Sospensione delle pene sino a 4 anni di reclusione e affidamento “allargato”: il Tribunale di Milano adotta l’interpretazione costituzionalmente orientata
in Giurisprudenza Penale Web, 2017, 4 – ISSN 2499-846X
Tribunale di Milano, Sez. XI, ordinanza 21 marzo 2017 (ud. 16 marzo 2017)
Giudice Dott.ssa Maria Idria Gurgo di Castelmenardo
La pronuncia in commento, intervenuta a seguito di incidente di esecuzione avverso un ordine di esecuzione di una pena di anni 3 e mesi di 9 di reclusione, è da segnalare per la motivata adesione ad una interpretazione costituzionalmente orientata dell’art. 656 co. 5 c.p.p. La questione, nota da tempo ma mai approfondita in modo adeguato dalla giurisprudenza di legittimità, deriva dal disallineamento sistematico tra il meccanismo di sospensione dell’ordine di esecuzione contemplato dalla norma poc’anzi citata e la nuova ipotesi di affidamento in prova c.d. “allargato” introdotta con il D.L. n. 146 del 2013 attraverso l’inserimento nel corpo dell’art. 47 O.P. del co. 3 bis. A fronte dell’introduzione di una ipotesi di affidamento in prova anche per pene sino a quattro anni, non è stata infatti modificata la norma che disciplina la sospensione dell’esecuzione di pene suscettibili di essere scontate in misura alternativa, nonostante un espresso invito in questo senso fosse giunto da parte del C.S.M. nel parere reso sulla nuova normativa, in conformità con la segnalazione della Commissione mista per lo studio dei problemi della magistratura di sorveglianza.
Da un lato, appare indiscutibile la volontà legislativa di creare una sorta di “doppio binario” nel quale vi sono due distinte ipotesi di affidamento in prova al servizio sociale: non si è infatti proceduto semplicemente a modificare il tetto della pena massima eseguibile in affidamento, ma si è creata una figura a sé stante, diversa certamente per il più lungo periodo di osservazione (un anno, in detenzione, misura cautelare o in libertà)
D’altra parte, però, è innegabile che le differenze tra le due ipotesi non giustifichino la disparità di trattamento rispetto alla necessità dell’ingresso in carcere per la richiesta della misura: esse si fondano infatti sul medesimo giudizio (la prognosi positiva di idoneità) e sulla medesima base cognitiva (i risultati dell’osservazione della personalità) (BARONTINI, L’affidamento in prova al servizio sociale “allargato” e mancato “allargamento” del termine di sospensione dell’ordine di esecuzione, DPC 2016). E, d’altronde, il passaggio obbligato dal carcere è certamente in contrasto con la tendenza di deflazione del sovraffollamento e di spinta verso la finalità rieducativa della sanzione propria dei provvedimenti “svuotacarceri” succedutisi dal 2010 ad oggi.
Dunque, per colmare tale disallineamento sono due le strade possibili.
L’una, scelta dal Tribunale di Milano e già in precedenza da alcune decisioni di legittimità (Cass. Sez. I, 4 marzo 2016, n. 37848 e Cass. Sez. I, 31 maggio 2016, n. 51864), è quella di una lettura combinata delle due disposizioni, che valorizzi alcuni aspetti determinanti (la possibilità di accedere al beneficio dopo l’osservazione in libertà, la simmetria delle condizioni soggettive tra i diversi casi di affidamento in prova, l’illogicità di un percorso deflattivo della popolazione carceraria in uscita e non anche in entrata), e superi le difficoltà applicative, peraltro minime, di una valutazione del pubblico ministero non limitata al limite di pena ma estesa ad altri requisiti oggettivi, peraltro sulla falsariga dei casi di detenzione domiciliare ovvero di affidamento terapeutico già previsti dall’art. 656 co. 5 c.p.p. E’ sufficiente infatti che l’organo preposto all’esecuzione verifichi l’assenza di elementi oggettivamente ostativi alla valutazione prognostica positiva (pendenze ovvero condanne per reati commessi nell’anno antecendente, trasgressioni rispetto all’eventuale misura cautelare non detentiva sussistente, a titolo di esempio). Nessuna valutazione discrezionale, dunque, ma soltanto una prima “scrematura” rispetto alla successiva decisione autonoma ed approfondita come in tutti i casi di richiesta di una misura alternativa, della magistratura di sorveglianza.
La seconda via, scelta dal Tribunale di Lecce con il proprio provvedimento dello scorso 13 marzo (Giurisprudenza Penale web, 2017, 3, con commento di MOLFETTA), è quella dell’incidente di costituzionalità della norma, ritenuta contraria tanto al principio di uguaglianza che all’art. 27 co. 3 Cost.; tale via, che comporta peraltro tempi assai lunghi perché si pronunci il giudice delle leggi, si basa sul presupposto che non sia percorribile la via di una interpretazione adeguatrice ai principi costituzionali e che anche la disapplicazione diretta della disposizione ritenuta illegittima non sia possibile senza una inammissibile interpretazione additiva.
Certo è che l’attuale situazione di incertezza incide sul diritto alla libertà personale. Si deve quindi auspicare che la Corte di cassazione – che dovrà valutare il ricorso proposto avverso il provvedimento commentato – anticipando i tempi ed eventualmente riunita nel suo massimo consesso, confermi la interpretazione fatta propria dal Tribunale di Milano, anche sulla base del non trascurabile argomento sistematico della intenzione del legislatore riformatore (utilizzato, per esempio, nella recente Cass. Sez, unite, 27 ottobre 2016, n. 8825, in tema di specificità dell’atto di appello); la delega per la riforma dell’ordinamento penitenziario, in dirittura di arrivo presso la Camera dei Deputati (C4386), contiene infatti alla lett. c) un preciso criterio direttivo che fissa in quattro anni il limite per la sospensione dell’esecuzione delle pene detentive.
Sarebbe dunque davvero illogico dover attendere la modifica normativa ovvero la decisione della Corte costituzionale, continuando ad emettere ordini di carcerazione a spese di chi si troverà a formulare istanze che – considerati i tempi lunghi delle udienze presso i Tribunali di Sorveglianza – imporranno inutili, prolungati ed evitabili periodi di detenzione.
Come citare il contributo in una bibliografia:
V. Alberta, Sospensione delle pene sino a 4 anni di reclusione e affidamento “allargato”: il Tribunale di Milano adotta l’interpretazione costituzionalmente orientata, in Giurisprudenza Penale Web, 2017, 4