La costituzione di parte civile nei confronti dell’ente ai sensi del D.Lgs. 231/2001: un commento all’ordinanza del Tribunale di Trani nel processo sul disastro ferroviario Andria-Corato
in Giurisprudenza Penale, 2019, 7-8 – ISSN 2499-846X
Tribunale di Trani, Sezione Unica Penale, Ordinanza, 7 maggio 2019
Presidente Pavese, Giudici De Santis – De Rosa
1. L’ammissibilità della costituzione di parte civile nel processo penale avente ad oggetto l’illecito amministrativo è questione da tempo dibattuta e che, anche se eminentemente processuale, si riconnette a una questione di ordine sostanziale, ovvero quella concernente la natura della responsabilità disciplinata dal D.Lgs. n. 231/2001.
Quest’ultima, ora ricondotta nell’alveo della responsabilità penale, ora in quella amministrativa, riassume in sé, inscindibilmente avvinti, i caratteri di entrambe e per questo taluni la qualificano quale tertium genus.
Con l’ordinanza n. 689/2019 del 7 maggio 2019, la Sezione Unica Penale del Tribunale di Trani ha ritenuto ammissibili le costituzioni di parte civile nei confronti della Ferrotramviaria S.p.a., società imputata nel processo penale riguardante il disastro ferroviario avvenuto in Puglia, sulla tratta Andria-Corato.
Il Tribunale, revocando la precedente e opposta decisione del Giudice dell’udienza preliminare, ha disposto che i danneggiati da reato possano esercitare la loro pretesa direttamente nei confronti dell’ente.
L’ordinanza in narrativa si sofferma, anzitutto, sulle ragioni che avevano condotto il G.U.P. di Trani a ritenere non ammissibile la costituzione di parte civile nei confronti della Ferrotramviaria S.p.a.: i) nel D.Lgs. n. 231/2001 manca ogni riferimento esplicito all’istituto della parte civile; ii) l’illecito amministrativo non si identifica con il reato, dal momento che “il reato che viene realizzato dai vertici dell’ente, ovvero dai suoi dipendenti è solo uno degli elementi che formano l’illecito amministrativo da cui deriva la responsabilità dell’ente”; iii) il presupposto che fonda la costituzione di parte civile è rappresentato dalla commissione di un reato e non di un illecito amministrativo.
Da tali premesse, il G.U.P. di Trani ha ritenuto ammissibile unicamente che la parte civile citi l’ente come responsabile civile a norma dell’art. 83 c.p.p. e, pertanto, eserciti nei suoi confronti un’azione indiretta.
A suffragio del teorema sopra indicato, il G.U.P. di Trani ha richiamato i canoni elaborati dalla giurisprudenza della Corte di Giustizia Europea, sez. II, 12 luglio 2012, Giovanardi, oltre alla pronuncia della Consulta n. 218 del 18 luglio 2014.
2. Il provvedimento in esame fa presente che il patrono della parte civile Associazione ACU consumatori e utenti ONLUS, a fondamento della richiesta di revoca dell’ordinanza di inammissibilità, ha depositato una memoria difensiva, alla quale si sono poi riportati anche i patroni delle altre parti civili, sostenendo che:
i) la carenza di una specifica norma in seno al D.Lgs. 231/2001 relativa alle figure della persona offesa e della parte civile non sarebbe ostativa, posto che l’art. 34 del Decreto prevede testualmente che “per il procedimento relativo agli illeciti amministrativi, si osservano (…) in quanto compatibili le disposizioni del codice di procedura penale”. A conferma della tesi in argomento, l’art. 38 del Decreto prevede, per il processo a carico dell’ente e per il processo a carico dell’autore del reato, la regola del processo simultaneo. Inoltre, l’art. 47, comma 1 del Decreto attribuisce la competenza funzionale del G.I.P. ad adottare misure cautelari a carico dell’Ente e l’art. 74, comma 1 del Decreto individua quale giudice dell’esecuzione quello richiamato dall’art. 665 c.p.p.. Da ultimo, nell’ipotesi in cui il Legislatore ha inteso escludere la costituzione di parte civile nei confronti di un soggetto peculiare, quale i minori, lo ha fatto in modo espresso (art. 10 D.P.R. n. 448/1988);
ii) la circostanza che l’art. 54 del Decreto non richiami la parte civile quale soggetto promotore del sequestro conservativo non sarebbe ostativa a tale possibilità, in quanto la norma dovrebbe essere interpretata nel senso che il legislatore non ha avvertito l’esigenza di derogare alla disciplina codicistica;
iii) la già citata pronuncia della Consulta non sarebbe d’ostacolo, posto che la questione sollevata, poiché ritenuta non ammissibile, non è stata sindacata nel merito;
iv) la responsabilità da reato sarebbe riconducibile, alla stregua dei consolidati criteri elaborati dalla Corte europea dei diritti dell’uomo, alla “materia penale”, in quanto particolarmente afflittiva e capace di determinare una grave compressione dei diritti dell’ente.
3. Il Tribunale di Trani, con l’ordinanza in parola, mostra di aderire alla tesi c.d. “estensiva” patrocinata dal difensore della parte civile: ammette, quindi, mutando prospettiva rispetto al prevalente orientamento, la possibilità che il danneggiato da reato possa costituirsi nei confronti dell’ente.
A tal fine osserva che ancorché il Decreto fuoriesca dagli schemi tradizionali del diritto penale – incentrati sulla distinzione tra pene e misure di sicurezza, nonché tra pene principali e pene accessorie -, il sistema da esso introdotto, volto a contrastare il fenomeno della criminalità d’impresa, rivela una stretta correlazione tra l’accertamento della responsabilità penale e la sanzione da irrogare all’ente e persegue “una massiccia finalità specialpreventiva”.
Come noto, infatti, sul tema coesistono diversi orientamenti ermeneutici, a mente dei quali il Decreto avrebbe introdotto: i) una responsabilità di tipo amministrativo; ii) una responsabilità di tipo penale; iii) un tertium genus di responsabilità, definito dalla stessa Relazione Ministeriale che accompagna la normativa in esame come una responsabilità che “coniuga i tratti essenziali del sistema penale e di quello amministrativo nel tentativo di contemperare le ragioni dell’efficacia preventiva con quelle, ancor più ineludibili, della massima garanzia”.
Il Collegio ritiene di aderire a quest’ultimo indirizzo, richiamando quanto autorevolmente affermato dalla Sezioni Unite c.d. “Thyssenkrupp” (Cass pen., Sez. Un., sentenza n. 38343, 24 aprile 2014). Invero, secondo i giudici di legittimità, “il sistema normativo introdotto dal D.Lgs. n. 231 del 2001, coniugando i tratti dell’ordinamento penale e di quello amministrativo, configura un “tertium genus” compatibile coi principi di responsabilità per fatto proprio e di colpevolezza”.
Osserva, altresì, che la giurisprudenza ha avuto modo di chiarire la natura autonoma della responsabilità dell’ente. A norma dell’art. 8 del Decreto – rubricato “Autonomia delle responsabilità dell’ente” -, infatti, la responsabilità dell’ente sussiste anche qualora l’autore del reato non sia stato identificato o non sia imputabile, ovvero il reato sia estinto per una causa diversa dall’amnistia. La commissione del reato, pertanto, costituisce l’elemento costitutivo di una più ampia fattispecie: emerge dalla disciplina introdotta dal Decreto, e segnatamente dagli artt. 6 e 7, che l’ente è chiamato a rispondere sulla base della c.d. colpa di organizzazione, ovvero la mancata adozione o l’inefficace attuazione di modelli organizzativi idonei ad impedire la commissione di reati nell’ambito dell’attività aziendale.
I criteri di imputazione oggettiva dell’illecito, tuttavia, dimostrano la stretta connessione tra l’illecito penale e la responsabilità dell’ente: ai sensi dell’art. 5 del Decreto, infatti, si richiede che il reato presupposto sia commesso nell’interesse o a vantaggio dell’ente. Pertanto, secondo l’ordinanza in commento, il reato sarebbe qualificabile come ‘proprio’ anche della persona giuridica, in virtù del rapporto di immedesimazione organica che lega ad essa il soggetto inserito nella sua compagine, autore del reato. Di conseguenza, non può escludersi che dallo stesso fatto dell’ente possa derivare un danno risarcibile ai sensi dell’art. 185 c.p., come richiamato dall’art. 74 c.p.p. e applicabile in forza del rinvio di cui all’art. 34 del Decreto, per il quale il danneggiato possa agire in via diretta.
La soluzione in esame appare, altresì, obbligata al fine di rendere effettiva la previsione di cui all’art. 24 Cost., secondo cui sussiste in capo a ogni consociato la facoltà di agire in giudizio per la tutela dei propri diritti soggettivi e interessi legittimi.
Alle argomentazioni proposte dai difensori delle parti civili, il Collegio aggiunge che non sarebbe ostativo, ai fini della possibilità di costituirsi parte civile nei confronti dell’ente, il mancato esercizio della delega richiamato dall’art. 11, comma 1, lett. u), della L. n. 300 del 2000, che prevede la possibilità del danneggiato di costituirsi parte civile. Il legislatore, infatti, non avrebbe inteso adeguarsi alla delega in quanto essa individua un criterio peggiorativo rispetto al regime delineato dal codice di rito, che sarebbe applicabile in forza del richiamo generale contenuto negli artt. 34 e 35.
Ancora, al fine di confutare l’opposta tesi c.d. “restrittiva”, nel provvedimento in commento si evidenzia che la relazione illustrativa non contiene alcuna indicazione in ordine all’inammissibilità della costituzione di parte civile nei confronti dell’ente: laddove il legislatore ha voluto derogare alle previsioni codicistiche con riferimento a singoli istituti, lo ha previsto espressamente (si pensi, a titolo esemplificativo, alla disciplina in materia di archiviazione o di riti speciali).
Un ulteriore argomento preso in esame nell’ordinanza, sempre a favore della tesi dell’ammissibilità della costituzione di parte civile nei confronti dell’ente, è rappresentato dall’art. 12 D.Lgs. 231/2001 che, tra i casi di riduzione della sanzione pecuniaria applicabile, considera l’ipotesi in cui l’ente, prima dell’apertura del dibattimento, abbia risarcito integralmente il danno ed eliminato le conseguenze dannose o pericolose del reato, ovvero si sia comunque efficacemente adoperato in tal senso. Analoga rilevanza assumono, inoltre, l’art. 17, che esclude la possibilità di irrogare sanzioni interdittive quando l’ente abbia risarcito integralmente il danno e abbia eliminato le conseguenze dannose o pericolose del reato, o si sia comunque efficacemente operato in tal senso, e l’art. 19 che, in tema di confisca, fa espresso riferimento alla parte del prezzo o del profitto del reato che può essere restituita al danneggiato, consentendo di esercitare l’azione civile per l’accertamento della sussistenza di tale diritto nonché del quantum.
Non osterebbe alla costituzione di parte civile nei confronti dell’ente nemmeno l’art. 54 del Decreto, relativo al sequestro conservativo, poiché tale norma riguarda la “sanzione pecuniaria”, mentre l’art. 316, comma 1 c.p.p. riguarda la “pena pecuniaria”. Pertanto, la norma del Decreto andrebbe a integrare la disciplina codicistica, senza derogare ad essa, e in particolare alle previsioni di cui ai commi 2 e 3, relative alle garanzie delle obbligazioni civili.
Respingendo la tesi secondo cui non sarebbe individuabile un danno direttamente risarcibile, derivante dall’illecito amministrativo, diverso da quello prodotto dal reato, il Collegio rileva inoltre che l’art. 50 del Decreto prevede la revoca delle sanzioni interdittive applicate in via cautelare, oltre che nell’ipotesi in cui vengano meno le esigenze cautelari, anche in presenza delle condizioni di cui all’art. 17 del Decreto tra cui, come sopra menzionato, vi è anche il risarcimento integrale del danno da parte dello stesso ente.
Infine, ritiene il Tribunale di Trani la soluzione favorevole all’ammissibilità di un’azione risarcitoria diretta della parte civile nei confronti dell’ente non sia in contrasto con la già richiamata sentenza della Corte di Giustizia. Affermando che l’art. 9 della Decisione Quadro del Consiglio 15 marzo 2001 2001/220/GAI, che inerisce la posizione della vittima da reato, non osta a una normativa relativa alla responsabilità delle persone giuridiche, come quella italiana, che esclude che tale vittima possa chiedere il risarcimento dei danni direttamente causati dal reato, la Corte si è limitata a prendere atto che, secondo il sistema delineato dal diritto interno, l’ente non è autore di un reato, e come tale è improprio il richiamo all’art. 9, senza tuttavia escludere espressamente che tale vittima possa vantare nei confronti di esso una pretesa risarcitoria.
4. In conclusione, a parere del provvedimento in esame, sulla base di tali plurime argomentazioni, non può escludersi che la parte civile possa costituirsi nei confronti dell’ente.
Non si tratta, peraltro, dell’unico precedente pugliese, essendosi così attestata la Corte d’Assise di Taranto: “la mancanza di una disciplina espressa non può essere qualificata quale silenzio del legislatore, da colmare in via interpretativa con l’istituto dell’analogia, ma in realtà è espressione dell’assenza di specifica della disciplina della costituzione di parte civile nei confronti dell’ente rispetto alla normativa dettata dal codice di procedura, potendosi quindi applicare direttamente l’art. 185 c.p. e art. 74 c.p.p. attraverso la clausola generale e già richiamata dell’art. 34 D.Lgs. 231/2001, tenuto conto che l’espressione “reato” e non quella più ampia di “illecito”, che eviterebbe qualsiasi obiezione di sorta, era l’unica che il legislatore del 1930 avrebbe potuto usare, non potendosi mai lontanamente immaginare a quell’epoca che l’evoluzione economico-sociale avrebbe imposto la necessità di prevedere un sistema di illeciti di derivazione penale nei confronti delle persone giuridiche” (Corte di Assise di Taranto, ordinanza 4 ottobre 2016).
Conclusivamente, può osservarsi che se, da un lato, il provvedimento in esame omette di chiarire in cosa consista il danno civilistico causato da un fatto proprio dell’ente, non essendo facilmente individuabile un danno distinto da quello cagionato dal reato, dall’altro lato la tesi favorevole all’ammissibilità della costituzione di parte civile nei confronti dell’ente pare la più garantista per la tutela dei diritti vantati della parte civile.
Come citare il contributo in una bibliografia:
D. Belloni, La costituzione di parte civile nei confronti dell’ente ai sensi del D.Lgs. 231/2001: un commento all’ordinanza del Tribunale di Trani nel processo sul disastro ferroviario Andria-Corato, in Giurisprudenza Penale, 2019, 7-8