Il negazionismo e il diritto penale (Tesi di laurea)
Prof. Relatore: Vincenzo Maiello
Ateneo: Università Federico II di Napoli
Anno accademico: 2016-2017
Il negazionismo costituisce reato. Questo il punto di partenza del lavoro. Semplice, ma capace di aprire diverse questioni che semplici non sono affatto.
Dinanzi ai fenomeni gravi ed urticanti di negazionismo numerosi ordinamenti hanno risposto con lo stigma della sanzione criminale. Di immediata evidenza la complessità di tale scelta incriminatrice, sia per la limitazione che in questo caso subisce la libertà di espressione, sia per le ricadute sui principi del diritto penale moderno costituzionalmente orientato. Assai problematici, sul versante penalistico, sono l’individuazione di un bene meritevole di tutela e di criteri che possono aiutare a vagliare la legittimità dell’opzione punitiva sul diritto fondamentale, nonché la tecnica di costruzione della fattispecie. Punti di partenza, che indicano un problema pressante, ma che sono lontani dal fornire strade sicure per risolverlo.
È davvero il diritto penale lo strumento idoneo per opporsi al negazionismo? Con l’audace tentativo di trovare una risposta valida e coerente a questo interrogativo, il presente lavoro si rapporta al fenomeno in questione in chiave razionale e innovativa. Dopo aver individuato il fondamento politico-criminale del diritto penale moderno (Capitolo I), l’indagine analizza la prospettiva “europea” del negazionismo, diviso tra le spinte incriminatrici UE e i principi fondamentali CEDU (Capitolo II), prima di esaminare, sia sul piano dell’opportunità politico-criminale, sia su quello tecnico-formale, la nuova circostanza aggravante di negazionismo introdotta nel nostro sistema penale (Capitolo III).
Paradossi e aporie accompagnano i percorsi di questa fattispecie incriminatrice. Essa dovrebbe tutelare l’iscrizione di fondamentali diritti politici – memoria e rifiuto del totalitarismo – nel patto fondante. Tuttavia col ricorso alla sanzione criminale, per il suo carattere invasivo e la sua carica simbolica, si rischia di indebolire il medesimo patto dal lato di altri diritti altrettanto fondamentali, come la libertà di espressione. Inevitabilmente.
Categorie obsolete – come quella dei reati di opinione – che si ritenevano abbandonate, riemergono per rispondere ad esigenze del tempo presente. I conflitti culturali e politici, che lo spazio pubblico non appare più in grado di portare a soluzione – ma solo di dibattere all’infinito –, sono trasformati in controversie giudiziarie. E il diritto penale assume un posto centrale proprio nella tutela e costruzione del patto giuridico, costituente delle nostre società, ora aperte a tante culture: quello che, per eccellenza, era “diritto che mantiene” si fa, ora, “diritto che pone”.