Differimento pena per infermità psichica: il Tribunale di Messina percorre la via “immediata” dell’analogia in bonam partem
in Giurisprudenza Penale Web, 2018, 6 – ISSN 2499 – 846X
Tribunale di Sorveglianza di Messina, ordinanza, 22 febbraio 2018
Presidente Mazzamuto, Estensore Lino, P.G. Napoli
All’indomani dell’ordinanza con cui la prima sezione penale della Corte di Cassazione ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell’art. 47-ter, comma 1-ter, della L. 26 luglio 1975 n. 354 e succ. mod., nella parte in cui non prevede l’applicazione della detenzione domiciliare anche nelle ipotesi di grave infermità psichica sopravvenuta durante l’esecuzione della pena, il Tribunale di Sorveglianza di Messina si è pronunciato su una questione analoga, optando, però, per una soluzione differente e dagli effetti certamente più immediati.
Nel caso di specie, il Tribunale è stato chiamato a valutare l’istanza di un soggetto detenuto in regime carcerario, proposta ai sensi dell’art. 146, co. I, n. 3, c.p. ovvero dell’art. 147, co. I, n. 2, c.p., ovvero, in subordine, ai sensi dell’art. 47-ter, comma I-ter, O.P.
In particolare, come emerso dall’istruttoria espletata, la formulata istanza di differimento dell’esecuzione della pena traeva il proprio fondamento dalle gravi condizioni di salute del detenuto, affetto da un disturbo bipolare psichiatrico maggiore, ad alto rischio di condotte autolesive e preso in carico dall’Unità Locale per la Prevenzione dei Suicidi (ULPS) operante presso l’istituto detentivo ove il medesimo era recluso.
A fronte di tale quadro psicologico-sanitario, il Tribunale di Messina ha operato un’attenta e precisa valutazione della normativa allo stato vigente, onde poter verificare la compatibilità del caso concreto con i rimedi concessi dall’ordinamento penale ai fini del differimento dell’esecuzione della pena, giungendo alle seguenti conclusioni:
- il caso prospettato, pur evidenziando l’incompatibilità della grave infermità psichica con il regime carcerario, non era compatibile con l’art. 146, comma I, n. 3 c.p., perché trattavasi di malato “non terminale”;
- né poteva dirsi applicabile la normativa di cui all’art. 147, comma I, n. 2, c.p., in quanto trattavasi, nel caso di specie, di malato affetto da infermità non fisica;
- né, ancora, avrebbe potuto essere applicato l’invocato art. 47-ter O.P. per il limite ostativo di pena.
La fattispecie de qua appariva, invece, riconducibile all’alveo dell’art. 148, comma I, c.p., a mente del quale, in caso di sopravvenuta infermità psichica del condannato, il Giudice avrebbe potuto ordinare il differimento della pena e disporre il ricovero presso un Ospedale Psichiatrico Giudiziario (O.P.G.); sennonché, con la riforma attuata con D.L. 52/2014, convertito con L. 81/2014 e con la relativa istituzione dei R.E.M.S. (Residenze per l’Esecuzione delle Misure di Sicurezza), è gradualmente intervenuta la dismissione degli O.P.G.; sicchè, ha correttamente evidenziato il Tribunale di Sorveglianza di Messina, la disposizione in parola deve ritenersi tacitamente abrogata.
Si è posto, dunque, il “problema per l’interprete, di trovare uno strumento nel sistema che consenta di apprestare adeguata tutela nei confronti di soggetti affetti da infermità psichica sopravvenuta nel corso dell’esecuzione della penale, onde evitare che gli stessi, in assenza di rimedio espressamente previsto, siano costretti a rimanere in carcere con un conseguente indubbio pregiudizio per la loro salute”; problematica, quest’ultima di chiara rilevanza, specie in considerazione della tutela costituzionalmente garantita al diritto alla salute, e, più in generale, al bene vita.
Non solo: serio sarebbe il rischio di una “frizione” con l’art. 3 Cost., quale principio di uguaglianza sostanziale e formale e quale essenziale canone di ragionevolezza; del pari critico parrebbe il contrasto con l’art. 117 Cost., con riferimento all’art. 3 C.E.D.U.
Tale il contesto, ed a fronte della scelta intrapresa, poco tempo prima, dalla Corte di Cassazione, che ha sollevato, in merito, questione di legittimità costituzionale, il Tribunale di Messina, in attesa del (pur auspicato) intervento – normativo del legislatore e additivo della Corte Costituzionale – ha optato per altra e diversa via, idonea a garantire una più tempestiva tutela, nel rispetto dei principi costituzionali, oltrechè dell’(indispensabile) bilanciamento degli interessi in gioco.
In particolare, ricorrendo alla disciplina dell’analogia, regolata dagli artt. 12 e 14 delle Preleggi, il Tribunale di Messina ha ritenuto possibile l’applicazione estensiva degli artt. 147 c.p. e 47-ter, comma I-ter, O.P., quali espressioni dei generali principi di umanità della pena, della tutela della salute e della rieducazione del condannato, “all’ipotesi in cui sopraggiunga, in corso di esecuzione della pena, un’infermità psichica”; e ciò in quanto tale analogia “colmando una lacuna ordinamentale, produce effetti favorevoli al condannato. Infatti, non solo non incide negativamente sulla sua libertà personale, ma consente di evitare la protrazione di uno stato detentivo incompatibile con le condizioni di salute del soggetto”.
Donde l’accoglimento dell’istanza formulata dal detenuto, con conseguente differimento dell’esecuzione della pena nelle forme della detenzione domiciliare ex artt. 147 c.p. e 47-ter, comma I-ter,O.P.
Trattasi, si ritiene, di una pronuncia destinata a spiegare una notevole rilevanza, sia dal punto di vista giuridico, sia per i principi umanistici di cui si fa portatrice, sia, infine, per il peculiare contesto entro cui la stessa si colloca.
In effetti, a fronte del richiesto intervento della Corte Costituzionale su un tema, quale quello che ci occupa, certamente delicato e, per ciò solo, inevitabilmente complesso, ben avrebbe potuto il Tribunale di Messina rimanere – passivamente – nel solco tracciato (peraltro nelle more dello scioglimento della riserva assunta dal medesimo) dalla Corte di Cassazione; a contrario, il Giudice ha optato per la via più “immediata” e per una più tempestiva tutela dei diritti del detenuto, con buona pace di ogni eventuale preclusione o rigidità normativa.
In attesa di poterne apprezzare i risvolti applicativi, anche alla luce di quella che sarà la decisione della Corte Costituzionale, la direzione, nell’immediato, pare essere univoca: garantire una (più) effettiva dei diritti inviolabili del detenuto, non perchè tale, ma in quanto, prima di tutto, essere umano.
Come citare il contributo in una bibliografia:
L. Amerio, Differimento pena per infermità psichica: il Tribunale di Messina percorre la via “immediata” dell’analogia in bonam partem, in Giurisprudenza Penale Web, 2018, 6