Processo penale e informazione giudiziaria. Un rapporto complicato.
in Giurisprudenza Penale Web, 2018, 5 – ISSN 2499-846X
Prolusione per il Convegno su “Processo Penale e Informazione Giudiziaria” (Bologna, 20 aprile 2018)
Tutti i rapporti inevitabili sono, necessariamente, complicati. E’ nella natura delle cose. Non viene certo meno a questa costante il rapporto che intercorre tra informazione e vicende giudiziarie. Per molti versi le due cose non possono, non riescono proprio, a fare a meno l’una dell’altra.
Il perché, forse, sta nella stessa natura della vicenda giudiziaria. Nelle Aule di Giustizia e, prima ancora, nella fase dell’accertamento della plausibilità della responsabilità penale (quindi nella fase delle indagini) si toccano con mano avvenimenti reali, fatti, persone, sentimenti, pulsioni. Materiale vivo, non una fiction rassicurante proprio perché finzione. E’ inevitabile che tutto ciò richiami interesse, curiosità, compartecipazione, addirittura tifo.
Ecco, io inizierei con lo sfatare un luogo comune: questo tifo non è di oggi. Nasce da lontano. C’è sempre stato. Quello che è cambiato sicuramente è la selettività della tensione informativa.
I processi ad “alto tasso mediatico” erano quelli che proponevano vicende che, per l’oggetto trattato, i protagonisti (soprattutto) e la “trama” o ,come diciamo noi penalisti, “per il fatto da provare”, solleticavano maggiormente l’interesse dell’opinione pubblica.
Ed è cosi che i mezzi di informazione cibavano questo interesse dando la possibilità al lettore di partecipare degli sviluppi di un’indagine o di un processo arrivato in Aula, contribuendo non solo a farsi un’idea ma proprio a farlo compartecipare.
Faccio due esempi.
Il “caso Bebawi” (siamo alla metà degli anni 60) e, ancora prima, il “caso Montesi”. Processi che tennero con il fiato sospeso tutta la Nazione. I giornali titolavano, spesso in apertura e a nove colonne, con lo sviluppo d’indagine della sera prima o col resoconto dell’udienza della mattina precedente.
Processi talmente seguiti da far diventare delle autentiche superstar mediatiche non solo gli imputati ma anche gli altri soggetti processuali. Avvocati difensori come Giovanni Leone (che difendeva Claire Bebawi) o Giuliano Vassalli che assisteva Youssef Bebawi) o Giuseppe Sotgiu (che sosteneva le ragioni della parte civile ) erano veri e propri protagonisti assoluti delle cronache. Ogni loro frase, ogni iniziativa processuale diventava notizia. Restavano, per converso, molto più in ombra i magistrati del pubblico ministero, meno loquaci, quasi asetticamente presenti nei resoconti giornalistici. Non diversa la sorte mediatica del processo per l’assassinio della giovane Wilma Montesi; anzi , se possibile, ancora più virulento lo scontro tra innocentisti e colpevolisti con la contrapposizione netta tra due testate giornalistiche (Corriere della Sera e Paese Sera) impegnate a capeggiare le opposte fazioni.
Per tornare, dunque, alla premessa possiamo dire che il rapporto tra processo penale e informazione giudiziaria è sempre inevitabile; c’è sempre stato e ha sempre avuto le complicazioni di ogni rapporto tra tesi opposte. Ed allora cos’è cambiato (se è cambiato qualcosa) da ieri ad oggi?
Credo che le cose siano cambiate perché ciò che ieri era …eccezionale oggi è diventato consueto, ricorrente, quotidiano. E, soprattutto, un po’ a senso unico!
Mentre in passato era la fase del dibattimento a focalizzare l’attenzione dei media, oggi lo sforzo dell’informazione è focalizzato maggiormente sulla fase delle indagini; e spesso ancor prima, già al momento dell’arresto o dell’informazione di garanzia (quando non addirittura al momento della mera iscrizione di una persona nel registro notizie di reato).
Ed è un paradosso. Ieri che il processo penale non era improntato al principio che la prova si forma nel dibattimento era proprio il dibattimento ad essere il focus dei commenti della grande stampa.
Oggi, invece, che ad essere centrale è il dibattimento -perché luogo deputato alla formazione della prova in contradditorio tra le parti- accade che l’orientamento dell’opinione pubblica non avviene più seguendo passo passo l’approfondimento processuale bensì prima, molto prima. Quando tecnicamente non prove ma indizi finiranno per segnare già il “destino” (almeno mediatico) del presunto innocente.
Lo stillicidio di notizie parcellizzate ,ottenute spesso in spregio al segreto d’indagine , è ormai la normalità. Spezzoni di intercettazioni telefoniche che, per essere diffuse, devono necessariamente prima uscire da qualche parte, sono il corredo audio della notizia data in prima serata.
Bene inteso: io credo che un buon giornalista se ha la notizia deve pubblicarla (sempre nel rispetto di ciò che è oggetto di possibile divulgazione perché ,in realtà, non tutto ciò che viene pubblicato oggi si può pubblicare o è lecito pubblicare!) Poi che nessuno venga perseguito per la “fuga di notizie riservate” è un altro paio di maniche.
Ecco dunque il paradosso. E’ cambiato il nostro codice di procedura penale che oggi è incentrato sul dibattimento, dove la prova tecnicamente si forma, ma la nostra informazione giudiziaria ha già fatto pelo e contropelo all’indagato nella prima settimana delle indagini connotando per sempre l’orientamento dell’opinione pubblica, quasi sempre contro di lui.
E il danno è fatto. Enorme e per tutti! Il paradosso si materializza con forza: mentre il nostro sistema costituzionale riconosce il giusto processo accusatorio e lo esalta nel dibattimento, vive e regna il processo mediatico che è inquisitorio puro! Vive delle sole acquisizioni dell’accusa e, per ovvi motivi, finisce col presentare l’indagato come colpevole. Tra l’altro, oggi come oggi, essere soggetto passivo di un’indagine penale non è eventualità remota.
Basterebbe soffermarsi su un dato: abbiamo un numero di reati imparagonabile rispetto al resto del mondo. Spesso abbiamo violazioni settoriali nascoste nei meandri di leggi finanziarie o testi unici i più disparati e a volte difficilmente compulsabili da parte dello stesso interprete. Insomma, è facile incappare in qualcosa.
Ma se è facile incappare in qualcosa allora lo strumento del processo penale deve (dovrebbe maggiormente) essere visto (come scriveva più di cento anni fa Francesco Carrara) come fonte di garanzie, non come strumento per presentare in anticipo una condanna solo eventuale e che, magari, non arriverà mai.
In questo modo abbiamo finito per consumare noi un delitto perché abbiamo distrutto la stessa essenza del processo e magari anche la vita di un uomo innocente.
Se vogliamo, pertanto, arrivare ad una conclusione di massima che sia ispiratrice di buoni frutti costituzionalmente orientati, dobbiamo pretendere che l’informazione giudiziaria sia rispettosa -anzi , di più, oserei dire ..sponsor!- della presunzione di innocenza. Equidistante tra le tesi a confronto, rispettosa paladina del dubbio ragionevole; mai partigiana di teoremi che solo la sentenza passata in giudicato riconoscerà come verità processuali definitive.
Senza questo sforzo (pur doveroso perché fondato sulla nostra Legge delle leggi) il rapporto, che è inevitabile, sfocerà solo in una gogna brutale e illegittima.
Come citare il contributo in una bibliografia:
F. A. Maisano, Processo penale e informazione giudiziaria. Un rapporto complicato, in Giurisprudenza Penale Web, 2018, 5