Misure cautelari ex art. 27 c.p.p. e possibilità di motivare per relationem: sollevata questione di legittimità costituzionale
Tribunale di Brescia, Ordinanza, 8 febbraio 2017
Presidente estensore Mocciola, giudici Guerrerio (estensore) e Di Fazio
Segnaliamo ai lettori l’ordinanza con cui il Tribunale di Brescia ha sollevato una questione di legittimità costituzionale in tema di misure cautelari emesse ex art. 27 c.p.p. (Misure cautelari disposte dal giudice incompetente), con specifico riferimento alla possibilità per il giudice competente di motivare per relationem con riferimento all’ordinanza emessa dal giudice dichiaratosi incompetente.
E’ noto, infatti, che la giurisprudenza di legittimità ha più volte affermato il principio di diritto secondo cui, in tema di misure cautelari emesse ex art. 27 c.p.p., «il giudice competente ben può motivare per relationem con riferimento all’ordinanza emessa dal giudice dichiaratosi incompetente, purché la motivazione di quest’ultima risulti congrua rispetto alle esigenze giustificative del nuovo provvedimento, che deve dar conto, in motivazione, della predetta congruità». Secondo il Tribunale di Brescia, tale principio – sebbene consolidato in giurisprudenza – si porrebbe in contrasto con una serie di parametri costituzionali, tra cui gli articoli 13 comma 2, 111 comma 4 e 25 comma 1 Cost.
1. Quanto al primo parametro – osserva il giudice a quo – «la libertà personale, diritto inviolabile dell’individuo, usufruisce di una duplice garanzia costituzionale: attraverso l’art. 13, comma II, la riserva – assoluta – di legge e la riserva di giurisdizione. La prima garanzia, disponendo che qualsivoglia forma di restrizione della libertà personale è possibile nei soli casi e modi previsti dalla legge, riserva al legislatore ordinario la disciplina di quelle restrizioni, ovverosia la tipizzazione dei casi e dei modi in cui la restrizione della libertà personale può essere disposta».
Verrebbe così violato il principio della autonoma valutazione da parte del giudice, in quanto ammettere «un’esposizione dei gravi indizi e delle esigenze cautelari integralmente riproduttiva dell’esposizione di quei medesimi elementi di cui ad altro provvedimento cautelare e assunto da giudice incompetente, ha esteso il significato di autonoma valutazione ad ogni possibile modo di esposizione dei presupposti della misura, ivi compreso quello di assumere come propria la valutazione in realtà effettuata da altro organo giurisdizionale».
2. Sotto altro profilo – continua l’ordinanza – il principio di diritto enunciato si porrebbe in contrasto con l’obbligo di motivazione, attraverso cui «si esplicita il percorso argomentativo, logico e giuridico, attraverso cui l’organo giudicante a ciò deputato (competente) giustifica, alla stregua degli stretti parametri normativi, il provvedimento restrittivo della libertà personale dell’indagato». La motivazione, per assolvere la sua funzione, «deve essere adeguata, specifica e puntuale affinché vi sia la concreta dimostrazione che il giudice ha correttamente esercitato il potere che gli è attribuito»; il provvedimento limitativo della libertà personale – continua il giudice a quo – «può infatti essere adottato esclusivamente dall’autorità giudiziaria e deve essere motivato nei termini anzidetti perché sia soddisfatta la garanzia circa la verifica della presenza delle condizioni di legge che legittimano quella restrizione e il provvisorio sacrificio della libertà personale».
Ne deriva che l’interpretazione degli articoli 27 e 292 c.p.p. data dalla Cassazione – tale per cui è soddisfatto l’obbligo di motivazione anche se l’ordinanza cautelare rinvia in modo integrale ed esclusivo ad una fonte terza (quand’anche appartenente al medesimo potere giudiziario), e, quindi, ad una fonte diversa rispetto all’autorità investita del potere di adottare quel provvedimento – contrasterebbe con le norme degli articoli 13, comma II e 111, comma VI Cost, «non essendo ammissibile che il giudice autore del provvedimento cautelare abdichi interamente al suo obbligo, rinviando sic et simpliciter ad atti assunti da giudici diversi».
3. Infine, il principio di diritto citato contrasterebbe anche con il combinato disposto degli art. 25, comma I e 111, comma VI, Cost., «laddove consente al giudice naturale (ossia quello competente per territorio) di declinare il proprio obbligo motivazionale e di limitarsi a riprodurre la motivazione adottata dal giudice incompetente senza aggiungere valutazioni autonome ed integrative».
In conclusione, il Tribunale di Brescia ha ritenuto rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale degli articoli 27 e 292 c.2 lett. c) c.p.p. nell’interpretazione fornita dalla giurisprudenza di legittimità, secondo cui l’art. 27 c.p.p. consentirebbe al giudice competente di motivare facendo rinvio alle valutazioni già espresse dal precedente giudice, dichiaratosi incompetente, su tutti i presupposti per la adozione del titolo restrittivo.