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Omicidio di Fermo: la sentenza della Cassazione. La aggravante della finalità di odio razziale è compatibile con la attenuante della provocazione.

Cassazione Penale, Sez. V, 22 gennaio 2018 (ud. 28 novembre 2017), n. 2630
Presidente Palla, Relatore Sabeone

Si segnala la sentenza con cui la Corte di Cassazione, pronunciandosi su una sentenza di patteggiamento per omicidio preterintenzionale, si è soffermata sul tema della coesistenza tra l’aggravante speciale della finalità di odio razziale di cui all’articolo 3 Decreto Legge 26 aprile 1993, n. 122 (Legge 205/93) e l’attenuante comune di cui all’art. 62 n. 2 c.p. (cd. provocazione).

In punto di diritto, la Cassazione ha rigettato il ricorso – secondo cui l’aggravante dell’odio razziale sarebbe incompatibile con l’attenuante della provocazione – e ha affermato che «la circostanza aggravante della finalità di discriminazione o di odio etnico, razziale o religioso è configurabile non solo quando l’azione, per le sue intrinseche caratteristiche e per il contesto in cui si colloca, risulti intenzionalmente diretta a rendere percepibile all’esterno e a suscitare in altri analogo sentimento di odio e comunque a dar luogo, in futuro o nell’immediato, al concreto pericolo di comportamenti discriminatori, ma anche quando essa si rapporti, nell’accezione corrente, ad un pregiudizio manifesto di inferiorità di una sola razza, non avendo rilievo la mozione soggettiva dell’agente».

Secondo i giudici di legittimità non è applicabile a questo caso quella giurisprudenza secondo cui la circostanza aggravante dei futili motivi è incompatibile con l’attenuante della provocazione, non potendo coesistere stati d’animo contrastanti, dei quali l’uno esclude l’ingiustizia dell’azione dell’antagonista.

Invero – conclude la Corte – «una cosa è la coesistenza nella medesima azione criminosa di stati d’animo contrastanti mentre altra cosa è la coesistenza tra uno stato d’animo che attenui la gravità del fatto e una condotta destinata a rendere percepibile all’esterno un sentimento d’odio, senza che assuma rilievo la mozione soggettiva dell’agente: il tutto a non voler considerare, secondo quanto affermato dallo stesso ricorrente, il lasso di tempo intercorrente tra le espressioni razziste pronunziate dall’imputato e la reazione aggressiva della vittima, che vale a rendere insussistente la pretesa contemporanea coesistenza di situazioni soggettive diverse».

Redazione Giurisprudenza Penale

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