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Una nuova decisione di merito che impone la sospensione degli ordini di esecuzione per pene fino a quattro anni emessi dopo la L. 103/17

Corte d’Appello di Milano, Sez. III, Ord. 11 dicembre 2017 (ud. 4 dicembre 2017)
Presidente Marcelli, Relatore Re

La Corte di Appello di Milano, con un percorso argomentativo simile rispetto ad un precedente provvedimento del Tribunale del medesimo luogo (Sospensione delle pene sino a 4 anni di reclusione e affidamento “allargato”: un’altra decisione conforme del Tribunale di Milano), non si adegua al più recente orientamento espresso dalla Corte di Cassazione sul tema con la decisione n.. 54128 della I sezione del 26 settembre 2017 (Sospensione delle pene sino a 4 anni di reclusione e affidamento “allargato”: la Cassazione ribadisce l’interpretazione restrittiva dell’art. 656 co. 5 c.p.p.).

Il ragionamento dei giudici milanesi, che superano il richiamato precedente, citato nell’ordine di esecuzione da parte della Procura Generale, si fonda sul fatto che l’art. 1 co. 85 lett. C) della L. 103/17 abbia introdotto nel sistema “in termini che non lasciano spazio ad alcun tipo di perplessità” un principio nell’ambito della delega per la riforma dell’ordinamento penitenziario di “immediata applicazione”: la revisione della disciplina concernente le procedure di accesso alle misure alternative, prevedendo che il limite di pena che impone la sospensione dell’ordine di esecuzione sia fissato in ogni caso a quattro anni. E – dunque – “non dubita il Collegio che il termine ‘impone’ e la locuzione ‘in ogni caso’ utilizzati dal legislatore, rendano la norma suscettibile di immediata applicazione”, in virtù dei principi espressi circa l’efficacia erga omnes dei principi e criteri direttivi delle leggi delega da Corte cost 224/90.

Come già in precedenza aveva fatto il Tribunale nella decisione presa dalla sezione feriale sopra citata, la Corte di Appello afferma in sostanza che, quanto meno per gli ordini di esecuzione emessi dopo l’entrata in vigore della L. 103/17 (3 agosto 2017) il dubbio interpretativo determinato dalla necessità di coordinare l’art. 656 co. 5 c.p.p. e l’art. 47 co. 3 bis OP non possa che essere risolto nel senso di rendere il sistema coerente con la disposizione introdotta dal legislatore delegante. Non può dunque più essere utilizzato l’argomento utilizzato dalla Corte di Cassazione, secondo cui proprio l’esistenza di una proposta di legge finalizzata a modificare il sistema presupponeva la non percorribilità della interpretazione estensiva, fatta propria da diverse decisioni della Corte stessa (Cass. Sez. I, 31 maggio 2016, n. 51864, Cass. Sez. I, 4. marzo 2016, n. 37848, Cass. Sez. feriale, 24 agosto 2017, n. 39889), nonché da decisioni di merito e da alcune Procure che, sulla base di tale interpretazione, emettono ordini di carcerazione con decreto di sospensione per pene fino ai quattro anni.

Va in ogni caso posto in evidenza come la ricostruzione sistematica proposta nella pronuncia in commento non appare inconciliabile con i più recenti arresti della Suprema Corte, solo che si consideri che essi hanno valutato ordini di esecuzione emessi anteriormente alla entrata in vigore della L- 103/17. Se vale il principio tempus regit actum, può certamente ritenersi che per i provvedimenti emessi dopo l’entrata in vigore della legge delega gli spazi per l’interpretazione estensiva dell’art. 656 co. 5 c.p.p. possano riaprirsi.

Redazione Giurisprudenza Penale

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