Brevi riflessioni sulla condotta tipica del delitto di appropriazione indebita
in Giurisprudenza Penale Web, 2018, 7-8 – ISSN 2499-846X
Tribunale di Monza, Sez. Pen., 14 marzo 2018 (ud. 21 febbraio 2018), n. 651
Giudice Monocratico Cavallini
La sentenza che qui si allega offre rilevanti delucidazioni sul contenuto della fattispecie delittuosa di cui all’art. 646 c.p.Prendendo spunto dalla mancata restituzione al legittimo proprietario di un pc (e di una somma di denaro), il Tribunale di Monza coglie l’occasione per far chiarezza sulle molteplici esternazioni in cui può concretarsi la condotta appropriativa penalmente rilevante.
In particolare, la sentenza prende atto dell’impossibilità di ridurre ad unumle svariate forme di interversione del possesso: si legge infatti che “l’interversione del possesso potrà, nelle svariate situazioni reali, configurarsi non solo allorquando si profilino atti di disposizione in senso stretto – quali ad es., tradizionalmente l’alienazione, la distruzione ovvero la distrazione – ma altresì nei casi di esplicito rifiuto di restituzione del bene; con la precisazione […] per cui il semplice rifiuto di riconsegnare il bene – in presenza di un negozio contrattuale valido tra le parti – non può tradursi eo ipso nell’integrazione del reato che ci occupa, riverberandosi in un mero inadempimento di rilievo civilistico e non già in un vettore di univoca immutazione della situazione possessoria in dominio. […] Analogamente, gli atti di godimento e di uso indebito – ovvero travalicanti i limiti segnati dal titolo possessorio – possono risolversi in condotte appropriative tipiche, giacché anche usare indebitamente la cosa significa, in ultima analisi, comportarsi verso la stessa come se fosse propria” (p. 4).
Detto in altri termini, da un lato, il Tribunale conferma il più recente orientamento giurisprudenziale secondo cui la condotta tipica exart. 646 c.p. può assumere molteplici forme: “la condotta che realizza la fattispecie criminosa può assumere espressioni o forme diverse, che sono per solito individuate in fatti o atti che, sorretti dall’ animus domini dell’autore, si traducono nella consumazione o trasformazione, nella alienazione, nella ritenzione, nella distrazione della cosa o del denaro” (cfr. Cass. Pen., Sez. VI, 20 settembre 2011, n. 16362, p. 65).
Sotto un distinto profilo, poi, le precisazioni del Tribunale assumono particolare interesse in relazione all’ipotesi (molto diffusa nella prassi) di omessa restituzione della res da parte del possessore.
Infatti, la sentenza conferma la (condivisibile) tesi secondo cui l’art. 646 c.p. non può dirsi di per sé integrato nell’ipotesi (avente mero rilievo civilistico) in cui il possessore si rifiuti di ottemperare a una richiesta di restituzione proveniente dal proprietario: del resto, è davvero evidente che un’eventuale soluzione contraria renderebbe pressoché indistinguibili tra loro la sfera dell’illecito civile dall’area del penalmente rilevante.
Al contrario, è assolutamente indispensabile che l’organo giudicante esamini (alla luce delle risultanze dibattimentali) il reale carattere (e il conseguente momento) appropriativo della condotta contestata, valutando, in particolare se il comportamento del possessore possa in concreto ritenersi “oggettivamente eccedente la sfera delle facoltà ricomprese nel titolo possessorio ed inconciliabile col diritto del proprietario” e, in quanto tale,“significativo dell’immutazione del mero possesso in dominio” (cfr. p. 4).
Tale soluzione, è evidente, si pone in linea di conformità con le recenti indicazioni fornite dalla Suprema Corte, secondo la quale“la consumazione del reato di cui all’art. 646 cod. pen. non richiede la costituzione in mora dell’autore né un vero e proprio inadempimento dell’obbligo restitutorio, essendo anticipata la soglia della rilevanza penale al momento appropriativo in sé considerato” (Cass. Pen., Sez. II, 25 maggio 2016, n. 33547).
Come citare il contributo in una bibliografia:
M. Miglio, Brevi riflessioni sulla condotta tipica del delitto di appropriazione indebita, in Giurisprudenza Penale Web, 2018, 7-8