D.Lgs. 21/2018: in attuazione della riforma Orlando tra riserva “debole” di codice in materia penale e nodi irrisolti sulla confisca allargata
in Giurisprudenza Penale Web, 2018, 5 – ISSN 2499-846X
In attuazione della riforma Orlando (art. 1, comma 85, lett. q), L. 103/2017), il D.lgs. del 1° marzo 2018 n. 21, in vigore dal 6 aprile, riproduce nel nuovo art. 3-bis c.p., a distanza di venti anni dai lavori della Commissione Bicamerale D’Alema e mutuando da quelli della Commissione ministeriale Marasca già istituita il 3 maggio 2016, la riserva di codice in materia penale travasando in tal sede, per lo più in nuovi articoli bis o ter, numerose disposizioni già dislocate nella legislazione complementare (ad esempio in materia di doping, interruzione della gravidanza, delitti contro l’uguaglianza, indebito utilizzo o falsificazione di carte di credito o di pagamento, trasferimento fraudolento di valori, etc.).
Nel merito, si tratta di misura di razionalizzazione astrattamente idonea a rafforzare il livello di conoscibilità dell’incriminazione, completa di precetto (“cosa” si deve fare o non fare) e sanzione, che costituisce, come noto, un presupposto del giudizio di colpevolezza (Corte Cost. 364/1988) ma anche della stessa funzione rieducativa della pena.
Ad oggi, infatti, per ricostruire l’identità di un reato ci si trova spesso dinanzi all’esigenza di combinare previsioni disseminate in diversi testi normativi o anche nel medesimo ma a notevole distanza tra di loro, come tipicamente avviene nei Testi Unici in cui, previa definizione dei soggetti penalmente responsabili, si stabiliscono dapprima obblighi e solo altrove, in successione, le corrispondenti sanzioni in caso di violazione.
La riserva di codice, oltretutto, sembra poter garantire una migliore gestione del fenomeno della successione di leggi penali nel tempo, prevenendo possibili questioni interpretative che troppe volte, in spregio del principio di certezza del diritto, vengono risolte solo con interventi delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione.
Peccato però che, al di là della valenza simbolica, il provvedimento appena varato appaia più come il tentativo di inseguire un’utopia che un rimedio davvero efficace. Anzitutto, perché alla riserva, valida solo ex nunc e pertanto ininfluente rispetto alle scelte incriminatrici operate in passato, non si accompagna un riordino complessivo della parte speciale del codice e della produzione legislativa di settore.
Inoltre, e soprattutto, perché tale riserva è stabilita soltanto a livello di legge ordinaria e non costituzionale, quale mero “indirizzo” liberamente derogabile da parte del futuro legislatore (sull’attenzione del quale, peraltro, ci si consenta di dubitare). Infine, perché l’art. 1 del decreto si riferisce soltanto alle nuove disposizioni che prevedono reati non ricomprendendovi quelle che, ad esempio, modifichino reati già esistenti o introducano definizioni ovvero mere circostanze aggravanti o attenuanti e comunque ogni altra disposizione che, pur non introducendo reati abbiano impatto sul sistema vigente.
L’alternativa al codice è, inoltre, quella delle leggi che disciplinano in modo organico la materia: espressione la cui indeterminatezza rischia invero di pregiudicarne la capacità selettiva, salvo limitarne il significato ai testi unici rispetto ai quali, d’altro canto, la riserva di codice neppure avrebbe molto senso, trattandosi di disciplina organica specificamente volta a garantire un assetto già consolidato di tutela mediante norme meramente sanzionatorie impossibili da importare tout court nel codice.
Last but not least, le modifiche introdotte all’art. 6 in tema di confisca allargata, coerentemente trasfusa nel nuovo art. 240-bis del codice penale, sembrano finalmente idonee a garantirne una disciplina organica dopo che, col decreto legge 172/2017 (convertito con L. 148/2017), nel dicembre scorso si è provveduto, raccogliendo il monito della Presidenza della Repubblica in sede di promulgazione della L. 161/2017, a sanare l’improvvisa estromissione di alcuni reati (art. 416 in quanto realizzato allo scopo di commettere i delitti previsti dagli artt. 453, 454, 455, 460 o 461 nonché art. 2635 c.c.) dall’art. 12-sexies D.L. 306/1992.
Nel contempo, si è tuttavia persa l’occasione per risolvere l’annosa questione dell’applicabilità del sequestro preventivo finalizzato alla medesima confisca nel caso in cui i delitti ivi contemplati assumano la forma del tentativo aggravato dal metodo e/o dall’agevolazione mafiosa ai sensi dell’art. 7 l. n. 203/91, che pure era già approdata alla Corte Costituzionale con ordinanza di remissione emessa il 9 gennaio scorso dalla Seconda Sezione penale della Corte di Cassazione, a fronte dei diversi indirizzi ermeneutici emersi nella giurisprudenza di legittimità: ancora una volta, poco lavoro del legislatore, troppo per il giudice.
Come citare il contributo in una bibliografia:
D. Piva, D.Lgs. 21/2018: in attuazione della riforma Orlando tra riserva “debole” di codice in materia penale e nodi irrisolti sulla confisca allargata, in Giurisprudenza Penale Web, 2018, 5