Revirement della Suprema Corte: la sentenza dichiarativa di fallimento è condizione obiettiva di punibilità e non (più) elemento costitutivo del reato di bancarotta
Cassazione penale, Sezione Quinta, udienza 8 febbraio 2017, Informazione provvisoria n. 3/2017
Presidente Fumo, Relatore De Marzo, Pm Lori
In considerazione dell’indubbio interesse scientifico e pratico, pubblichiamo, con riserva di più ampio commento delle motivazioni, l’informazione provvisoria della sentenza in epigrafe, con cui la Corte di Cassazione ha assunto una posizione divergente rispetto al precedente consolidato orientamento in tema di bancarotta prefallimentare e, segnatamente, in ordine alla natura della sentenza dichiarativa del fallimento.
Com’è noto infatti, sussisteva sul tema un contrasto storico e risalente tra letteratura e giurisprudenza. La prima riteneva (e tuttora ritiene) il fallimento alla stregua di una condizione oggettiva di punibilità, di guisa che esso non sarebbe elemento costitutivo della fattispecie e non dovrebbe pertanto essere abbracciato dall’elemento psicologico del dolo. Diversamente, la seconda, con plurimi arresti che seguirono le Sezioni Unite Mezzo del 1958, usava qualificare la sentenza fallimentare come elemento costitutivo del reato (talora quale vero e proprio evento del reato, talaltra come mero elemento).
Orbene, la Sezione Quinta della Corte pare oggi, almeno in parte, conformarsi all’orientamento avanzato dalla dottrina. Essa, infatti, statuisce che:
“La sentenza dichiarativa di fallimento costituisce condizione obiettiva di punibilità. Ciò, peraltro, comporta la conseguenza che il termine di prescrizione decorre, ai sensi dell’art. 158 c.p. dalla data della predetta sentenza e che la competenza territoriale appartiene al giudice del luogo nel quale si è verificata tale condizione”.