ARTICOLIDALLA CONSULTA

Incostituzionale il divieto triennale di concessione della detenzione domiciliare speciale al condannato nei cui confronti sia stata disposta la revoca di una misura alternativa

Corte Costituzionale, 18 luglio 2019 (ud. 22 maggio 2019), n. 187
Presidente Lattanzi, Redattore Viganò

La Corte Costituzionale, con sentenza n.187 del 18 luglio 2019, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 58-quater, commi 1, 2 e 3, della legge 26 luglio 1975, n. 354 nella parte in cui detti commi, nel loro combinato disposto, prevedono che non possa essere concessa, per la durata di tre anni, la detenzione domiciliare speciale (prevista dall’art. 47-quinquies della stessa legge n. 354 del 1975), e la detenzione domiciliare “ordinaria” (prevista dall’art. 47-ter, comma 1, lettere a) e b), della stessa legge n. 354 del 1975) al condannato nei cui confronti è stata disposta la revoca di una delle misure indicate nel comma 2 dello stesso art. 58-quater.

Come segnalato da questa Rivista, la prima sezione della Corte di Cassazione, con ordinanza 13 luglio 2018 (ud. 10 luglio 2018), n. 32331, aveva sollevato la questione di costituzionalità, con riferimento agli artt. 3, primo comma, 29, primo comma, 30, primo comma, e 31, secondo comma, della Costituzione, ritenendola rilevante e non manifestamente infondata, anche alla luce della sentenza della Consulta n. 239/2014, con la quale è stata dichiarata l’incostituzionalità dell’art. 4-bis, comma 1, O.P. nella parte in cui non escludeva il beneficio della detenzione domiciliare speciale dal divieto di concessione dei benefici penitenziari da esso stabilito.

La Corte Costituzionale ha, quindi, ritenuto che l’interesse del minore non può considerarsi recessivo di fronte alle esigenze di protezione della società dal crimine: “l’assoluta impossibilità per il condannato, madre o padre, di accedere al beneficio della detenzione domiciliare speciale prima che sia decorso un triennio dalla revoca di una precedente misura alternativa sacrifica infatti a priori – e per l’arco temporale di un intero triennio, che come osserva giustamente il rimettente è un periodo di tempo lunghissimo nella vita di un bambino – l’interesse di quest’ultimo a vivere un rapporto quotidiano con almeno uno dei genitori, precludendo al giudice ogni bilanciamento tra tale basilare interesse e le esigenze di tutela della società rispetto alla concreta pericolosità del condannato”.

Redazione Giurisprudenza Penale

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