Detenzione domiciliare speciale (art. 47 quinquies o.p.) e madri condannate per i delitti di cui all’art. 4-bis: dichiarata l’illegittimità parziale della norma
Corte Costituzionale, sentenza numero 76, deposito 12 aprile 2017
Presidente Grossi, Redattore Zanon
Segnaliamo la pronuncia numero 76 del 2017 della Corte Costituzionale con cui è stata dichiarata l’illegittimità parziale dell’art. 47 quinquies c. 1-bis (Detenzione domiciliare speciale) della Legge 26/07/1975, n. 354 (ordinamento penitenziario).
Il Tribunale di sorveglianza di Bari aveva dubitato della legittimità costituzionale dell’art. 47-quinquies c. 1-bis o. p. nella parte in cui impedisce alle madri condannate per i delitti di cui all’art. 4-bis della medesima legge l’accesso alle modalità di espiazione della pena ivi previste (Detenzione domiciliare speciale).
Secondo il giudice a quo, la preclusione all’accesso a tali modalità agevolate di espiazione della pena per le madri condannate per taluno dei delitti indicati nell’art. 4-bis della legge n. 354 del 1975 si porrebbe in contrasto con gli artt. 3, 29, 30 e 31 della Costituzione, in quanto ispirata dalla volontà di far prevalere la pretesa punitiva statale rispetto alle esigenze, che pur dovrebbero essere preminenti, di tutela della maternità e del minore. Sarebbe così vanificata la stessa ratio ispiratrice della detenzione domiciliare speciale, in tesi volta primariamente a ripristinare la convivenza tra madri e figli. È in particolare richiamata la sentenza di questa Corte n. 239 del 2014, la cui ratio decidendi sarebbe conferente anche nel caso in esame nel giudizio principale.
La questione è stata ritenuta fondata per ciò che riguarda l’accertata violazione dell’art. 31, secondo comma, Cost., che ha comportato l’assorbimento delle censure relative agli altri parametri costituzionali evocati dal Tribunale di Bari.
Questa Corte ha già chiarito – si legge nella decisione – «che, affinché il preminente interesse del minore possa restare recessivo di fronte alle esigenze di protezione della società dal crimine, la legge deve consentire che sussistenza e consistenza di queste ultime siano verificate in concreto, e non già sulla base di automatismi che impediscono al giudice ogni margine di apprezzamento delle singole situazioni (ancora, sentenza n. 239 del 2014). Proprio una tale preclusione è contenuta nella disposizione censurata».
Nella disposizione in esame il legislatore – continua la Consulta – «ha escluso in assoluto dall’accesso ad un istituto primariamente volto alla salvaguardia del rapporto con il minore in tenera età le madri accomunate dall’aver subito una condanna per taluno dei delitti indicati in una disposizione (l’art. 4-bis della legge n. 354 del 1975) che contiene, oltretutto, un elenco di reati complesso, eterogeneo, stratificato e di diseguale gravità (sentenza n. 32 del 2016)».
Ne deriva – si legge in sentenza – che «vengono del tutto pretermessi l’interesse del minore ad instaurare un rapporto quanto più possibile “normale” con la madre, nonché la stessa finalità di reinserimento sociale della condannata, non estranea, come si è già detto, alla detenzione domiciliare speciale, quale misura alternativa alla detenzione. Questa sorta di esemplarità della sanzione – la madre deve inevitabilmente espiare in carcere la prima frazione di pena – non può essere giustificata da finalità di prevenzione generale o di difesa sociale (sentenza n. 313 del 1990). Infatti, le esigenze collettive di sicurezza e gli obiettivi generali di politica criminale non possono essere perseguiti attraverso l’assoluto sacrificio della condizione della madre e del suo rapporto con la prole».
In conclusione, è stata dichiarata l’illegittimità costituzionale dell’art. art. 47 quinquies o.p. comma 1 , limitatamente alle parole «Salvo che nei confronti delle madri condannate per taluno dei delitti indicati nell’articolo 4-bis,».