Abrogazione del reato di ingiuria ad opera del D. Lgs. 15 gennaio 2016 n. 7: sollevata questione di legittimità costituzionale
Ufficio del Giudice di Pace di Venezia, Ordinanza, 20 giugno 2017
Giudice dott. Pertile
1. Si segnala il provvedimento con cui il Giudice di Pace di Venezia ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell’art. 2, comma 3°, della legge n. 67 del 28 aprile 2014 e dell’art. 1, lettera c), del decreto legislativo n. 7 del 15 gennaio 2016, nella parte in cui hanno disposto l’abrogazione del reato di ingiuria, ex art. 594 c.p., per contrasto con gli articoli 2, 3, 10 e 117 della Costituzione (sull’intervento legislativo si rinvia all’articolo di L. Roccatagliata, I decreti sulle depenalizzazioni in Gazzetta Ufficiale. Ecco cosa cambia, in questa Rivista, 2016, 1).
2. «Le disposizioni abrogative del reato – si legge nell’ordinanza – hanno determinato la fuoriuscita del bene dell’onore e del decoro dal sistema di tutela pubblicistica dei diritti fondamentali», tra i quali non vi è dubbio che rientrino anche «quelli del proprio decoro, del proprio onore, della propria rispettabilità, riservatezza, intimità e reputazione».
«Il rispetto che ho per gli altri – prosegue il giudice a quo citando Kant – è il riconoscimento della dignità che è negli altri. Ed è proprio per consentire il riconoscimento della dignità che è negli altri che è sorta la necessità di tutelare la dignità di ogni essere umano».
Posto che «i diritti inviolabili dell’essere umano debbono essere tutelati dalle norme penali per l’efficacia deterrente della sanzione penale» – continua il giudice – «nel caso di specie il legislatore ha approvato con legge ordinaria la contestuale abrogazione della fattispecie delittuosa dal codice penale ed ha introdotto una tutela privatistica del bene costituzionalmente protetto, utilizzando il medesimo testo del primo comma dell’art. 594 codice penale, andando così a degradare il reato che tutela un bene di rilevanza costituzionale ad un illecito civile sottoposto unicamente al nuovo istituto della sanzione pecuniaria civile (art. 4 del decreto legislativo n. 7/2016) e ledendo, ad avviso del remittente, gli articoli 2 e 3 della Costituzione posti a tutela dei diritti fondamentali della persona, universalmente riconosciuti».
Tale normativa abrogativa – ad avviso del Giudice di Pace – «appare incompatibile con i principi costituzionali espressi nell’art. 10 e nell’art. 117 della Carta Costituzionale poiché la potestà legislativa è stata esercitata dallo Stato con legge ordinaria senza rispettare i vincoli e i principi derivanti dagli obblighi internazionali e dalle norme di diritto internazionale generalmente riconosciute, tanto da violare apertamente il principio fondamentale della dignità umana espresso nell’art. 1 della Carta dei Diritti Fondamentali dell’Unione europea».
A ciò si aggiunga – si legge nell’ordinanza – che con l’intervenuta abrogazione si è venuta a creare una «disparità di trattamento con fattispecie criminose inerenti il medesimo diritto fondamentale costituzionalmente protetto: ed invero, l’art. 594 c.p. e l’art. 595 c.p. sono riconducibili alla stessa medesima ratio e allo stesso diritto fondamentale della dignità della persona composta dall’onore, decoro, reputazione e rispettabilità, che trovano identica tutela codificata in due articoli differenti del codice penale in relazione alla presenza dell’offeso (nell’ipotesi di ingiuria) o all’assenza dell’offeso (nell’ipotesi di diffamazione)».
Da ciò ne consegue che «se l’offeso non è presente c’è il reato (di diffamazione), mentre se l’offeso è presente non c’è reato», il che rappresenta una «lesione del principio di uguaglianza espresso dall’art. 3 della Costituzione». Basti pensare – conclude il giudice – che «rimane reato la lettera di lamentele inviata a Tizio e Caio sulle qualità etiche di Sempronio, mentre non è più ipotesi di reato la lesione dell’onore realizzata in presenza dell’offeso, in un pubblico convegno o in una trasmissione televisiva, pronunciando le più turpi, offensive e lesive ingiurie in presenza della persona offesa».
3. Il giudice a quo nella sua ordinanza affronta anche il problema del sindacato di costituzionalità sulle cd. “norme penali di favore” aderendo all’orientamento favorevole alla sindacabilità (a determinate condizioni) di tali norme nel senso che, «se la Corte Costituzionale non può certamente configurare nuove norme penali, non le sarebbero precluse le decisioni ablative di norme che sottraggono determinati gruppi di soggetti o di condotte alla sfera applicativa di una norma comune o comunque più generale» che abbiano, come sola conseguenza, la «automatica riespansione della norma generale o comune, dettata dallo stesso legislatore, al caso già oggetto di una incostituzionale disciplina derogatoria» (cfr. Corte costituzionale n. 394/2006).
4. In conclusione, è stata sollevata questione di legittimità costituzionale dell’art. 2, comma 3°, della legge n. 67 del 28 aprile 2014 e dell’art. 1, lettera c), del decreto legislativo n. 7 del 15 gennaio 2016, nella parte in cui dispongono l’abrogazione dell’art. 594 codice penale per violazione degli articoli 2, 3, 10 e 117 della Costituzione.