogata sia la dottrina sia la giurisprudenza, svolgendo un importante ruolo di supplenza in relazione alla lacuna normativa riscontrata.
I primi orientamenti elaborati in dottrina tendono a riconoscere al gruppo una valenza unitaria, ossia questo sarebbe un’entità giuridica autonoma e distinta rispetto alle società che lo compongono. Tali affermazioni vengono corroborate dal fatto che secondo alcuni, in relazione all’attività di direzione e coordinamento svolta dalla capogruppo, si potrebbe fondare in capo a quest’ultima una posizione di garanzia ex art. 40, comma II, c.p.; secondo altri si potrebbe fare perno sull’art. 2639, c.c. e prescindere anche dai relativi requisiti quantitativi e qualitativi, visti i collegamenti infrasocietari sussistenti all’interno del gruppo.
Secondo un’altra parte della dottrina, invece, mutuando le indicazioni rese da un parere del Consiglio di Stato, in data 11 Gennaio 2005, la responsabilità andrebbe parametrata con riferimento all’ente singolarmente considerato e, quindi, le altre società del gruppo risponderanno del reato solo nel caso in cui abbiano concorso alla commissione dello stesso. Anche la giurisprudenza che si è pronunciata sul tema mostra un andamento ondivago e altalenante.
La prima giurisprudenza di merito (ordd. Trib. di Milano 14 settembre 2004 sez. G.I.P.; 14 dicembre 2004 sez. G.I.P.; 20 dicembre 2004 sez. Riesame; sent. UNIPOL 26.02.2007) riconosce in capo al gruppo un’autonoma e distinta soggettività giuridica rispetto alle società che lo compongono, anche grazie all’elaborazione del c.d. “interesse di gruppo”, il quale si caratterizzerebbe per essere comune a tutte le società facenti parte dello stesso, impendendo di poter qualificare come terzi gli enti facenti parte di uno stesso raggruppamento di imprese e il cui perseguimento realizzerebbe una delle condizioni previste ai fini dell’integrazione della responsabilità di cui al D.lgs. n. 231/2001. Tale soluzione però non è stata confermata da una successiva Ord. del Trib. di Napoli del 26 Giugno 2007, secondo la quale le entità facenti parte del gruppo sarebbero tra loro autonome e distinte e quindi la responsabilità andrà valutata con riferimento alle singole società facenti parte dello stesso. La querelle sorta sul punto viene poi risolta dalla Cassazione che, nelle sentt. 24583/2011 e 4324/2013, riconosce al gruppo una valenza unitaria solo dal punto di vista economico, mentre le società rimarrebbero autonome e distinte sotto il profilo giuridico, non potendogli così riconoscere un’autonoma e distinta personalità o soggettività giuridica.
Tale soluzione è anche mutuata dalla disciplina emergente dal Capo IX del codice civile (intitolato “dell’attività di direzione e coordinamento”); il gruppo, infatti, si caratterizzerebbe per un elevato grado di autonomia operativa e gestionale delle entità che lo compongono, ossia le singole società facenti parte dello stesso costituirebbero entità giuridicamente a sé stanti che si pongono sotto la direzione unitaria della società capogruppo o Holding.
Secondo la Cassazione è possibile notare come l’attività esercitata dalla capogruppo si compendi in una direzione e coordinamento delle controllate, le quali mantengono intatta la loro autonoma soggettività giuridica; questo dato è anche dimostrato dal fatto che le stesse sono titolari di un patrimonio autonomo e di distinti organi sociali. Infine, l’unitarietà del gruppo esisterebbe solo dal punto di vista economico, mentre sotto il punto di vista giuridico le società sarebbero distinte le une dalle altre. Viene così affermato il seguente principio di diritto (Tosinvest 2011): “Il decreto 231 non dispone nulla in ordine alla disciplina dei gruppi società. Spetta dunque all’interprete ricostruire la catena della responsabilità in caso di società facente parte di un gruppo, individuandone i presupposti, i limiti e le garanzie. La società capogruppo [e le altre società facenti parte del gruppo] possono essere chiamate a rispondere, ai sensi del D.lgs. n. 231/2001, per il reato commesso nell’ambito dell’attività di una società controllata, purché nella consumazione concorra una persona fisica che agisca per conto della capogruppo [o delle altre società controllate], perseguendo anche l’interesse di queste ultime.” Una soluzione anche in linea con l’affermazione per cui, secondo gli orientamenti maggioritari della dottrina e della giurisprudenza, la responsabilità di cui al D.lgs. n. 231/2001 sarebbe sostanzialmente penale e quindi rispettosa degli artt. 25 e 27, Cost.
Dalle affermazioni rese dalla giurisprudenza di legittimità, dalla disciplina emergente dal Titolo IX del c.c. e dalla natura penale della responsabilità degli enti (con l’applicazione dei relativi presupposti), emerge che il gruppo non potrà essere definito quale ente dotato di personalità giuridica, poiché al gruppo mancherebbe quella “sovrastruttura organizzativa necessaria ad attribuire allo stesso una personalità giuridica, la quale presuppone la presenza di risorse e strutture che siano riconducibili a un unico soggetto di diritto e non a tanti soggetti che si uniscono ma che, comunque, rimangono distinti gli uni dagli altri.”
Quindi, non potendo il gruppo essere ricompreso tra gli enti destinatari del D.lgs. n. 231/2001, non essendo menzionato o richiamato tra i soggetti di cui all’art. 1, D.lgs. n. 231/2001 e non potendo acquisire la personalità giuridica o un’autonoma soggettività giuridica, non potrà essere ricompreso all’interno del novero dei soggetti elencati nell’art. 1, D.lgs. n. 231/2001, e non potrà essere considerato quale autonomo centro di imputazione del reato. Quindi predicare una soggettività giuridica autonoma del gruppo di imprese si tradurrebbe in una mera fictio iuris in contrasto non solo con il sistema delineato dal Legislatore con il D.lgs. n. 6/2003 ma anche con i principi costituzionali vigenti in materia penale (primo tra tutti il principio di personalità dell’illecito ex art. 24, Cost. sotto i predicati di “responsabilità per fatto proprio colpevole” e “divieto di responsabilità per fatto altrui”).
Alla luce di tali conclusioni, ci si chiede quali siano i meccanismi normativi volti a estendere la responsabilità alle società facenti parte di un gruppo in relazione alla commissione di un reato-presupposto della responsabilità dell’ente. All’esito della ricerca effettuata, a fronte delle elaborazioni dottrinali e giurisprudenziali emerse sul tema, gli istituti idonei a fondare la responsabilità degli enti che fanno parte del gruppo sono essenzialmente due:
- l’estensione della qualifica formale alla qualifica di fatto ove siano rispettati i requisiti di cui all’art. 2639, c.c.;
- il concorso di persone nel reato, ex artt. 110, ss, c.p., meccanismo idoneo a fondare la responsabilità della capogruppo e delle società controllate, aggirando così le problematiche dall’art. 27, Cost., sotto il profilo del divieto di responsabilità per fatto altrui e della responsabilità per fatto proprio colpevole;
Una conclusione in parte diversa si rinviene nel caso di “gruppo apparente”, ossia in quelle situazioni in cui si costituiscono più società di capitali le cui azioni o quote sono detenute dallo stesso soggetto. È, questo, un meccanismo volto a eludere l’applicazione di norme imperative di legge attraverso lo schermo della distinta soggettività giuridica ma, in realtà, si avrebbe un unico soggetto di diritto. Solo in questo caso, se una società facente parte del “gruppo” commettesse un reato ne risponderebbe, in via solidale, il gruppo stesso.
Dopo aver affrontato la problematica attinente al gruppo di imprese in genere, il lavoro si dedica ad un’altra tematica, ossia al meccanismo applicativo di cui all’art. 4, D.Lgs. n. 231/2001 in virtù del quale se il reato-presupposto viene commesso all’estero da parte di un ente avente la sede principale in Italia, la giurisdizione sarà del giudice italiano (si prevede così una giurisdizione dello stato italiano seppur di tipo residuale, poiché sussistente solo ove non procede contro l’ente lo stato del luogo del commesso reato). In questo caso il problema è determinato dal fatto che l’art. 4, cit. nulla dispone in merito all’ipotesi inversa, ossia se un ente con sede all’estero commette un reato in Italia. Sul punto si è più volte pronunciata sia la giurisprudenza sia la dottrina, le quali concludono affermando che tale lacuna è frutto di un’errata tecnica legislativa, la quale determina un meccanismo applicativo con pesanti ricadute a livello criminologico.
La giurisprudenza e la dottrina concludono affermando che a fronte della formulazione letterale dell’art. 4, D.lgs. n. 231/2001 non è possibile estendere la responsabilità di cui al Decreto n. 231 alle società estere operanti in Italia (giungendo alla conclusione inversa si violerebbe il divieto di analogia vigente in materia penale). Tale conclusione determina però un allargamento e un indebolimento delle maglie repressive del diritto penale, determinando così una “zona grigia” in cui non è possibile perseguire efficacemente gli enti stranieri per i reati commessi in Italia.
Questa lacuna determina una situazione ancor più insostenibile se il nostro sguardo viene rivolto ai gruppi multinazionali; il quesito che sorge spontaneo sul punto è: cosa accade se l’esponente aziendale della Holding con sede all’estero abbia concorso con l’esponente aziendale della controllata con sede in Italia alla commissione di un reato qualificato come presupposto dal Decreto n. 231? Si ponga il caso in cui venga commesso in Italia un reato-presupposto della responsabilità dell’ente da parte di una società controllata con sede in Italia, mentre la società capogruppo abbia la sede principale all’estero: la società Holding Alfa, con sede in Inghilterra, costituisce un fondo nero che verrà utilizzato dalla società controllata Beta, con sede in Italia, per corrompere un pubblico ufficiale italiano.
In questo caso bisogna parametrare il giudizio in merito alla nazionalità dell’ente non con riferimento al gruppo globalmente e singolarmente considerato, ma con riferimento alle singole entità che ne fanno parte. Sarà quindi necessario fare riferimento alle singole sedi delle società nel cui interesse o a cui vantaggio il reato è stato commesso.
Riferendosi all’ipotesi in analisi, qualora sia ravvisabile un concorso nel reato tra un esponente della società “Alfa” e un esponente della società “Beta”, solo nei confronti della seconda sarà possibile muovere un addebito di responsabilità; invece non si potrà procedere nei confronti della prima stante, allo stato normativo attuale, la mancanza di un criterio che consenta di estendere le disposizioni di cui al D.lgs. n. 231/2001 alle società non aventi la loro sede principale in Italia.
A parere di chi scrive, alla luce della situazione normativa e giurisprudenziale oggi vigente, sono due le problematiche che paiono emergere dallo studio effettuato:
- il mancato riconoscimento del gruppo come autonomo soggetto di diritto all’interno del D.lgs. n. 231/2001 e
- la formulazione dell’art. 4, D.lgs. n. 231/2001 e i vantaggi conseguenti per i gruppi e le società con sede all’estero operanti in Italia.
L’interrogativo che sorge sul punto è quindi: quali sono le possibili soluzioni per risolvere le problematiche determinate dalle lacune normative riscontrate nell’indagine svolta nel presente lavoro? Sicuramente è necessario in entrambe le situazioni un intervento del Legislatore, oggi sempre più impellente, è necessaria, inoltre, una presa di posizione che riesca a bilanciare i principi vigenti in materia penale ed economica. È necessario, ancora, un intervento che riesca a rendere il nostro ordinamento “normativamente” più competitivo poiché solo in questo modo sarà possibile attrarre nuovi investimenti e capitali e solo in questo modo riusciremo a creare un sempre più moderno diritto dell’economia. A tal fine vengono ipotizzate tre proposte normative che si prefiggono lo scopo di poter rappresentare la base di un futuro dibattito sul tema.