Padre e figlio: un legame oltre le sbarre
in Giurisprudenza Penale Web, 2019, 2-bis – ISSN 2499-846X
La Convenzione sui diritti dell’Infanzia e dell’Adolescenza (art. 9 comma terzo) afferma che gli Stati parti rispettano il diritto del fanciullo, separato da entrambi i genitori o da uno di essi, di intrattenere regolarmente rapporti personali e contatti diretti con entrambi i genitori, a meno che ciò non sia contrario all’interesse preminente del fanciullo, dove per fanciullo si intende il minore di anni 18. La Costituzione stessa tutela il diritto all’affettività ed alla famiglia richiamandone il valore e l’importanza (artt. 3, 29, 30, 31). Quando il genitore è detenuto, questo diritto deve però tenere conto della tutela della sicurezza, e non è facile trovare un contemperamento. Il legislatore è chiamato a operare il necessario bilanciamento tra “interessi di pari rilevanza costituzionale, tra tutela del diritto del detenuto\internato di mantenere i rapporti affettivi con i figli e i nipoti e quello di garantire la tutela dell’ordine e della sicurezza pubblica”.
In un recente incontro tra i detenuti del carcere romano di Rebibbia e i giudici della Corte Costituzionale, la dott.ssa Cartabia, membro della Consulta, ha riposto ad una domanda posta da una detenuta sul diritto all’affettività (4 ottobre 2018). La vice presidente della Consulta si è espressa mettendo in nuce la complessità del rapporto tra sicurezza e affettività: “il carcere toglie la libertà di muoverti, ma soprattutto crea una distanza negli affetti, […] non si possono togliere alzando dei muri o delle barriere, ma si vivono in una dimensione di mancanza, di nostalgia, e tanto più manca qualcosa, e quanto più è intenso e presente è il legame con le persone care. […] La famiglia, la maternità, questi rapporti sono ben presenti nella Costituzione che li tutela come diritti e doveri che non si fermano fuori dalle mura del carcere […] certo il modo e il come non possono che essere diversi, perché bisogna tenere conto essenzialmente dei problemi della sicurezza. Incidere sui rapporti familiari significa spostare l’afflittività della pena anche su persone che non hanno commesso reati. Quando si incide su quel rapporto si tocca la vita non di una sola persona, ma anche quella di innocenti, tanto più se sono minori […]”.
Nel corso della mia esperienza di psicologa carceraria in una Casa di Reclusione maschile, con circuito di Alta e Media Sicurezza, ho raccolto più volte la testimonianza delle conseguenze che la carcerazione ha sulla vita dei figli. Un giorno una bambina di 6 anni in visita al padre detenuto mi fece un disegno pieno di uccelli, poi iniziò a barrarne una parte con delle croci, quando le chiesi di spiegarmene il motivo, mi disse che erano morti tutti i maschi. La spiegazione della bambina fu netta e, a suo modo, fulminante: “perché i maschi sono tutti scemi e inutili, perché i papà non ci sono mai”. La bambina non era riuscita ad accettare la carcerazione del padre e, il fatto che lo descrivesse in un disegno ad un’estranea, corrispondeva in qualche modo ad una richiesta di aiuto alla società esterna rispetto al problema della perdita della relazione paterna.
Il nostro ordinamento penitenziario pone attenzione all’interruzione dei rapporti affettivi e colloca i rapporti con la famiglia tra gli aspetti fondamentali del trattamento, così come richiamato anche nella circolare del DAP n. 0137372 del 23.04.2018, che alla luce della Raccomandazione del Comitato dei Ministri del Consiglio d’Europa, ribadisce che i minori figli di genitori detenuti hanno gli stessi diritti degli altri, inclusa la possibilità di un contatto regolare con i loro genitori. La circolare riconosce inoltre le difficoltà che questi minori possono incontrare per la mancanza di qualità del contatto familiare, per la stigmatizzazione sociale e le conseguenze finanziarie, pratiche e psicologiche della detenzione del genitore.
Questi minori in un certo senso scontano la condanna del genitore, perché le sue scelte delinquenziali, creano una rottura dei legami affettivi e contemporaneamente li rendono portatori di uno stigma sociale.
Come citare il contributo in una bibliografia:
M. Salvetti, Padre e figlio: un legame oltre le sbarre, in Giurisprudenza Penale Web, 2019, 2-bis