Assunzione in assenza di reale bisogno aziendale e responsabilità ex D. Lgs. 231/2001
in Giurisprudenza Penale Web, 2019, 5 – ISSN 2499-846X
Tribunale di Bologna, Sez. I, 17 luglio 2018 (ud. 10 luglio 2018), n. 3425
Presidente ed Estensore S. Scati
I fatti oggetto della presente vicenda possono essere così brevemente sintetizzati: la Pubblica Accusa contestava a un ispettore ANAC e al Responsabile della “Direzione Acquisti ed Appalti” di due Società operanti (una controllante e una partecipata) nella gestione del servizio integrato dei rifiuti il delitto di induzione indebita a dare o promettere utilità ex art. 319-quater c.p. per avere “il primo, nel corso di una verifica condotta presso le menzionate Società, indotto il secondo a far sì che il figlio conseguisse uno stage retribuito” presso la Società controllante.
Contestualmente, “sul presupposto che” il Responsabile della Direzione Acquisti ed Appalti “avesse agito al fine di condizionare gli accertamenti ispettivi“, l’Autorità inquirente contestava altresì alle due Società l’illecito amministrativo previsto e sanzionato dall’art. 25 del D.Lgs. 231/2001, relativo alla commissione del delitto di cui all’art. 319-quater c.p.
Tutto ciò premesso, partiamo con l’esaminare le risultanze dibattimentali sulla cui base il Tribunale ha ritenuto che i fatti poc’anzi descritti fossero idonei ad integrare la fattispecie di cui all’art. 319-quater c.p.
In primo luogo, si è evidenziato che “il (omissis), nella qualità di responsabile della “Direzione Acquisti e Appalti” di entrambe le società, era ovviamente a conoscenza dei fatti storici sui quali si sarebbe fondato l’accertamento ispettivo con particolare riguardo al costante affidamento di appalti in difetto della procedura ad evidenza pubblica. Egli nutriva quindi il timore che nel corso dell’ispezione venissero accertate gravi irregolarità con quanto ne sarebbe conseguito in danno sia dell’Ente di appartenenza sia anche a titolo personale” (p. 7).
Al contempo – si legge nelle motivazioni – “risulta […] acclarato che (omissis) è stato selezionato al di fuori della tempistica ordinaria” e secondo la modalità c.d. “fuori sacco, mediante l’artificiosa creazione di un bisogno aziendale ritagliato proprio sulla base del titolo di studio posseduto“, disponendo, in definitiva, “uno stage retribuito ad un soggetto che, per il suo modesto curriculum, non sarebbe mai stato preso in considerazione” (p. 12).
Di conseguenza, alla luce dei principi sanciti dalla sentenza Maldera, l’Organo Giudicante ha così dedotto che il fatto contestato potesse rientrare nella fattispecie di induzione indebita sopra menzionata.
In primo luogo, il Responsabile dell’Ufficio Acquisti e Appalti avrebbe agito con l’intenzione di “conseguire il vantaggio di attenuare/limitare le conseguenze negative della visita ispettiva e […] per tale ragione ha aderito, pur potendo rifiutare, alla richiesta del (omissis) (che implicitamente conteneva la prospettazione di un trattamento benevolo” (pp. 12-13), senza che possa assumere “la minima rilevanza al fatto che l’ispezione si sia conclusa con l’accertamento di gravi irregolarità […]. In primo luogo, perché la spinta utilitaristica che ha motivato l’agire del (omissis) deve essere valutata ex ante e, cioè, al momento dell’avvio dell’ispezione, quando è stato di fatto concluso l’illecito accordo negoziale. In secondo luogo, perché, trascorso poco più di un mese, il (omissis) è stato escluso dal gruppo ispettivo a seguito di trasferimento (casuale o “mirato”) a diverso incarico” (p. 13).
Contestualmente, sempre secondo il Tribunale, “la procedura di selezione di (omissis) da parte dell’ufficio personale è stata avviata su richiesta del (omissis) il quale […] era il soggetto più interessato a un certo esito ispettivo e in tale condizione si è sollecitamente rapportato con il funzionario pubblico” (p. 13).
Esaurita la definizione delle responsabilità penali dei due imputati, le motivazioni si focalizzano poi sulla disamina dell’illecito amministrativo contestato alle due Società, nell’ambito delle quali uno dei due imputati – come si è detto – rivestiva un ruolo apicale, in quanto di direttore di un’unità organizzativa (cfr. art. 5, comma 1 lett. a) D.Lgs. 231/2001).
Ad essere oggetto di attenzione, si legge nelle motivazioni, non è tanto la valutazione del requisito dell’interesse/vantaggio in capo ai due enti: il Tribunale dà infatti subito atto che “sulla base della verifica ex ante, il reato è stato commesso nel precipuo interesse dei due Enti visto che la finalità sarebbe stata quella di influenzare gli accertamenti ispettivi” (p. 13).
Piuttosto, e lo si legge con chiarezza, le motivazioni si soffermano sulla possibile applicazione della clausola di esonero da responsabilità ai sensi dell’art. 6 del D.Lgs. 231/2001 e dedicano importanti passaggi in merito all’idoneità del modello organizzativo a prevenire fattispecie di reato analoghe a quella qui contestata.
Entrando nello specifico, il Tribunale rileva in via preliminare che la Società controllante – Società con prevalente partecipazione pubblica – era (ed è) soggetta al controllo di numerose autorità pubbliche “che esercitano il loro potere di vigilanza anche mediante visite ispettive” (p. 14).
Per queste ragioni, stante la struttura della fattispecie che viene qui contestata, il Tribunale esclude che possa trovare applicazione la clausola di esenzione sopra menzionata, ritenendo piuttosto che “il reato […] sarebbe stato evitato ove il modello organizzativo fosse stato integrato da un protocollo destinato a regolare i rapporti con le Autorità di vigilanza il quale avesse previsto:
- che i funzionari delle Autorità di vigilanza fossero coadiuvati da personale di aree diverse da quelle di ispezione; e ciò con lo scopo di evitare commistione tra il controllore e il diretto controllato nell’ambito della quale maturano confidenza, familiarità e quant’altro può favorire indebite richieste;
- che spettasse solo agli organismi di vertice (e con il controllo dell’organo di vigilanza) ogni decisione che potesse in qualche modo coinvolgere il personale ispettivo; e ciò con lo scopo di “blindare” e di assoggettare al massimo livello di responsabilità scelte aziendali (quali assunzioni, conferimenti di incarichi professionali, appalti ecc.) foriere di possibili gravi conseguenze per l’ente” (p. 14).
Senza addentrarsi troppo nella disamina dei concetti appena espressi (non è certo la sede), alla luce di quanto appena riportato occorre comunque trarre qualche considerazione.
Se da un lato, è del tutto evidente che il mero di verificarsi di una specifica fattispecie di reato non può determinare automaticamente una valutazione di inidoneità del modello adottato, al contempo è altrettanto chiaro che ogni valutazione di colpevolezza (da condursi ovviamente ex ante – così come per l’elemento colposo tradizionale) non potrà mai sfociare in una valutazione prettamente arbitraria, dovendo invero fondarsi sulla scorta delle risultanze dibattimentali.
Di conseguenza, se le cose stanno così, ogni valutazione in merito all’eventuale inidoneità del M.O.G. (ivi compresa la valutazione adottata nella sentenza che si commenta) non potrà mai assurgere al livello di regola generale in grado di definire una volta per tutte i confini dell’idoneità di qualsivoglia M.O.G.
In tutti i casi, il vaglio giudiziale – lungi dall’effettuare un mero richiamo ai precedenti giurisprudenziali – dovrà quindi necessariamente razionalizzare il compendio probatorio emerso in sede dibattimentale, tenendo conto della tipologia di reato volta per volta contestato, oltre che delle inevitabili peculiarità della struttura organizzativa (in ossequio ai principi costituzionali sanciti dall’art. 41 Cost.) in cui l’illecito viene a maturare.
Tuttavia, nonostante (come si è visto) le conclusioni qui adottate – e, in particolare, l’inidoneità derivante dalla mancata adozione di un protocollo in grado di regolare i rapporti tra il funzionari “controllati” e i funzionari “controllanti” – siano e debbano comunque restare ontologicamente delimitate alla vicenda in esame, non si può certo non rilevare che esse – così come formulate nelle motivazioni – trovino il loro fondamento sulla scorta di valori (“evitare commistione tra il controllore e il diretto controllato nell’ambito della quale maturano confidenza, familiarità e quant’altro può favorire indebite richieste” e “blindare e assoggettare al massimo livello di responsabilità scelte aziendali (quali assunzioni, conferimenti di incarichi professionali, appalti ecc.) foriere di possibili gravi conseguenze per l’ente“) che, per la loro portata generale, prescindono dalle peculiarità di una determinata struttura organizzativa e, di conseguenza, possono assurgere al livello di linee guida sulla cui base ogni realtà aziendale può fondare importanti aspetti di compliance aziendale a seconda delle proprie esigenze imprenditoriali.
In definitiva, pur prendendo atto che ciascuna realtà imprenditoriale potrà predisporre il proprio modello sulla scorta delle proprie necessità organizzative, nondimeno tale profilo di discrezionalità non potrà comunque ignorare, almeno su un piano generale, quanto appena ricordato nelle motivazioni qui in esame: e cioè che il modello preveda esplicitamente che gli adempimenti richiamati nel paragrafo precedente (assunzioni, conferimento di incarichi professionali o appalti) vengano adottati dai vertici aziendali (e con il necessario controllo dell’Organismo di vigilanza) e avvengano sulla scorta di reali bisogni societari e nel rispetto dell’iter aziendale, in modo da evitare che possano sorgere favoritismi dettati da rapporti di confidenza oppure, molto più semplicemente, da situazioni di conflitto di interesse (anche solo potenziale) che, sono le parole della pronuncia che si commenta, possono essere “forieri di possibili gravi conseguenze per l’ente“.
Come citare il contributo in una bibliografia:
M. Miglio, Assunzione in assenza di reale bisogno aziendale e responsabilità ex D. Lgs. 231/2001, in Giurisprudenza Penale Web, 2019, 5