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Il differimento dell’esecuzione della pena nei confronti di Pasquale Zagaria: spunti in tema di bilanciamento tra diritto alla salute del detenuto (anche se dotato di “caratura criminale”) e interesse pubblico alla sicurezza sociale.

in Giurisprudenza Penale Web, 2020, 4 – ISSN 2499-846X

Tribunale di Sorveglianza di Sassari, ordinanza, 23 aprile 2020
Presidente Soro, Relatore De Vito

1. Segnaliamo l’ordinanza con cui il Tribunale di Sorveglianza di Sassari ha disposto il differimento dell’esecuzione della pena per grave infermità fisica, nel regime di detenzione domiciliare, nei confronti di Pasquale Zagaria, con conseguente dimissione dello stesso dall’istituto penitenziario.

Si tratta – come i lettori avranno senz’altro notato – di vicenda ripresa dai principali organi stampa (nonché da una parte della politica), alcuni dei quali hanno parlato di «boss della criminalità organizzata che, nelle pieghe dell’emergenza, trovano lo spiraglio per uscire dal carcere» nonostante «l’allarme dato da numerosi magistrati antimafia».

La decisione ha richiamato anche l’attenzione del Ministro della Giustizia Bonafede, il quale ha dichiarato di aver «avviato tutti gli accertamenti interni ed esterni, anche presso l’ispettorato, sulle varie scarcerazioni» e, d’accordo con il Presidente della Commissione Antimafia, Nicola Morra, si è dichiarato «pronto a intervenire a livello normativo» attraverso il coinvolgimento della «Direzione Nazionale Antimafia e Antiterrorismo e delle Direzioni Distrettuali Antimafia e Antiterrorismo in tutte le decisioni relative ad istanze di scarcerazione di condannati per reati di mafia».

2. Il Tribunale prende le mosse riepilogando la storia clinica del detenuto – sottoposto nei mesi scorsi ad un intervento chirurgico – e il contenuto dei certificati medici trasmessi dal responsabile del presidio Tutela della Salute della Casa Circondariale di Sassari, dai quali emerge come lo stesso risulti «affetto da una delle patologia rientrante tra quelle a cui è possibile riconnettere un elevato rischio di complicanze legate all’infezione da Covid-19».

A fronte dell’indicazione, proveniente dal Responsabile del Presidio, secondo cui il detenuto «non poteva effettuare il follow-up post-chirurgico e post-terapia in quanto il Centro clinico di riferimento era stato individuato come Centro Covid-19», il Tribunale di Sorveglianza chiedeva ulteriori approfondimenti al responsabile sanitario del carcere al fine di verificare se vi fossero ulteriori strutture ospedaliere in Sardegna ove poter effettuare il follow-up nonché al Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria al fine di verificare l’eventuale possibilità di trasferimento in altro istituto penitenziario attrezzato per quel trattamento o prossimo a struttura di cura nella quale poter svolgere i richiesti esami diagnostici e le successive cure. A fronte di tali richieste, il responsabile sanitario della Casa Circondariale di Sassari comunicava che il paziente «non poteva effettuare i controlli endoscopici previsti (necessari per poter proseguire la terapia) né presso l’AOU di Sassari né all’interno della CC di Sassari», mentre il  Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria non forniva alcuna risposta.

3. Così riepilogata la storia clinica del detenuto, il Tribunale di Sorveglianza passa in rassegna i presupposti di cui all’art. 147 c. 1 n. 2 c.p., ai sensi del quale «l’esecuzione di una pena può essere differita se una pena restrittiva della libertà personale deve essere eseguita contro chi si trova in condizioni di grave infermità fisica».

Quanto all’interpretazione di tale ipotesi di differimento, il Tribunale ha richiamato quella «consolidata e approfondita giurisprudenza di legittimità» secondo cui, ai fini dell’accoglimento di un’istanza di differimento facoltativo dell’esecuzione della pena detentiva per gravi motivi di salute, «non è necessaria un’incompatibilità assoluta tra la patologia e lo stato di detenzione, ma occorre pur sempre che l’infermità o la malattia siano tali da comportare un serio pericolo di vita, o da non poter assicurare la prestazione di adeguate cure mediche in ambito carcerario, o, ancora, da causare al detenuto sofferenze aggiuntive ed eccessive, in spregio al diritto alla salute e del senso di umanità al quale deve essere improntato il trattamento penitenziario» (si veda, in tal senso, Cass., Sez. I, 17. 5. 2019, n. 27352).

Sulla stessa lunghezza d’onda, si è affermato che «indipendentemente dalla compatibilità o meno dell’infermità con le possibilità di assistenza e cura offerte al condannato dal sistema carcerario, occorre dar conto dell’esigenza di non ledere il fondamentale diritto alla salute e il divieto di trattamenti contrari al senso di umanità, previsti dall’art. 32 e 27 Cost.» e che «per grave infermità fisica legittimante il differimento della esecuzione della pena ai sensi dell’art. 147 cod. pen. è da intendersi quello stato patologico che, indipendentemente dal tipo di malattia che lo ha determinato, non è suscettibile di adeguate cure nell’ambiente carcerario».

Il Tribunale si è uniformato a tali precedenti, ritenuti «conformi a un’interpretazione costituzionalmente e convenzionalmente orientata dell’art. 147 c. 1 n. 2 c.p., volta a mettere in luce il fondamentale principio di uguaglianza di tutti i cittadini davanti alla legge senza distinzione di condizioni personali (art. 3 Cost.), la tutela della salute quale diritto fondamentale dell’individuo (art. 32 Cost.) e, infine, il divieto di trattamenti contrari al senso di umanità (art. 27 Cost. e art. 3 CEDU)».  Si tratta di principi – continua il Tribunale – che «si coagulano in norme ordinarie – art. 1 ord. penit. – e nelle norme di c.d. soft law che governano la penalità penitenziaria, a partire dalle Regole minime sulla detenzione delle Nazioni Unite (c.d. Nelson Mandela Rules), la cui regola 24 stabilisce che “i detenuti dovranno godere degli stessi standard di assistenza sanitaria di cui si avvale la comunità».

Applicando tali principi al caso concreto, il Tribunale ha ricordato come «la preminenza dei diritti alla salute e a non subire trattamenti inumani sull’esecuzione della pretesa punitiva, nei casi in cui quest’ultima sia in conflitto con tali diritti, non sia ovviamente derogabile neppure nei casi di assoggettamento del detenuto al regime differenziato di cui all’art. 41-bis ord. penit.».

4. Alla luce di tali principi, nonché della situazione clinica sopra riepilogata, il Tribunale ha concluso ritenendo sussistenti i presupposti di operatività dell’art. 147 c. 1 n. 2 c.p. – tali da giustificare il differimento della pena per grave infermità fisica – essendosi in presenza di una patologia:

i) grave e qualificata che richiede al detenuto un iter diagnostico e terapeutico che viene definito “indifferibile”;

ii) tale da esigere cure inattuabili nel circuito penitenziario, non essendovi in Sardegna la possibilità di svolgimento della terapia in ambiente carcerario, né in regime di art. 11, dal momento che i reparti sono stati adattati a Centri Covid-19.

Alla luce di ciò – prosegue il Tribunale – «lasciare il detenuto in tali condizioni equivarrebbe esporlo al rischio di progressione di una malattia potenzialmente letale, in totale spregio del diritto alla salute e del diritto a non subire un trattamento contrario al senso di umanità», non essendovi dubbio che «permanere in carcere senza la possibilità di effettuare ulteriore e “indifferibili” accertamenti equivale ad esporre il detenuto a un pericolo reale dal punto di vista oggettivo e a un’incognita di vita o morte del tutto intollerabile e immeritata per ogni essere umano».

Quello che si profilerebbe, in altri termini, è il rischio di esporre il detenuto ad «una sofferenza aggiuntiva costituzionalmente e convenzionalmente non legittima» che, oltre a essere intollerabile dal punto di vista soggettivo e psicologico del detenuto, sarebbe «inaccettabile sotto il profilo dei principi costituzionali e convenzionali sopra enunciati».

5. Da ultimo, il Tribunale si sofferma sul rischio, per il detenuto, di contrarre la patologia Sars-Cov-2 in forme gravi (circostanza che aveva impedito in maniera assoluta ogni ipotesi di ricovero negli ospedali).

Si tratta – dice apertamente il Tribunale – di una verifica necessaria, dovendo la tutela del diritto alla salute del detenuto essere declinata anche in termini di prevenzione, come chiarito dall’art. 1 del decreto legislativo 22 giugno 1999, n. 230, recante disposizioni sul “Riordino della medicina penitenziaria”, secondo cui «i detenuti e gli internati hanno diritto, al pari dei cittadini in stato di libertà, alla erogazione delle prestazioni di prevenzione, diagnosi, cura e riabilitazione».

Benché il detenuto sia sottoposto a regime differenziato e dunque allocato in cella singola – si legge nel provvedimento – egli «ben potrebbe essere esposto a contagio in tutti i casi di contatto con personale della polizia penitenziaria e degli staff civili che ogni giorno entrano ed escono dal carcere (ed in questo senso è del tutto irrilevante, al fine della soluzione del caso di specie, accertare se ad oggi sussistano casi di contagio all’interno dell’Istituto)».

6. Tornando al tema dei presupposti per il differimento dell’esecuzione della pena, il Tribunale ricorda come ciò che contraddistingue il differimento facoltativo (art. 147 c. 1 n. 2 c.p.) dal differimento obbligatorio (art. 146 n. 3 c.p. inerente al detenuto affetto da sindrome di AIDS, grave immunodeficienza o altra malattia di particolare gravità) è la componente di discrezionalità che residua in capo al giudice, il quale è chiamato ad effettuare un bilanciamento tra il diritto alla salute del detenuto e l’interesse pubblico alla sicurezza sociale.

Si tratta di un bilanciamento che, come evidenzia lo stesso Tribunale, deve essere compiuto con particolare attenzione nei casi – come questo – caratterizzati da una particolare “caratura criminale” del detenuto soggetto a regime differenziato.

Sebbene i due argomenti prima ricordati (ossia, la presenza di una patologia grave e l’impossibilità di seguire le terapie in ambiente carcerario) appaiano già risolutivi, il Tribunale conclude soffermandosi sulla altri due aspetti rilevanti ai fini della valutazione discrezionale rimessa al magistrato: quello della pericolosità sociale del detenuto (con riferimento alla quale erano emersi elementi “rassicuranti” dalla Corte di Appello di Napoli) e quello della condotta processuale dello stesso (avendo egli mostrato interesse esclusivamente per soluzioni di cura, anche in altri istituti penitenziari, e non univocamente per soluzioni extramurarie).

Anche alla luce di tali elementi, il tribunale conclude ritenendo l’esigenza di tutela del diritto alla salute prevalente su quelle dell’ordine e della sicurezza pubblica, le quali «potranno comunque ricevere copertura attraverso un adeguato sistema di traduzione del detenuto nel domicilio  e un congruo regime di prescrizioni, che impedisca l’uscita dal domicilio se non per ragioni sanitarie e imponga la frequentazione delle sole persone conviventi».

Come citare il contributo in una bibliografia:
G. Stampanoni Bassi, Il differimento dell’esecuzione della pena nei confronti di Pasquale Zagaria: spunti in tema di bilanciamento tra diritto alla salute del detenuto (anche se dotato di “caratura criminale”) e interesse pubblico alla sicurezza sociale, in Giurisprudenza Penale Web, 2020, 4