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Ulteriori sviluppi nazionali a seguito della pronuncia CEDU De Tommaso c. Italia. Spicca una (nuova) questione di legittimità costituzionale

Nelle scorse settimane avevamo informato il lettore del deposito da parte della Corte di Strasburgo della sentenza De Tommaso c. Italia, che aveva dichiarato contrari alla Convenzione EDU (e segnatamente all’art. 2 Prot. 4 alla Convenzione – diritto alla libertà di movimento) gli artt. 1, 3 e 5, legge n. 1423/156 (oggi trasposti negli artt. 1, 6 e 8 d. lgs. 159/2011), che dispongono in riferimento ai soggetti destinatari delle misure di prevenzione personali ed alla natura e al contenuto delle misure stesse.

Si tratta di norme non sufficientemente precise e quindi non prevedibili ex ante, aveva detto la Corte.

Rapide sono state le reazioni giudiziali interne al suddetto pronunciamento. In particolare, la Rivista aveva già dato atto della rimessione di una questione alle Sezioni Unite della Corte di Cassazione, della questione di legittimità costituzionale sollevata dalla Corte di Appello di Napoli, nonché del Decreto del Tribunale di Milano che invece aveva ritenuto la sentenza europea non rilevante.

Oggi aggiorniamo il lettore in merito ad ulteriori tre arresti della giurisprudenza nazionale, anche questa volta tra loro contrastanti.

1. In primo luogo, segnaliamo che il Tribunale di Udine ha a sua volta sollevato questione di legittimità costituzionale degli artt. 4 comma 1 lett. c), 6 e 8, D. lgs. 159/2011 per sospetta violazione dell’art. 117 Cost.

L’ordinanza di rimessione ricorda che, secondo giurisprudenza costituzionale del tutto consolidata, “alla Convenzione EDU deve riconoscersi una peculiare rilevanza per il suo contenuto e dunque la norma nazionale incompatibile con norma della CEDU o con gli obblighi internazionali di cui all’articolo 117 comma 1 Cost., viola per ciò stesso il parametro costituzionale, che realizza un rinvio mobile alla norma convenzionale di volta in volta conferente che dà vita contenuto a quegli obblighi”.

In buona sostanza, la Convenzione si pone come parametro interposto fra la Costituzione e la norma interna, con la conseguenza che una violazione della Convenzione equivale ad una violazione della Costituzione.

In ultimo, l’ordinanza, pur tenendo a mente quanto sancito dalla stessa Consulta con sentenza n. 49/2015, e segnatamente che il giudice nazionale non ha l’obbligo di porre a fondamento del proprio processo interpretativo la giurisprudenza della corte europea, che non sia espressione di un orientamento consolidato nel denunziare la violazione dei principi CEDU, il Tribunale ha ritenuto non pertinente al caso di specie siffatto rilievo, sul presupposto che la sentenza europea in parola è stata emessa dal suo massimo consesso, vale a dire la Grande Camera.

Di qui, dunque, il sospetto di illegittimità costituzionale (per violazione dell’art. 117 Cost.) degli artt. 4, 6 e 8 D. lgs. 159/2011, che ad avviso del Tribunale “riproducono il contenuto degli articoli 1, 3 e 5 della legge n. 1423/1956”, che hanno formato oggetto di censura da parte dei Giudici di Strasburgo.

2. Sotto altro profilo, diamo atto di due ulteriori pronunce di merito che, nell’applicare o rinnovare le misure, hanno invece ritenuto che la sentenza De Tommaso non sia d’ostacolo all’applicazione delle norme che sanciscono i requisiti soggettivi e le modalità prescrittive delle misure di prevenzione, e ciò in virtù di una interpretazione convenzionalmente orientata delle stesse.

Si tratta del Decreto del Tribunale di Roma del 3 aprile, che pare seguire le linee argomentative della Procura di Tivoli (la cui memoria alleghiamo per una più chiara comprensione), e del Decreto del Tribunale di Palermo del 28 marzo, che invece inserisce una propria e corposa motivazione.

Di seguito, brevemente, le argomentazioni dei due Tribunali.

Anzitutto, dette pronunce chiariscono, citando la giurisprudenza costituzionale, quale sia il valore delle decisioni della Corte EDU e quali ricadute esse debbono avere negli ordinamenti interni. In particolare, “la sentenza pronunciata dalla Corte di Strasburgo (…) resta pur sempre legata alla concretezza della situazione che l’ha originata (…) con la conseguenza che – salvo il caso in cui il Giudice comune sia chiamato a pronunciarsi nella medesima fattispecie concreta in cui è stata resa la decisione della CEDU – resta fermo che l’applicazione e l’interpretazione del sistema di norme sono attribuite (…) in prima battuta ai giudici degli Stati membri” (Corte Cost., sentenze nn. 349/2007, 236/2011, 49/2015).

Pertanto, ogni volta che il giudice nazionale sia chiamato a pronunciarsi su una situazione di fatto (e ad applicare una norma giuridica) diverse da quelle concretamente trattate la Corte EDU, questi non sarà vincolato al precedente europeo.

In seconda battuta, notano i Tribunali, la sentenza De Tommaso non può ritenersi un precedente consolidato, con la conseguenza che, una volta di più, il Giudice nazionale non ha l’obbligo di porre la pronuncia europea a fondamento della propria decisione. Da un lato infatti, la Corte EDU non ha mai trattato in precedenza lo specifico tema della prevedibilità delle disposizioni in tema di misure di prevenzione, dall’altro lato, la giurisprudenza interna ha comunque chiarito come di queste stesse disposizioni si imponga una interpretazione costituzionalmente orientata, nel rispetto dei parametri di determinatezza e precisione, ciò che scongiura ogni violazione della stessa Costituzione.

Ciò posto, le due pronunce si fanno carico di fornire una interpretazione che renda le norme in parola conformi a Convenzione. Provano, in sostanza, a renderle più precise e più prevedibili.

Con riferimento alla pericolosità del proposto, le due pronunce hanno ritenuto che tale requisito fosse inequivocabilmente presente nei rispettivi casi di specie, in virtù di plurimi indici quali, fra l’altro, i numerosi e gravi precedenti penali, nonché la violazione delle prescrizioni precedentemente imposte. Pertanto, non si poneva in questi casi un tema di precisione e prevedibilità del requisito di pericolosità sociale.

Per ciò che riguarda la prescrizione di vivere onestamente e rispettare le leggi, i Tribunali hanno sancito che essa vada rivolta al preposto, chiarendo che solo specifici fatti (quali, anzitutto, le condotte penalmente rilevanti), che siano dimostrativi di una pericolosità sociale, ne potranno costituire una violazione rilevante.

Quanto invece al divieto di partecipare a pubbliche riunioni, si chiarisce che tale prescrizione debba valere solo per quelle riunioni dotate di uno specifico indice di pericolosità. E tale indice si trae dal combinato disposto degli artt. 17 Cost. e 18 Tulps, che disciplinano l’obbligo del preavviso all’Autorità: sono in astratto pericolose, e possono essere oggetto del divieto, solo (i.) le riunioni non tutelate dalla Costituzione, perché non pacifiche e con armi, (ii.) le riunioni che richiedono un preavviso all’Autorità.

In virtù delle suddette argomentazioni, dunque, i Tribunali hanno ritenuto che l’attuale normativa in tema di misure di prevenzione personali possa essere conforme alla Convenzione EDU, laddove opportunamente interpretata. Di conseguenza, non si sono rese necessarie questioni di legittimità costituzionale.

Redazione Giurisprudenza Penale

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