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La Consulta dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 69, comma 4, c.p. nella parte in cui vieta la prevalenza dell’attenuante del vizio parziale di mente sulla recidiva reiterata.

Corte costituzionale, Sent. 24 aprile 2020 (Ud. 7 aprile 2020), n. 73
Presidente Cartabia, Relatore Viganò

1. Con la sentenza in epigrafe la Consulta ha accolto la questione di legittimità costituzionale sollevata, in riferimento agli articoli 3, 27, primo e terzo comma, e 32 della Costituzione, dell’art. 69, quarto comma, cod. pen., nella parte in cui prevede il divieto di prevalenza della circostanza attenuante del vizio parziale di mente di cui all’art. 89 cod. pen. sulla circostanza aggravante della recidiva di cui all’art. 99, quarto comma, cod. pen.

Come è noto, e come ricorda anche la Corte, la norma censurata è stata oggetto di numerose modifiche. Per ciò che qui rileva, essa fu da ultimo novellata dalla legge cd. ex Cirielli (L. 5 dicembre 2005, n. 251), che “modificò nuovamente la disposizione, introducendo il divieto di prevalenza di qualsiasi circostanza attenuante, inclusa la diminuente del vizio parziale di mente, nell’ipotesi – tra l’altro – di recidiva reiterata; precludendo così in modo assoluto al giudice di applicare, in tal caso, la relativa diminuzione di pena” (para. 2).

2. Orbene, proprio questa modifica è stata in seguito all’origine di numerose pronunce di parziale illegittimità costituzionale, che hanno volta per volta riconsegnato nelle mani del giudice il potere di bilanciare la pena in caso di recidiva e in presenza di specifiche circostanze attenuanti.

Ricordiamo, in ordine cronologico, le pronunce in merito al divieto di prevalenza sulle attenuanti previste:

– dall’art. 648, comma 2, c.p. (ricettazione di particolare tenuità, sentenza n. 105/2014, in questa Rivista, ivi),
– dall’art. 609 bis, comma 3, c.p. (violenza sessuale di minore gravità, sentenza n. 106/2014, in questa Rivista, ivi),
– dall’art. 73, comma 7, del D.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309 (cd. attenuante della collaborazione, sentenza n. 74/2016, in questa Rivista, ivi),
– dall’art. 219, comma 3, R.D. del 16 marzo 1942, n. 267 (attenuante del danno patrimoniale di speciale tenuità nei reati di bancarotta, sentenza n. 205/2017, in questa Rivista, ivi).

3. Con specifico riguardo all’attenuante del vizio parziale di mente, la sentenza qui allegata rileva anzitutto che si tratta di una circostanza espressiva “della ridotta rimproverabilità soggettiva dell’autore; ridotta rimproverabilità che deriva, qui, dal suo minore grado di discernimento circa il disvalore della propria condotta e dalla sua minore capacità di controllo dei propri impulsi, in ragione delle patologie o disturbi che lo affliggono” (para 4.2).

Sul punto, ricorda la Corte, “il principio di proporzionalità della pena rispetto alla gravità del reato, da tempo affermato da questa Corte sulla base di una lettura congiunta degli artt. 3 e 27, terzo comma, Cost. (…), esige in via generale che la pena sia adeguatamente calibrata non solo al concreto contenuto di offensività del fatto di reato per gli interessi protetti, ma anche al disvalore soggettivo espresso dal fatto medesimo (…). E il quantum di disvalore soggettivo dipende in maniera determinante non solo dal contenuto della volontà criminosa (dolosa o colposa) e dal grado del dolo o della colpa, ma anche dalla eventuale presenza di fattori che hanno influito sul processo motivazionale dell’autore, rendendolo più o meno rimproverabile. 

Tra tali fattori si colloca, in posizione eminente, proprio la presenza di patologie o disturbi significativi della personalità (…), come quelli che la scienza medico-forense stima idonei a diminuire, pur senza escluderla totalmente, la capacità di intendere e di volere dell’autore del reato (…).

Il principio di proporzionalità della pena desumibile dagli artt. 3 e 27, terzo comma, Cost. esige (…), in via generale, che al minor grado di rimproverabilità soggettiva corrisponda una pena inferiore rispetto a quella che sarebbe applicabile a parità di disvalore oggettivo del fatto (…)” (para 4.2). 

4. A fronte di queste considerazioni generali, la Corte ha rilevato che  la disciplina censurata in questa sede vieta in modo assoluto al giudice di ritenere prevalente la circostanza attenuante del vizio parziale di mente in presenza dello specifico indicatore di maggiore colpevolezza (e maggiore pericolosità) del reo rappresentato dalla recidiva reiterata; laddove tale maggiore colpevolezza si fonda, a sua volta, sull’assunto secondo cui normalmente merita un maggiore rimprovero chi non rinuncia alla commissione di nuovi reati, pur essendo già stato destinatario di un ammonimento individualizzato sul proprio dovere di rispettare la legge penale, indirizzatogli con le precedenti condanne. 

Nonostante il carattere facoltativo dell’aggravante, un tale inderogabile divieto di prevalenza non può essere ritenuto compatibile con l’esigenza, di rango costituzionale, di determinazione di una pena proporzionata e calibrata sull’effettiva personalità del reo, esigenza che deve essere considerata espressiva – con le parole della sentenza n. 251 del 2012 – di precisi «equilibri costituzionalmente imposti sulla strutturazione della responsabilità penale». 

Tale divieto, infatti, non consente al giudice di stabilire, nei confronti del semi-infermo di mente, una pena inferiore a quella che dovrebbe essere inflitta per un reato di pari gravità oggettiva, ma commesso da una persona che abbia agito in condizioni di normalità psichica, e pertanto pienamente capace – al momento del fatto – di rispondere all’ammonimento lanciato dall’ordinamento, rinunciando alla commissione del reato” (para 4.3).

5. Sulla base di tali considerazioni, la Corte costituzionale ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 69, quarto comma, del codice penale, nella parte in cui prevede il divieto di prevalenza della circostanza attenuante di cui all’art. 89 cod. pen. sulla circostanza aggravante della recidiva di cui all’art. 99, quarto comma, cod. pen.

Redazione Giurisprudenza Penale

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