La responsabilità penale del datore di lavoro (Tesi di laurea)
Prof. Relatore: Angelo Carmona
Prof. Correlatore: Maria Novella Masullo
Ateneo: LUISS di Roma
Anno accademico: 2015-2016
Il settore della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro costituisce, oggi, un importante banco di prova per la tenuta di alcune categorie fondamentali del diritto penale. Categorie che, talvolta, tendono a “deformarsi” nella prassi giurisprudenziale, alla luce di un’asserita difficoltà in termini di adattabilità rispetto ad attività intrinsecamente pericolose delle quali non sempre si conoscono tutti i possibili “effetti collaterali”.
Quei profili di incertezza, che attengono al piano delle conoscenze tecnico-scientifiche disponibili, non fanno che riflettersi quasi automaticamente sul piano dell’imputazione di un eventuale evento lesivo della salute del lavoratore, nel senso di giustificare una certa indulgenza nell’accertamento del nesso causale nonché una maggiore flessibilità nell’individuazione di profili di colpa. Innovazioni tecnologiche e scoperte scientifiche impongono, infatti, continui adeguamenti delle regole di diligenza rendendo inevitabilmente precaria la loro affidabilità (se non ancora prima la loro stessa individuazione). Non è mancata, in dottrina, la denuncia di una manipolazione degli istituti basilari del diritto penale in nome di una logica del punire ad ogni costo: “anche a costo di sostituire, de iure condito, l’attuale diritto penale dell’evento con un fumoso diritto penale del rischio”.
L’organizzazione aziendale, a seguito di una fitta legislazione prevenzionistica culminata nell’elaborazione del Testo Unico n.81 del 2008, si articola in un complesso sistema di gestione del rischio, nell’ambito del quale emerge chiaramente come garante primario della salute e della sicurezza del lavoratore il datore di lavoro, titolare di una pervasiva posizione di garanzia.
Il presente lavoro si propone di analizzare il tema della responsabilità penale per omesso adempimento degli obblighi di tutela dell’incolumità del lavoratore, posti a carico del datore di lavoro. La riflessione prenderà le mosse da un inquadramento sistematico dell’istituto della posizione di garanzia che ripercorre l’iter formativo della nozione attraverso il richiamo all’iniziale concezione formale a cui si è contrapposta, negli anni trenta, la tesi sostanzialistico-funzionale; entrambe sintetizzate, poi, nella teoria mista ed affinate, da più recente dottrina, attraverso una lettura costituzionalmente orientata. Mentre la prima teoria, espressione del liberalismo giuridico classico, individua il fondamento dell’obbligo di impedire l’evento esclusivamente in una fonte di rango formale, la seconda si accontenta della sussistenza di una situazione fattuale di garanzia tra il soggetto e il bene tutelato dalla norma incriminatrice.
Il punto di equilibrio si raggiungerà solo nella teoria mista che accoglie il concetto di posizione di garanzia elaborato secondo il criterio funzionale, ma lo ancora alla fonte formale, in osservanza del principio di legalità.Soltanto, però, la ricostruzione di un siffatto obbligo di garanzia alla stregua dei principi costituzionali consentirà di chiarirne meglio il contenuto distinguendo il potere giuridico impeditivo (realmente idoneo a fondare una responsabilità per omesso impedimento dell’evento ex art. 40 cpv.) dal mero obbligo di attivarsi e dall’obbligo di sorveglianza. Questa accortezza, in realtà, non sempre viene utilizzata dalla giurisprudenza che finisce per ampliare oltremodo i confini della posizione di garanzia, agevolata dal carattere aperto della formula utilizzata all’interno dell’articolo 40 cpv c.p. .
A questo punto, l’attenzione si focalizzerà sulla posizione di garanzia del datore di lavoro: evidentemente posizione di controllo su fonti di pericolo in quanto il garante è titolare del potere-dovere giuridico di impedire tutti gli eventi lesivi per gli altrui beni giuridici che risultano esposti a fonti di pericolo su cui egli ha poteri di signoria, organizzazione e disposizione. Tuttavia per l’individuazione degli specifici obblighi di garanzia gravanti sul datore di lavoro non è più sufficiente l’articolo 2087 del codice civile, da sempre ritenuto fonte primaria della sua posizione, ma risulterà necessaria un’integrazione di contenuto attraverso lo studio e l’analisi del decreto legislativo n.81 del 2008.
Una volta definita puntualmente suddetta posizione di garanzia, si potrà passare a considerare il momento dell’accertamento del nesso causale tra la condotta omissiva del datore di lavoro e l’evento.
È questo, forse, uno dei profili più problematici, specie nel settore della malattie professionali, stante l’irriducibile incertezza che connota la conoscenza scientifica in tema di esposizione a sostanze tossiche.In particolar modo con riferimento a patologie multifattoriali, invocando la pluralità e l’inconoscibilità di tutti i fattori interagenti, sono stati formulati paradigmi estranei ad una concezione rigida di causalità, fondati sull’aumento o mancata diminuzione del rischio di lesione del bene protetto, aprendo le porte a pericolosi abbassamenti dello standard probatorio richiesto per l’accertamento del nesso eziologico.È noto come la Corte di Cassazione sia intervenuta, con la sentenza Franzese, a scongiurare un tale affievolimento delle categorie causali affermando la necessità di un accertamento che – attraverso un modello bifasico di verifica dell’astratta affidabilità dell’ipotesi causale prima, e il controllo circa la validità della stessa nel caso concreto poi – soddisfi lo standard di certezza processuale dell’oltre ogni ragionevole dubbio. Proprio quelle incertezze in ambito tecnico-scientifico, che vorrebbero giustificare la teoria dell’aumento del rischio, influiscono notevolmente, sul piano dell’imputazione soggettiva del reato, nella ricostruzione dei canoni di prevedibilità e di evitabilità dell’evento.
La particolare complessità del tema affonda le sue radici in un impianto normativo, quale quello del Testo Unico, dal forte carattere precauzionale: si avrà modo di notare come molte delle norme ivi contenute abbiano una vis, in realtà, non propriamente cautelare, proprio perché preordinate ad agire al fine di una prevenzione globale del rischio e non specifica. È chiaro che, ragionando in tal senso, il giudizio di prevedibilità ed evitabilità verrebbe ad essere snaturato, impostato su una logica generalizzante e anticipato alla fase del rischio e non più a quella della verificazione dell’evento. Si tratterà di capire come il principio di precauzione possa trovare adeguato bilanciamento con il principio di colpevolezza.
Infine, rimanendo sul piano soggettivo dell’imputazione, si ripercorrerà il discrimen tra la colpa cosciente e il dolo eventuale, ed in particolare la linea di confine così come individuata dalle Sezioni Unite nella recente sentenza ThyssenKrupp, analizzando come la stessa non abbia ancora segnato un punto di svolta nel dibattito in materia, essendo stata oggetto di molteplici considerazioni critiche da parte della dottrina.