Scarcerazioni di detenuti al 41-bis: tra tutela della salute e esigenze di sicurezza. Le opinioni di un procuratore antimafia e di un magistrato di sorveglianza sul decreto-legge 30 aprile 2020, n. 28.
a cura di Guido Stampanoni Bassi
È molto acceso, in questi giorni, il dibattito scaturito da alcune decisioni della magistratura di sorveglianza che, sulla base dell’emergenza sanitaria da Covid-19, hanno comportato la fuoriuscita dal circuito carcerario di detenuti sottoposti al regime del 41-bis.
Tra le diverse decisioni oggetto di attenzione – non ripercorribili in questa sede – ricordiamo quella con cui il Tribunale di Sorveglianza di Sassari ha disposto, nei confronti di Pasquale Zagaria, il differimento dell’esecuzione della pena, per grave infermità fisica, nel regime della detenzione domiciliare.
Innumerevoli – e facilmente reperibili nel web – sono state le reazioni a queste decisioni. Dai giornali (che hanno dedicato al tema titoli quali «boss della criminalità organizzata che, nelle pieghe dell’emergenza, trovano lo spiraglio per uscire dal carcere» e «mafiosi che si sono messi alla finestra in attesa dell’evolversi della pandemia, perché durante l’emergenza tutto può accadere in loro favore») alla televisione (si pensi a note trasmissioni televisive nelle quali ci si è «vergognati come cittadini italiani» delle scarcerazioni, che si «dimenticano i diritti delle vittime di mafia e si ricordano solo quelli di chi è in carcere») sino a una buona parte della politica (che, da più parti, non ha tardato a definire i provvedimenti della magistratura di sorveglianza «inaccettabili e folli» spingendosi sino a concepire improvvidi paragoni tra «italiani reclusi in casa e mafiosi fuori»).
A tali reazioni (spesso scomposte) hanno replicato i giudici di Sorveglianza che, attraverso un comunicato del CONAMS (Coordinamento Nazionale Magistrati di Sorveglianza), hanno «respinto con forza la campagna di sistematica delegittimazione che, in alcuni casi, si è spinta fino al dileggio, proveniente da più parti, anche da autorevoli esponenti della Magistratura e delle Istituzioni, suscitata dalle scarcerazioni per motivi di salute di alcuni condannati, esponenti di pericolose associazioni criminali e per questo sottoposti al regime dell’art. 41 bis dell’Ordinamento penitenziario».
Nella giornata del 29 aprile, in occasione del cd. “question time” alla Camera, il Ministro Bonafede, nel ribadire «l’avvio di accertamenti all’esito dei quali verranno prese tutte le determinazioni opportune» e l’importanza del lavoro svolto dai giudici di sorveglianza, annunciava l’imminente approvazione di norme volte a disciplinare, in maniera più rigorosa, la concessione della detenzione domiciliare.
Il giorno seguente veniva effettivamente pubblicato in Gazzetta Ufficiale il decreto-legge 30 aprile 2020, n. 28 – in vigore dal 1° maggio 2020 – che, all’art. 2, interveniva sulla disciplina relativa alla detenzione domiciliare e alla concessione dei permessi, stabilendo che, nel caso in cui le istanze siano presentate nell’interesse di detenuti per reati di mafia o terrorismo, l’autorità competente, prima di pronunciarsi, dovrà chiedere, tra gli altri, il parere del procuratore della Repubblica presso il tribunale che ha emesso la sentenza e, nel caso di detenuti sottoposti al regime previsto dall’articolo 41-bis O.P., anche quello del procuratore nazionale antimafia e antiterrorismo in ordine all’attualità dei collegamenti con la criminalità organizzata ed alla pericolosità del soggetto.
Si prevedeva poi che, salva la sussistenza di esigenze di motivata eccezionale urgenza, il permesso non potrà essere concesso prima di ventiquattro ore dalla richiesta degli stessi pareri, mentre per l’applicazione della detenzione domiciliare, il magistrato di sorveglianza ed il tribunale di sorveglianza decideranno non prima, rispettivamente, di due giorni e di quindici giorni dalla richiesta dei suddetti pareri, anche in assenza di essi.
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In considerazione delle forti polemiche che le decisioni citate hanno suscitato, Giurisprudenza Penale, al fine di consentire al lettore di orientarsi verso una propria ragionata opinione su un tema così delicato, ha sollecitato la riflessione di due magistrati di riconosciuta esperienza: la dott.ssa Alessandra Dolci (Procuratore della Repubblica Aggiunto presso il Tribunale ordinario di Milano e delegato alla Direzione Distrettuale Antimafia) e il dott. Fabio Gianfilippi (Magistrato di Sorveglianza di Spoleto e componente del Tribunale di Sorveglianza di Perugia) ai quali va il nostro ringraziamento.