Il Tribunale di Sorveglianza di Roma rigetta la richiesta di differimento dell’esecuzione della pena nei confronti di Marcello Dell’Utri
Tribunale di Sorveglianza di Roma, Ordinanza, 6 febbraio 2018 (ud. 2 febbraio 2018), n. 581
Presidente Dott.ssa Luisa Martoni
Segnaliamo ai lettori l’ordinanza con cui il Tribunale di Sorveglianza di Roma ha rigettato la richiesta di differimento dell’esecuzione della pena avanzata dai difensori di Marcello Dell’Utri, attualmente detenuto a Rebibbia per una condanna definitiva a 7 anni per concorso esterno in associazione mafiosa.
Dopo aver ricordato le patologie del condannato, il Tribunale ha ribadito l’orientamento giurisprudenziale secondo cui, in ogni caso, «i dati clinici devono essere rigorosamente ponderati con gli altri elementi e, in particolare, con le ragioni di sicurezza pubblica espressamente indicate dal legislatore».
Nel caso di Marcello Dell’Utri – il cui «quadro clinico è serio e necessita di costante e specialistico monitoraggio, ma è stabile, compensato e non si sono evidenziati aggravamenti sintomatici di concreti pericoli di gravi eventi» – la modalità del ricovero «non viola diritti, ma provoca alcune limitazione che non pregiudicano la riuscita della terapia, che è l’interesse prevalente nel giudizio di compatibilità, non rilevando la disponibilità di degenze più confortevoli in ambiente extracarcerario». Pertanto, nel bilanciamento con le ragioni di prevenzione e con il principio di indefettibilità della pena questi ultimi devono essere ritenuti prevalenti.
Inoltre – continua il Tribunale – «la posizione giuridica di Dell’Utri non è in alcun modo rassicurante: la sentenza in esecuzione ha accertato i suoi rapporti con gli organi di vertice di Cosa Nostra dai primi anni 70 al 1992» e presso il Tribunale di Palermo si sta concludendo il processo sulla trattativa Stato-mafia, con richiesta del Pubblico Ministero a 12 anni di reclusione.
Alla luce delle pendenze per reati molto gravi e del recente tentativo di sottrarsi all’esecuzione penale – conclude l’ordinanza – «non si ritiene di poter eslcudere il pericolo di fuga, non trovandosi in condizioni fisiche impeditive della deambulazione e del movimento, non essendo le malattie in fase avanzata e debilitante»: nel caso di regime domiciliare presso l’ospedale milanese o presso l’abitazione personale, il condannato potrebbe infatti facilmente allontanarsi, dal momento che le terapie previste non consentono la applicazione di uno strumento elettronico di controllo.