ARTICOLICONTRIBUTIDA STRASBURGO

Berlusconi contro Italia. Il 22 novembre l’udienza avanti la Grande Camera della CEDU

Corte europea dei diritti dell’uomo, ricorso n. 58428/2013
Berlusconi c. Italia

Ricordiamo al lettore che il prossimo 22 novembre si terrà presso la Corte EDU l’udienza relativa alla causa Berlusconi c. Italia, iniziata con ricorso presentato dal senatore Silvio Berlusconi in data 7 settembre 2013 e più sotto allegato. Esso, avevamo già annunciato al tempo, era stato inizialmente affidato alla prima Sezione, per essere successivamente rimesso alla Grande Camera.

Come noto, il ricorso ha ad oggetto la asserita violazione degli articoli 7 (‘principio di legalità’), 13 (‘diritto ad un rimedio effettivo’) e 14 CEDU (‘divieto di discriminazione’), nonché dell’art. 3, Protocollo 1 alla CEDU (‘diritto a libere elezioni’).

1. Brevemente, i fatti che hanno condotto alla presente causa.

Silvio Berlusconi era stato eletto senatore per l’attuale Legislatura in data 24 febbraio 2013.

Con sentenza n. 35729 emessa in data 1-29 agosto 2013, la Sezione feriale penale della Corte di Cassazione aveva confermato la condanna della Corte di Appello di Milano n. 3232/2013 nei confronti del ricorrente per fatti di frode fiscale (art. 2 d. lgs. 74/2000) commessi sino al 2004.

Il successivo 2 agosto 2013 la Procura di Milano inviava una nota informativa alla Presidenza del Senato della Repubblica in merito alla definitività di tale condanna e la Giunta delle elezioni, in data 27 novembre 2013, proclamava la decadenza da senatore di Berlusconi.

In particolare, tale dichiarazione era fondata sull’applicazione del cd. ‘Decreto Severino’ (d. lgs. 235/2012), che ha introdotto, fra l’altro, la fattispecie della “incandidabilità” come effetto che si produce ex lege nei confronti di chi abbia riportato condanne definitive a pene superiori a due anni di reclusione per delitti (i.) di stampo mafioso o con finalità di terrorismo, (ii.) contro la pubblica amministrazione, ovvero (iii.) per i quali sia prevista la pena della reclusione non inferiore nel massimo a quattro anni, determinata ai sensi dell’articolo 278 del codice di procedura penale (artt. 1 e 3 del suddetto decreto).

Silvio Berlusconi era (ed è tuttora) dichiarato incompatibile con il rivestimento di cariche pubbliche per un periodo di 6 anni, poiché compreso nella terza delle citate categorie di condannati.

Occorre in ultimo precisare che il provvedimento normativo sopra detto è entrato in vigore il 5 gennaio 2013, vale a dire successivamente ai fatti oggetto della condanna penale, nonché successivamente al processo penale di merito che tali fatti ha accertato.

2. Orbene, Silvio Berlusconi sostiene, anzitutto, che la misura della incandidabilità abbia natura penale e che, come tale, sia soggetta ai principi di legalità, non retroattività, determinatezza e prevedibilità delle sanzioni penali. Pertanto, egli si duole di aver subito la violazione dei diritti di cui all’articolo 7 della Convenzione EDU.

Tale ricostruzione si fonda, evidentemente, sui noti criteri Engel elaborati dalla giurisprudenza della stessa Corte di Strasburgo. Essi, come è noto, stabiliscono che ad una misura sanzionatoria possa essere riconosciuta natura penale all’esito di una valutazione in merito a (i.) la qualificazione dell’illecito operata dal diritto interno; (ii.) la natura dell’illecito; (iii.) la gravità della sanzione.

Il ricorrente, con argomenti, sia consentita la chiosa, piuttosto convincenti, fornisce una valutazione proprio nel senso della natura penale della misura.

Quanto al primo criterio, se è vero che né il Decreto Severino, né la sua legge delega, espressamente qualificano la incandidabilità come sanzione penale, il continuo richiamo di questi provvedimenti alla legge penale e processuale penale non può che indicare una voluntas legis, ancorché indiretta, nel senso di prevedere una misura di carattere criminale.

Con riferimento, invece, alla qualificazione degli illeciti che possono innescare la sanzione, in realtà, non pare potersi discutere più che tanto: si tratta, lo si e visto, di delitti non colposi, vale a dire la forma di reato più grave prevista dal nostro ordinamento.

Infine, il punto senza dubbio più interessante riguarda la gravità della sanzione.

Anzitutto, non si può non notare come l’incandidabilità sia misura del tutto simile ad una  pena accessoria (art. 28 e seguenti c.p.), sulla cui natura penale nessuno ha mai dubitato. In particolare, incidendo sul diritto di elettorato passivo, essa presenta più di un tratto comune con l’interdizione dai pubblici uffici.

E nella sua fattispecie temporanea, la citata pena non può avere una durata superiore a cinque anni (art. 28 comma 4 c.p.). Il nostro ordinamento, in altre parole, prevede sanzioni penali simili e più miti rispetto alla misura de quo.

Sotto un profilo più generale, poi, come efficacemente sottolineato nel ricorso, la sanzione in concreto applicata finisce per incidere sul diritto di elettorato per ben due legislature consecutive.

Tutto ciò, asserisce il ricorrente, contribuisce a qualificare l’incandidabilità come sanzione di ‘estrema gravità’.

Se queste argomentazioni dovessero essere condivise dalla Grande Camera, Silvio Berlusconi, evidentemente, avrebbe buona probabilità di vincere la causa. Ciò, al di là delle conseguenze personali, condurrebbe a conclusioni nette sul Decreto Severino, che verrebbe a tutti gli effetti dichiarato atto avente forza di legge penale, almeno per la parte oggetto di giudizio.

3. Per tutte le altre censure sollevate nel ricorso e più sopra citate, si rimanda al testo stesso del ricorso, d’appresso allegato.

Infine, per ciò che riguarda i tempi e le modalità di deliberazione, si rammenta che la Corte EDU non assume le proprie decisioni secondo il modello classico di un sistema interno, vale a dire attraverso l’emissione immediata del dispositivo e di un termine per la redazione delle motivazioni, bensì con  riserva di emissione contestualmente del dispositivo e delle motivazioni.

Pertanto, è ragionevole ritenere che la decisione nel caso di specie possa giungere in un termine prossimo ai sei mesi dall’udienza.

Redazione Giurisprudenza Penale

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