I reati ambientali e la responsabilità degli enti (Tesi di master)
Ateneo: Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano – Master in Diritto Penale d’Impresa
Relatore: Pierpaolo Astorina Marino
Anno accademico: 2017/2018
La ricerca in esame si propone, in un primo momento, di analizzare la normativa penale italiana a tutela dell’ambiente e di inquadrare il concetto di ambiente quale, oggetto meritevole di tutela, e i criteri di riparto di responsabilità dei reati ambientali.
Il lavoro si soffermerà poi sulla responsabilità amministrativa da reato degli enti. Nel corso degli anni l’emergere delle problematiche connesse all’evoluzione della società industriale ha posto in crisi l’ineluttabile principio societas delinquere non potest e, nel contesto del mutato panorama culturale, ha fatto ingresso nel nostro ordinamento il D.lgs. 8 giugno 2001, n. 231 recante la disciplina della responsabilità delle persone giuridiche.
In realtà, tale intervento legislativo avrebbe dovuto ricomprendere sin dall’inizio la responsabilità degli enti per i reati ambientali. L’occasione per superare tale problema è originata dalla necessità di corrispondere agli obblighi comunitari, derivanti dalla direttiva 2008/99 CE sulla tutela penale dell’ambiente, giungendo così all’emanazione del D.lgs. del 7 luglio 2011, n. 121, che si è tuttavia distaccato dai precetti madre di derivazione europea. Il legislatore italiano, invero, anziché seguire le indicazioni comunitarie volte a costruire la responsabilità dell’ente circoscritta a una serie di reati di danno e pericolo concreti, puniti qualora commessi con intenzione o colpa grave, ha riproposto il sistema delineato dal codice dell’ambiente italiano, costituito in gran parte su fattispecie di natura formale e di pericolo astratto.
La recente legge di riforma sugli “eco-delitti” del 22 maggio 2015, n. 68, rappresenta certamente un punto di cesura, sotto diversi profili, rispetto alle costanti politico-criminali per lungo tempo seguite dal legislatore nazionale nell’apprestare la tutela penale al bene ambiente. Con tale intervento legislativo è stata profondamente riscritta la disciplina penale posta a tutela dell’ambiente ed è stato risolto uno dei principali difetti congeniti della c.d. parte speciale del D.lgs. 231/2001, estendendo la responsabilità degli enti anche ai più gravi delitti ambientali. Tuttavia, nonostante i buoni propositi, la nuova disciplina presenta delle lacune e delle imprecisioni di non poca rilevanza.
Ai fini di un corretto inquadramento della problematica, l’elaborato si propone di procedere con una disamina delle principali fattispecie delittuose introdotte dalla recente legge di riforma del 22 maggio 2015, n. 68, affinché possano rilevarsi le criticità emergenti della lettura delle norme, sia sotto il profilo del rispetto del principio di tipicità, sia per quanto riguarda le incongruenze e le contraddizioni insite nelle singole figure di reato o nel rapporto tra le stesse.