Il Ddl Gelli è legge. Ecco tutte le novità in tema di responsabilità medica
in Giurisprudenza Penale Web, 2017, 3 – ISSN 2499-846X
Nel tardo pomeriggio di ieri, 28 febbraio, la Camera dei Deputati ha approvato senza emendamenti il disegno di legge C-259, proposto dall’onorevole Federico Gelli, che reca “disposizioni in materia di sicurezza delle cure e della persona assistita, nonché in materia di responsabilità professionale degli esercenti le professioni sanitarie”, così come ricevuto dal Senato della Repubblica lo scorso 12 gennaio.
Il testo, ora nella sua forma definitiva, si presta finalmente ad una analisi compiuta.
Come è noto, la riforma affronta e disciplina i temi della sicurezza delle cure e del rischio sanitario, della responsabilità dell’esercente la professione sanitaria e della struttura sanitaria pubblica o privata, delle modalità e caratteristiche dei procedimenti giudiziari aventi ad oggetto la responsabilità sanitaria, nonché degli obblighi di assicurazione e dell’istituzione del Fondo di garanzia per i soggetti danneggiati da responsabilità sanitaria.
Fra gli obiettivi, quello di ridurre il contenzioso, civile e penale, avente ad oggetto la responsabilità medica, al tempo stesso garantendo un più efficace sistema risarcitorio nei confronti del paziente.
La nuova legge agisce su tre fronti, amministrativo, penale e civile. Vediamo, dunque, con ordine le principali novità.
Essa anzitutto chiarisce all’articolo 1 che la sicurezza delle cure è parte costitutiva del diritto alla salute, la quale assume così un vero e proprio valore costituzionale alla luce dell’art. 32 Cost.
Articoli 2-5. Novità di carattere amministrativo
Le norme successive istituiscono una serie di nuovi organi. In particolare, è creata la figura del Garante del diritto alla salute (articolo 2), funzione che potrà essere affidata dalle Regioni all’Ufficio del Difensore civico. Esso potrà essere adito gratuitamente dai destinatari di prestazioni sanitarie per la segnalazione, anche anonima, di disfunzioni nel sistema dell’assistenza sanitaria e socio-sanitaria, ed agirà ove necessario a tutela dell’interessato.
Viene poi contemplata l’istituzione in ogni Regione, senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica, del Centro per la gestione del rischio sanitario e la sicurezza del paziente, cui è affidato il compito di raccogliere i dati regionali sui rischi ed eventi avversi e sul contenzioso e di trasmetterli annualmente all’Osservatorio nazionale delle buone pratiche sulla sicurezza in sanità istituito e disciplinato dal successivo articolo 3. Tale osservatorio, ricevuti i dati predetti, individua idonee misure per la prevenzione e gestione del rischio sanitario e il monitoraggio delle buone pratiche per la sicurezza delle cure, nonché per la formazione e aggiornamento del personale esercente le professioni sanitarie.
L’articolo 4 sottopone all’obbligo di trasparenza le prestazioni sanitarie erogate dalle strutture pubbliche e private nel rispetto della normativa in materia di protezione dei dati personali (d. lgs. n. 196/2003), obbligando la direzione sanitaria a fornire in tempi rapidi la documentazione sanitaria relativa al paziente. Viene infine previsto che le medesime strutture sanitarie pubbliche e private debbano pubblicare sul proprio sito Internet i dati relativi ai risarcimenti erogati nell’ultimo quinquennio.
Da ultimo, l’articolo 5 regola un aspetto di importanza fondamentale, per ciò che specialmente riguarda la responsabilità penale degli esercenti la professione sanitaria. Esso da un lato stabilisce che tali soggetti debbano attenersi alle buone pratiche clinico-assistenziali e le raccomandazioni previste dalle linee guida e dall’altro lato impone che un elenco completo ed esaustivo delle stesse buone pratiche e linee guida sia istituito e regolato con Decreto ministeriale ed inserito nel Sistema nazionale per le linee guida (SNLG). Come si vedrà nel prosieguo, si tratta di una novità ragguardevole, giacché rende accessibili e conoscibili con precisione le indicazioni mediche fornite dalla comunità scientifica.
Art. 6. Responsabilità penale del medico
Giungiamo a questo punto alla novità in questa sede certamente più rilevante. La riforma tocca la responsabilità medica penale.
Sul punto, pare utile fornire un rapido excursus normativo e giurisprudenziale, per quindi comprendere la portata delle attuali modifiche.
Nel corso degli ultimi decenni e fino a questa riforma, la natura penale della responsabilità del medico ha visto tre distinte stagioni.
La prima, collocabile sino agli anni ottanta del secolo scorso, aveva reso un orientamento del tutto benevolo nei confronti dei sanitari che cagionavano per colpa eventi criminosi. Si sosteneva infatti, in ragione della complessità del mestiere, che per ascrivere a tali soggetti una responsabilità penale, dovesse rilevare soltanto l’errore grossolano e macroscopico, l’errore inescusabile. Questo ragionamento poggiava sull’applicazione dell’art. 2236 cod. civ., il quale stabilisce la responsabilità civile del prestatore d’opera solo per dolo o colpa grave, qualora la prestazione implichi la soluzione di problemi tecnici di speciale difficoltà. Questa concezione condusse ad una repressione delle condotte colpose decisamente a maglie larghe.
Nei successivi decenni, il predetto orientamento cedette il passo ad una seconda ed opposta visione, che negò l’applicabilità della citata norma civile, se non nei casi di oggettiva speciale difficoltà, parametro da accertare in concreto caso per caso. Per il resto, ciò che si considerava rilevante per la determinazione della colpa penale era il solo articolo 43 cod. pen., con la conseguenza che anche la colpa lieve poteva senz’altro assumere rilevanza criminale. Siffatta tendenza ebbe ben presto l’effetto di aumentare il contenzioso passivo nei confronti dei medici con un conseguente e sensibile accrescimento delle condanne penali. Si rese pertanto necessario l’intervento del Legislatore.
Quest’ultimo avvenne solo nel 2012, con la nota legge Balduzzi (l. n. 189/2012) che segnò la terza stagione della responsabilità criminale dei sanitari. L’atto normativo in parola prevedeva due requisiti per l’irrilevanza penale del fatto illecito colposo commesso dal medico. Da un lato, vi era il rispetto delle linee guida e buone pratiche accreditate dalla comunità scientifica, dall’altro lato l’assenza di colpa grave (art. 3, legge cit.).
Orbene, un testo così innovativo ed al contempo laconico rese necessario il pronto intervento ermeneutico dell’interprete, che non si fece attendere.
Numerosi furono gli approdi giurisprudenziali sul tema, tra i quali in questa sede, per brevità, si ricordano le sentenze della Corte di Cassazione Pagano, Cantore e Denegri (1), che, anche in tempi molto recenti, fissarono alcuni punti fermi. Anzitutto, le linee guida e le buone pratiche non hanno natura di norme cautelari, perché si tratta di direttive generali, istruzioni di massima, che vanno necessariamente applicate e modellate al caso concreto. Per conseguenza, il comportamento del medico può essere colposo anche ove perfettamente rispettoso delle suddette indicazioni scientifiche.
In secondo luogo, la colpa deve essere lieve e non grave. In tal modo essa finisce per assumere un duplice rilievo: per un verso è parametro per determinare la gravità del fatto e dunque la misura della pena (art. 133 cod. pen.), per altro verso essa costituisce il discrimine tra rilevanza ed irrilevanza penale. Nell’operare tale discrimine occorre svolgere un giudizio basato sulle peculiarità del caso concreto (conoscenze scientifiche del tempo, caratteristiche dell’atto e dell’agente, grado di scostamento dallo standard del professionista modello, ecc.).
La giurisprudenza del tutto prevalente riteneva poi che la legge Balduzzi prevedesse la scriminante della colpa lieve nei soli casi di imperizia, e non di negligenza o imprudenza. Tale conclusione, avanzata dalle sentenze Pagano e Cantore, poggiava sull’assunto che le linee guida e le buone pratiche contenessero esclusivamente regole di perizia. In altre parole, il medico che, pur seguendo le indicazioni della comunità scientifica, cagionasse un evento criminoso per negligenza o imprudenza, sarebbe penalmente responsabile per colpa, sia essa lieve o grave. Si segnala sul punto che la citata sentenza Denegri (su cui diffusamente questa Rivista, ivi) invece ammette la scriminante per ogni forma di colpa, purché lieve.
Orbene, l’odierna riforma costituisce il recepimento dell’orientamento giurisprudenziale prevalente formatosi sull’art. 3 della legge Balduzzi, al contempo provvedendo ad abrogare tale ultimo articolo. A fronte dell’abrogazione è inserito nel codice penale il nuovo articolo 590-sexies, rubricato “Responsabilità colposa per morte o lesioni personali in ambito sanitario”.
Ed il testo è del seguente tenore: “(comma 1) Se i fatti di cui agli articoli 589 e 590 sono commessi nell’esercizio della professione sanitaria, si applicano le pene ivi previste salvo quanto disposto dal secondo comma. (comma 2) Qualora l’evento si sia verificato a causa di imperizia, la punibilità è esclusa quando sono rispettate le raccomandazioni previste dalle linee guida come definite e pubblicate ai sensi di legge ovvero, in mancanza di queste, le buone pratiche clinico – assistenziali, sempre che le raccomandazioni previste dalle predette linee guida risultino adeguate alle specificità del caso concreto”.
Come si vede, è scomparso ogni riferimento al problematico concetto di colpa grave e la scriminante oggi opera solo in caso di colpa (grave o lieve) per imperizia, con ciò dando seguito alle citate sentenze Cantore e Pagano. Resta fermo il rispetto delle linee guida e buone pratiche, di cui va fatto un uso confacente al caso concreto: ove occorrano debbono essere applicate, diversamente corre l’obbligo di disapplicarle.
Ma vi è di più; da un lato infatti si precisa che la speciale irrilevanza penale opera solo con riferimento ai reati di omicidio colposo e lesioni colpose, mentre la legge Balduzzi sul punto non disponeva (con ciò, almeno in astratto, lasciando intendere che tutti i reati propri della professione medica fossero scriminati; vedi ad es. il delitto di interruzione colposa di gravidanza).
Dall’altro lato, come più sopra illustrato, le linee guida e buone pratiche sono finalmente “definite e pubblicate ai sensi di legge”, ed in particolare ai sensi dell’articolo 5 della legge in commento, già visto più sopra. Così, la norma penale ne guadagna senz’altro in termini di precisione e determinatezza.
Articolo 7. La responsabilità civile del medico e della struttura sanitaria
Benché non sia questa la sede per una analisi approfondita degli aspetti civili della responsabilità medica, è tuttavia interessante spendere poche parole sulle novità introdotte in questo ambito dalla legge in commento; esse costituiscono infatti un vero e proprio “cambio di rotta” rispetto alla tradizionale impostazione giurisprudenziale.
L’art. 7 infatti stabilisce una netta bipartizione delle responsabilità dell’ente ospedaliero e della persona fisica per i danni occorsi ai pazienti.
La struttura sanitaria assume una responsabilità di natura contrattuale ex art. 1218 cod. civ., mentre il medico, salvo il caso di obbligazione contrattuale assunta con il paziente, risponde in via extracontrattuale ex art. 2043 cod. civ..
Niente affatto secondarie le conseguenze pratiche di tale qualificazione. Sul fronte probatorio anzitutto, poiché nel primo caso al paziente danneggiato basta provare il titolo (che dimostri il ricovero e dunque l’assunzione dell’obbligazione da parte dell’ospedale) ed allegare l’inadempimento, il resto spettando all’ente convenuto, mentre nel secondo caso l’onere dell’attore abbraccia tutti gli elementi della pretesa, e dunque tanto quello oggettivo, nella sua triade condotta – evento – nesso di causa, tanto quello soggettivo, consistente nella colpa. La descritta bipartizione agisce altresì sul piano della prescrizione dell’azione, decorrendo quella contrattuale nell’ordinario termine decennale (art. 2946 cod. civ.) e quella aquiliana nel più breve termine quinquennale (art. 2947 cod. civ.).
Si diceva, questo nuovo assetto normativo si pone in regime di discontinuità rispetto al passato. Il lettore avrà contezza che tanto la Suprema Corte quanto la giurisprudenza di merito in via del tutto prevalente usavano qualificare la responsabilità della struttura sanitaria e del medico come vera e propria responsabilità contrattuale ex artt. 1218 e 1228 cod. civ. (si veda ex plurimis Cass. civ. SS.UU. n. 577/2008). La prima discendeva direttamente dal cd. contratto di spedalità stipulato con il paziente, mentre la seconda si faceva risalire alla terza delle fonti di obbligazioni previste dall’art. 1173 cod. civ., diversa dal contratto e dal fatto illecito, e consistente in “ogni altro fatto o atto idoneo a produrle”.
Si sosteneva infatti che, all’atto di ricovero, tra medico e paziente si stabilisce un contatto sociale qualificato (in ciò che esso non è casuale, ma voluto d’ambo le parti), per effetto del quale il primo assume specifici obblighi di protezione nei confronti del secondo. Ad avviso dell’interprete, dunque, la violazione di tali obblighi imponeva il risarcimento del danno nelle forme prescritte dall’art. 1218 cod. civ..
Ora, una qualificazione identica della responsabilità di medico ed ospedale, per di più con i descritti vantaggi processuali in capo al danneggiato, aveva avuto l’effetto inaccettabile di ripartire equamente il rischio risarcitorio in capo a tali soggetti, senza considerare le ben diverse capacità finanziare di costoro.
La riforma in commento intende dunque diversificare in modo netto le due posizioni, spostando il rischio sul soggetto maggiormente capiente. Ciò, a ben vedere, va a vantaggio tanto dell’esercente la professione sanitaria, il quale risponde solo dei danni integralmente provati dal paziente, tanto del paziente medesimo che viene invitato ad agire contro chi più facilmente può ristorare i danni.
Articoli 8 e 9. Riduzione del contenzioso e azione di rivalsa
Tali norme sono specificamente volte a ridurre il contenzioso per i procedimenti di risarcimento da responsabilità sanitaria.
In particolare, l’articolo 8 prevede l’introduzione di un tentativo obbligatorio di conciliazione a carico di chi intenda esercitare in giudizio un’azione risarcitoria. Nello specifico, viene disposta l’applicazione dell’istituto del ricorso presso il giudice civile competente per l’espletamento di una consulenza tecnica preventiva ai sensi dell’art. 696-bis c.p.c., ai fini dell’accertamento e della relativa determinazione dei crediti derivanti dalla mancata o inesatta esecuzione di obbligazioni contrattuali o da fatto illecito. La domanda giudiziale è procedibile, solo se la conciliazione non riesce o il relativo procedimento non si conclude entro il termine perentorio di sei mesi dal deposito del ricorso.
L’articolo 9 reca un’ulteriore disposizione, a completamento del nuovo regime della responsabilità sanitaria, che disciplina l’azione di rivalsa o di responsabilità amministrativa della struttura sanitaria nei confronti dell’esercente la professione sanitaria, in caso di dolo o colpa grave di quest’ultimo, successivamente all’avvenuto risarcimento (sulla base di titolo giudiziale o stragiudiziale) ed entro un anno dall’avvenuto pagamento.
Articoli 10-11. Obblighi assicurativi
Infine, la riforma introduce precisi obblighi assicurativi in capo alle strutture sanitarie ed agli esercenti la professione sanitaria. Ciò, a ben vedere, allo scopo di rendere effettiva l’eventuale condanna di tali soggetti al risarcimento dei danni cagionati ai pazienti.
In particolare, è previsto anzitutto l’obbligo di assicurazione per la responsabilità contrattuale (ex artt. 1218 e 1228 c.c.) verso terzi e verso i prestatori d’opera, a carico delle strutture sanitarie e sociosanitarie, pubbliche e private, anche per i danni cagionati dal personale a qualunque titolo operante presso le strutture medesime.
In secondo luogo, si stabilisce l’obbligo, per le strutture in esame, di stipulare una ulteriore polizza assicurativa per la copertura della responsabilità extracontrattuale (ex art. 2043 c.c.) verso terzi degli esercenti le professioni sanitarie, per l’ipotesi in cui il danneggiato esperisca azione direttamente nei confronti del professionista.
Infine, è fatto obbligo di assicurazione a carico del professionista sanitario che svolga l’attività al di fuori di una delle predette strutture o che presti la sua opera all’interno della stessa in regime libero-professionale, ovvero che si avvalga della stessa nell’adempimento della propria obbligazione contrattuale assunta con il paziente, per i rischi derivanti dall’esercizio della medesima attività.
(1) Si tratta rispettivamente di Cass. pen. nn. 11494/2013, 16237/2013 e 23283/2016.
Come citare il contributo in una bibliografia:
L. Roccatagliata, Il Ddl Gelli è legge. Ecco tutte le novità in tema di responsabilità medica, in Giurisprudenza Penale Web, 2017, 3.