Una prima applicazione della sentenza Corte Cost n. 32/2020 in tema di immigrazione clandestina
Corte di Appello di Lecce, sezione unica penale, 4 marzo 2020 (ud. 28 febbraio 2020)
Presidente Scardia, Relatore Surdo
In merito alle conseguenze della sentenza n. 32/2020 della Corte Costituzionale sulla applicazione retroattiva della cd. “spazzacorrotti” in tema di esecuzione delle pene detentive, segnaliamo l’ordinanza con cui la Corte di Appello di Lecce ha applicato i medesimi principi affermati dalla Consulta – giungendo a dichiarare temporalmente inefficace l’ordine di esecuzione – nei confronti di un condannato per la fattispecie di cui agli art. 12, commi 1 e 3, D. Lgs. 286/1998 (Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero) che, a seguito delle modifiche apportate dall’art. 3-bis c. 1 D.L. 18 febbraio 2015, n. 7, risulta anch’essa inserita nell’art. 4-bis O.P. (Divieto di concessione dei benefici e accertamento della pericolosità sociale dei condannati per taluni delitti).
A seguito della decisione della Corte Costituzionale – si legge nel provvedimento – «occorre prendere atto che si è determinata una rilevante ed imprescindibile innovazione del diritto vivente con riferimento alla tematica della disciplina dell’esecuzione della pena. Il principio secondo cui le pende detentive devono essere espiate in base alla legge in vigore al momento della loro esecuzione – con il corollario della immediata applicazione delle modifiche normative, anche deteriori, intervenute nel periodo successivo alla commissione del reato – resta valido in linea generale, salvo che per le modifiche normative che comportano una radicale trasformazione della pena con diretta incidenza sulla libertà personale del condannato: in queste ipotesi, in ossequio all’art. 25 c. 2 Cost., restano applicabili le norme vigenti al momento del fatto».
Ciò chiarito – prosegue la Corte – «le sentenze di condanna del richiedente si riferiscono a reati in materia di immigrazione clandestina commessi anteriormente all’entrata in vigore dell’art. 3-bis D.L.7/2015 che ha inserito detti reati tra quelli “ostativi”: tale restrizione, alla luce dell’interpretazione da ultimo dettata dai giudici della Consulta, non può avere effetto retroattivo e applicarsi alle pene inflitte per reati commessi prima dell’entrata in vigore dell’art. 3-bis citato».
Ne consegue – si conclude – che «in ragione dell’entita della pena oggetto del provvedimento di cumulo (anni 3, mesi 9 e giorni 18 di reclusione), inferiore al limite di 4 anni di reclusione, il richiedente ha diritto alla sospensione dell’ordine di esecuzione emesso a suo carico»; ordine di esecuzione che «non può essere revocato o annullato, ma deve essere dichiarato temporalmente inefficace per consentire al condannato di presentare, nel termine di 30 giorni, la richiesta di concessione di una misura alternativa alla detenzione».
Sul punto, abbiamo già pubblicato l’ordinanza con cui il Magistrato di Sorveglianza di Lecce ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell’art. 4-bis comma 1 O.P., così come interpretato nel “diritto vivente”, con riferimento agli artt. 25 comma 2, 117 Cost. e 7 CEDU nella parte in cui esclude che il condannato per il delitto di cui agli art. 12, commi 1 e 3, D. Lgs. 286/1998, commesso e giudicato prima dell’entrata in vigore della Legge 43/2015, non possa fruire del beneficio dei permessi premio in assenza della prova di collaborazione con la giustizia.