Il caso Beuze contro Belgio alla Corte EDU: la Grande Camera deraglia sull’art. 6?
in Giurisprudenza Penale Web, 2018, 11 – ISSN 2499-846X
Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, Grande Camera, Sentenza Beuze c/ Belgio, 9 novembre 2018
Ricorso n. 71409/2010
Con la sentenza Beuze c. Belgio del 9 Novembre 2018, la Grande Camera si è espressa su un caso concernente il diritto al giusto processo penale e nello specifico al diritto all’assistenza di un difensore, sul solco tracciato dalle sentenze Salduz c. Turchia ed Ibrahim c. Regno Unito. Il presente contributo mira ad illustrare brevemente il ragionamento della Corte e ad evidenziarne i profili critici.
I fatti in breve ed il giudizio interno
Il caso trae origine dal ricorso alla Corte EDU di Philippe Beuze, cittadino belga arrestato in Francia il 17 Dicembre 2007, in esecuzione di un mandato di arresto europeo emesso dal Belgio, dove era accusato di aver premeditatamente assassinato la sua ex compagna.
Beuze, una volta consegnato alle autorità belghe il 31 dicembre 2007, veniva prontamente sottoposto ad interrogatorio dalla polizia investigativa, nel corso del quale il ricorrente rilasciava numerose e dettagliate dichiarazioni sui fatti di causa che lo vedevano coinvolto. Nello stesso giorno veniva esaminato dal Giudice delle indagini preliminari, al quale Beuze confermava le dichiarazioni rilasciate alla polizia e negava di aver provveduto alla nomina di un difensore. Il Giudice disponeva l’espletamento di un esame psichiatrico, formulava l’imputazione di omicidio premeditato a carico del ricorrente e ordinava il trattenimento in custodia. Solo da questo momento, e cioè dopo il primo esame del giudice, come previsto dal codice di procedura penale belga, gli era consentito consultare il proprio avvocato.
Il ricorrente era sottoposto ad ulteriori interrogatori da parte della polizia investigativa, a gennaio 2008 in relazione all’accusa di omicidio e in quattro altre occasioni a marzo dello stesso anno in relazione ad alcuni furti d’auto. Esaminato di nuovo dal Giudice il 17 marzo 2008, il ricorrente affermava di aver preso contatti con un avvocato di Bruxelles. Nei successivi interrogatori Beuze rilasciava dichiarazioni contraddittorie e gli veniva diagnosticato un disturbo sociale della personalità. A giugno 2008 si teneva una ricostruzione degli eventi sulla scena del crimine, in assenza del difensore, in quanto la legge Belga non richiedeva la presenza di un avvocato nel compimento di alcun atto investigativo. In seguito, su richiesta del Procuratore, i capi di accusa a carico di Beuze venivano aumentati a tre. Il ricorrente veniva rinviato a giudizio avanti alla Corte d’Assise, in quanto la divisione investigativa aveva accertato che, alla luce delle dichiarazioni dei testimoni, delle risultanze investigative, delle prove raccolte e degli esami medico-legali e psichiatrici, vi erano seri indizi della sua colpevolezza.
Dinnanzi alla Corte d’Assise, Beuze chiedeva che i verbali degli interrogatori condotti senza assistenza legale ed i successivi atti venissero annullati e che le richieste della procura fossero dichiaratie inammissibili. Egli sosteneva che il mancato accesso ad un difensore mentre si trovava in custodia della polizia il 31 dicembre 2007 e nei successivi interrogatori ed esami costituiva la violazione di un essenziale requisito formale, che aveva violato direttamente i suoi diritti di difesa e di conseguenza viziato irreparabilmente il mandato d’arresto a suo carico. Richiamandosi alla giurisprudenza della Corte EDU, ed in particolare alla sentenza Salduz c. Turchia (ricorso n. 36391/2002), Beuze assumeva che si era consolidato un principio assoluto secondo il quale, dal momento che le restrizioni al diritto di difesa previste dalla legislazione belga avevano natura generale ed obbligatoria e che tali previsioni non rispettavano i parametri dettati dalla Convenzione in materia, non era ammessa né necessaria alcuna valutazione ad hoc del caso.
La Corte d’Assise rigettava le sue istanze affermando che la giurisprudenza EDU non garantiva, in maniera assoluta, la presenza di un difensore in tutte le fasi del procedimento penale, che era necessario considerare la correttezza del procedimento nel suo complesso e che i diritti di difesa sarebbero stati direttamente violati solo in presenza di dichiarazioni incriminatorie. Sulla base di queste ed altre considerazioni la Corte belga ordinava la prosecuzione del procedimento. Alla chiusura del processo, il 9 febbraio 2010, la giuria emanava un verdetto di colpevolezza e Beuze veniva condannato all’ergastolo.
Il ricorrente proponeva ricorso in Cassazione, lamentando la violazione degli artt. 6.1 e 6.3(c) della Convenzione. La Corte di legittimità affermava, in primo luogo, che le previsioni legislative interne non potevano essere considerate per sé lesive del diritto al giusto processo, e che al contrario le restrizioni dovevano essere esaminate alla luce di una serie di garanzie legali disponibili al ricorrente. In secondo luogo, l’interpretazione dell’art. 6 CEDU fornita dal ricorrente doveva essere esaminata in relazione al principio costituzionale di legalità del processo penale. Sulla base della valutazione in concreto della fattispecie, la Corte rigettava il ricorso e confermava la sentenza di condanna.
L’evoluzione della normativa e della giurisprudenza interna
La giurisprudenza della Corte EDU ha avuto grande influenza sull’evoluzione delle norme del codice di procedura penale belga in materia di diritto di difesa e sulla loro applicazione. Nel periodo dei fatti di causa, e cioè prima della pubblicazione della summenzionata sentenza Salduz, la legislazione belga non prevedeva che l’arrestato, nelle 24 ore precedenti al giudizio di convalida, potesse essere assistito da un avvocato, nemmeno durante gli interrogatori o nel primo esame da parte del giudice delle indagini, né che potesse ricevere una consulenza legale che potesse aiutarlo nel corso degli stessi.
In generale, il diritto all’assistenza da parte di un difensore tecnico era molto ristretto se non del tutto precluso nella fase investigativa, per esigenze di segretezza. All’indomani della sentenza Salduz la Corte di Cassazione belga fu più volte chiamata a pronunciarsi su asserite violazioni dell’art. 6 para. 1 e 3 CEDU per l’impossibilità degli accusati di consultare un avvocato durante il periodo di custodia cautelare, gli interrogatori della polizia ed il primo esame del giudice. Nel decidere su questo tipo di ricorsi, i giudici di legittimità affermarono che tale restrizione non costituiva in sé una violazione ai diritti di difesa dell’accusato, ma che il rispetto degli stessi dovesse essere valutato alla luce del procedimento penale nel suo complesso, per mezzo dell’esame delle numerose garanzie procedurali poste a tutela dell’individuo (ad es. le formalità imposte per gli interrogatori, la brevità del periodo di custodia, la possibilità per l’accusato di accedere al fascicolo…). Con una sentenza del 31 ottebre 2017, la Suprema Corte belga statuì che nella valutazione dei tribunali interni dovessero essere impiegati i parametri enumerati nella sentenza CEDU Ibrahim ed altri c. Regno Unito (Grande Camera, ricorsi n.r 50541/08 + 3, para. 274, del 13 settembre 2016).
La legislazione belga venne riformata nel 2011 con il cd. “Salduz Act” e nel 2016 con il cd. “Salduz bis Act”, che introdussero il diritto dell’accusato di consultare un avvocato prima e durante gli interrogatori investigativi, l’avviso di godere del diritto di non auto incriminarsi e di poter scegliere se rendere dichiarazioni, rispondere alle domande o rimanere in silenzio.
Le doglianze del ricorrente
Beuze adiva la Corte EDU nel 2010 lamentando la violazione dell’art. 6 para 1 e 3 (c) :
- Ogni persona ha diritto a che la sua causa sia esaminata equamente, pubblicamente … da un tribunale indipendente e imparziale, …, il quale sia chiamato a pronunciarsi …sulla fondatezza di ogni accusa penale formulata nei suoi confronti
- In particolare, ogni accusato ha diritto di:
…
(c) difendersi personalmente o avere l’assistenza di un difensore di sua scelta e, se non ha i mezzi per retribuire un difensore, poter essere assistito gratuitamente da un avvocato d’ufficio, quando lo esigono gli interessi della giustizia;
In particolare, egli si doleva del fatto che l’assenza di un difensore durante l’interrogatorio successivo alla consegna alle autorità belghe gli avesse di fatto impedito di essere informato sul diritto a non auto-incriminarsi e sul possibile utilizzo delle sue dichiarazione come prove contro di lui.
Secondo Beuze, non vi erano stati validi motivi alla base della restrizione del diritto all’assistenza legale, che al tempo era stabilita per legge, durava per tutta la fase investigativa e non era giustificata da alcuna valutazione individuale o dal bisogno di proteggere l’incolumità di terzi. Secondo la sentenza Ibrahim c. Regno Unito, l’assenza di validi motivi darebbe per sè origine ad una presunzione di violazione dell’art.6 CEDU. L’accertamento di una restrizione generale ed obbligatoria del diritto all’assistenza legale era quindi, secondo il ricorrente, sufficiente a stabilire che vi fosse stata una violazione dei requisiti stabiliti dall’art. 6 della Convenzione. Per Beuze, dal momento che la restrizione aveva carattere normativo, essa aveva irreparabilmente pregiudicato la legalità del procedimento nel suo complesso, anche alla luce del particolare stato di vulnerabilità al momento dell’arresto e del suo stato psicologico in generale, che lo aveva portato a fare dichiarazioni confuse e contrastanti tra loro.
La decisione della Grande Camera
Nell’esaminare il caso di specie, la Corte EDU ha colto l’occasione per ribadire alcuni principi generali in materia di diritto di difesa. Secondo i giudici di Strasburgo, l’equità del procedimento deve essere valutata alla luce del suo svolgersi complessivo, senza escludere però che vi possano essere dei fattori specifici decisivi già dalle prime fasi processuali. L’art. 6 para. 3 enumera infatti dei cd. “diritti minimi”, che possono essere considerati quali aspetti specifici del concetto di processo penale equo ai sensi dell’art. 6 para. 1.
Nello specifico, afferma la Corte, il diritto di accesso ad un avvocato, decorre dal momento dell’arresto e costituisce un importante bilanciamento alla vulnerabilità della persona sottoposta a custodia. La sentenza Salduz aveva dimostrato che l’applicazione sistematica/codicistica del diritto all’accesso ad un avvocato nella fase pregiudiziale non poteva mai essere considerata quale “compelling reason”, ossia valido motivo. Con la sentenza Ibrahim c. Regno Unito si era poi consolidata la definizione di un test bifasico da parte della Corte, che prevedeva:
- La verificava della sussistenza di validi motivi;
- Nel caso non vi fossero validi motivi per applicare la restrizione:
(i.) se la restrizione non presentava carattere generale ed obbligatorio, si procedeva all’analisi dell’equità del procedimento nel suo complesso sulla base di una lista non esaustiva di fattori (giurisprudenza Ibrahim)
(ii.) se la restrizione presentava carattere statutario e sistematico, essa era sufficiente ad affermare in via presuntiva la presenza di una violazione all’art. 6 CEDU (giurisprudenza Salduz)
Con riguardo al caso Beuze, la grande Camera ha preso in considerazione il fatto che l’epoca dei fatti è precedente alle riforme legislative derivate dalla giurisprudenza della Corte, e si è espressa favorevolmente sul lavoro di adeguamento compiuto dalle istituzioni belghe.
Tuttavia, essa ha accertato che nella fattispecie le restrizioni alla difesa sono state particolarmente estese, sia nel contenuto che nella durata, affermando che il ricorrente non ha goduto del diritto all’accesso ad un avvocato previsto dall’art. 6 CEDU per tutto il tempo della custodia e che il suo diritto è stato di conseguenza compromessa in tutta la fase investigativa pregiudiziale. Siffatte restrizioni sono ammissibili solo in circostanze eccezionali, devono essere di natura temporanea e dettate da una valutazione individuale delle peculiarità del caso: esame che in tutta evidenza non c’è stato per Beuze, né il Governo ha fornito prova della sussistenza di particolari circostanza giustificative dell’applicazione della misura legislativa.
A questo punto del ragionamento giuridico e alla luce del test bifasico summenzionato, ci si sarebbe ragionevolmente aspettati che la Corte, avendo accertato la presenza di una restrizione di carattere generale ed obbligatorio non giustificata da validi motivi, avrebbe concluso il suo scrutinio decidendo per la sussistenza di violazione all’art. 6 CEDU. Sorprendentemente, i giudici della Grande Camera hanno invece continuato la valutazione del caso procedendo con la seconda fase del test secondo i criteri elaborati nella sentenza Ibrahim. Gran parte della sentenza Beuze è dedicata infatti all’esame dell’equità del procedimento nel suo complesso, con valutazione di molteplici profili quali: (i.) lo stato di vulnerabilità dell’accusato, (ii.) le circostanze in cui sono state ottenute le prove ammesse in giudizio, (iii.) il quadro normativo e la capacità dell’accusato di confutare le prove a suo carico, (iv.) la natura incriminatoria o meno delle dichiarazioni rese da Beuze in assenza del suo avvocato, (v.) le informazioni di cui la giuria si è servita per giungere al verdetto e molti altri. In considerazione della combinazione dei fattori menzionati, la Grande Camera ha concluso che vi è stata una violazione dell’art. 6 para 1 e 3 ( c ) della Convenzione, considerando tale accertamento sufficiente in sé come misura di equa soddisfazione per il danno non patrimoniale sofferto dal ricorrente. Spetterà ai giudici interni valutare se eseguire la sentenza delle Corte con la riapertura del processo o adottare altre misure.
Conclusioni e perplessità
La presente sentenza, seppur descritta dalla Grande Camera come opportunità per fare chiarezza sui principi generali e sull’applicazione del diritto di difesa, sembra aver invece spostato i punti fermi stabiliti dalle sentenze Salduz ed Ibrahim. Come affermato nella Separate Opinion dei giudici Yudkivska, Vučinić, Turković e Hüseynov allegata alla sentenza, la Corte sembra aver fatto applicazione della propria giurisprudenza in modo per lo meno contrastante con i principi precedentemente affermati. Essa ha infatti condotto uno scrutinio sull’equità complessiva del procedimento anche se, secondo il principio affermato in Salduz, in presenza di una restrizione di carattere normativo e in assenza di “compelling reasons” per la sua applicazione, vi è presunzione automatica di violazione del diritto alla difesa del ricorrente. Quella che doveva rappresentare un’evoluzione della giurisprudenza post Salduz e Ibrahim si potrebbe tradurre nella pratica in un passo indietro per la tutela del diritto di accesso al difensore.
Come citare il contributo in una bibliografia:
S. Carrer, Il caso Beuze contro Belgio alla Corte EDU: la Grande Camera deraglia sull’art. 6?, in Giurisprudenza Penale Web, 2018, 11