CONTRIBUTIDIRITTO PROCESSUALE PENALEIN PRIMO PIANO

Termini processuali sospesi nell’emergenza sanitaria: successione di leggi nel tempo e l’enigma del dies ad quem

in Giurisprudenza Penale Web, 2020, 5 – ISSN 2499-846X

di Adolfo Scalfati e Filippo Lombardi

Senza pretesa di certezza, ecco uno spunto di riflessione – con alcune possibili scelte interpretative – circa un tema problematico sorto con la conversione in legge del D.L. 18/2020 ad opera della L. 27/2020, nella parte in cui quest’ultima fissa al 15 aprile il termine finale della c.d. “fase uno”, periodo nel quale l’art. 83 del decreto-legge convertito prescrive la sospensione dei procedimenti giudiziari, con la correlata paralisi dei termini di custodia cautelare e di prescrizione del reato (in materia, tra gli altri, Gentilucci, La longa manus del Coronavirus sulla giustizia penale e sulle carceri, in questa Rivista, 2020, 3; Gialuz, L’emergenza nell’emergenza: il decreto-legge n. 28 del 2020, tra ennesima proroga delle intercettazioni, norme manifesto e “terzo tempo” parlamentare, in Sist. pen., 2020, 1 maggio 2020; Scalfati, La custodia cautelare durante l’emergenza sanitaria: leggi confuse e illiberali, in Arch. pen., 2020, 2).

Gli operatori del diritto additano un possibile cortocircuito sul termine finale di sospensione ex lege dell’attività giudiziaria.

Con l’art. 83 del D.L. 18/2020 (vigente dal 17/03/2020), dal 9 marzo al 15 aprile 2020 è stato sospeso il decorso dei tempi procedurali e disposto il rinvio delle udienze, con specifiche eccezioni, nell’ottica di un congelamento della macchina giudiziaria al fine di contenere il dilagare del rischio epidemiologico; pertanto,  la fine di quella che, nel gergo giudiziario, è ormai nota come “fase uno” viene fissata al 15 aprile 2020.

Con l’art. 36 comma 1 D.L. 23/2020 (vigente dal 9/4/2020), il legislatore, pochi giorni prima della scadenza della prima fase e, dunque, per l’esigenza di dare continuità alla predetta sospensione, senza provvedere ad una rapida conversione del primo decreto legge, ha stabilito che la cd. “fase uno” si consumi l’11 maggio 2020; è sin d’ora importante rilevare che, a tal fine, è stato letteralmente prescritto che “il termine del 15 aprile 2020 previsto dall’art. 83 commi 1 e 2 del decreto-legge 17 marzo 2020, n. 18 è prorogato all’11 maggio 2020”.

A distanza di poche settimane, è intervenuta la L. 27/2020, vigente dal 30 aprile 2020, la quale, pur nella eterogeneità dei temi trattati, ha convertito il decreto-legge n. 18/2020, lasciando inalterato il testo dell’art. 83 commi 1 e 2 di detto decreto che, pertanto, perdura nel prescrivere il termine di scadenza della cd. “fase uno” al 15 aprile 2020.

Infine, il D.L. 28/2020, vigente dal 1 maggio 2020, ha apportato alcune significative modifiche al più volte ricordato art. 83 D.L. 18/2020 convertito dalla L. 27/2020, tra l’altro, stabilendo il periodo della cd. “fase due” dal 12 maggio al 31 luglio 2020: trattasi della fase in cui i capi degli uffici potranno dettare opportune prescrizioni sia per la gestione degli ambienti giudiziari e degli afflussi in vista del contenimento del rischio di contagio, sia per la celebrazione dei processi. Tale ultimo provvedimento lascia ancora inalterato il richiamo al 15 aprile 2020 contenuto nell’art. 83 commi 1 e 2 dl n. 18/2020 convertito dalla L. 27/2020.

Nell’ordinario scandirsi della formazione della norma primaria, accade che un decreto-legge nel suo evolversi fisiologico sia modificato dalla sua legge di conversione con emendamenti. Quanto al termine finale di sospensione giudiziaria ex lege, fissato al 15 aprile 2020, ciò non è accaduto, manifestandosi un insolito fenomeno normativo: la previsione di un decreto-legge (art. 83 commi 1 e 2 n. 18/2020), concernente la scadenza della cd. “fase uno”, è stata alterata dall’intervento di altro provvedimento d’urgenza (art. 36 comma 1 DL. n. 23/2020) emanato nel periodo intermedio tra l’entrata in vigore del primo decreto (DL n. 18/2020) e la sua legge di conversione (L. n. 27/2020); cosicché, il termine finale della sospensione giudiziaria fissato al 15 aprile 2020, non modificato dalla legge di conversione n. 27/2020, resta nel suo primigenio tenore nonostante l’avvento intermedio di altro decreto-legge lo avesse prorogato all’11 maggio 2020. Da qui la confusione sulla scadenza del termine della cd. “fase uno”.

Gli operatori giudiziari si sono domandati, ad esempio, quale fosse il dies a quo del termine per impugnare; hanno inoltre preso atto che l’entrata in vigore della legge di conversione, nella parte in cui lascia inalterata la data del 15 aprile 2020 quale termine finale della sospensione giudiziaria, rischia di pregiudicare la copertura normativa che ha permesso i rinvii officiosi delle udienze tra il 16 aprile e 11 maggio.

Si tratta di un vero e proprio enigma normativo, che affonda le sue radici nell’inopportunità legislativa in un periodo in cui gli interpreti hanno il bisogno di assumere immediata comprensione delle vicende normative.

L’arduo tentativo di districare la matassa richiede una riflessione sulla efficacia della legge di conversione e sulla ricostruzione dei rapporti tra le norme succedutesi in questo recente arco temporale: il D.L. 18/2020, il D.L. 23/2020 e la L. 27/2020.

Partendo dal dato costituzionale, l’art. 77 Cost. stabilisce che il decreto-legge perde efficacia se non convertito entro sessanta giorni dalla pubblicazione e, dunque, letto a contrario, statuisce implicitamente che l’efficacia del decreto-legge, assunta il giorno stesso della pubblicazione in Gazzetta, si “consolida” ex tunc nel caso in cui la legge lo converta; ci si riferisce in primo luogo al caso della pura conversione senza emendamenti.

Dal canto suo, il disposto di cui all’art. 15 co. 5, L. 400/1988 stabilisce che “Le modifiche eventualmente apportate al decreto-legge in sede di conversione hanno efficacia dal giorno successivo a quello della pubblicazione della legge di conversione”; dunque, una specifica previsione che regola il diverso caso della “modifica” relativa ai contenuti del decreto in sede di sua conversione.

Questi due addentellati normativi, di rango costituzionale e primario, sono stati oggetto di interpretazione, non senza divergenze.

Nel caso in cui la legge di conversione apporti le modifiche al decreto-legge, assumendo così una doppia funzione di tramutamento della veste normativa e di introduzione di nuove regole nell’ordinamento (T.A.R. Campania Napoli, sez. III, 12/01/2015, n. 136), si è statuito che:

a) gli emendamenti “aggiuntivi” operano solo per il futuro, nella piena rispondenza al disposto dell’art. 15 L. 400/1988 (v. Cons. Stato, sez. VI, 17/12/2015, n. 5711);
b) gli emendamenti “soppressivi” equivalgono a parziale mancata conversione, sicché la regola soppressa “decade” ex tunc (cfr. Cass. civ., sez. III, ord. 29/01/2016, n. 9386);
c) gli emendamenti “sostitutivi” operano analogamente a quelli di cui al punto che precede (v. in dottrina Bin-Pitruzzella, Diritto pubblico, Giappichelli, 2006, p. 320 s.).

Se, al contrario, la legge si limita a convertire la norma del decreto, senza incidere in alcun modo sul suo testo, assume, con riguardo alla disposizione interessata, una efficacia ex tunc (conf. Cass. civ., sez. trib., 30/10/2018, n. 30246; Cass. civ. sez. lav., 09/11/1988, n. 6045; Pretura Livorno, 21/10/1985)

La regola posta dalla legge sopravvenuta, pur nella indubbia rilevanza del dato cronologico, costituito dalla entrata in vigore della fonte legislativa, non fa altro che convalidare, seppure all’esito del dibattito parlamentare e della ponderazione comparativa che vi è sottesa, il ragionamento che a monte muoveva la penna dell’Esecutivo nell’ottica della necessità e dell’urgenza; ciò anche in applicazione del principio interpretativo “ubi lex voluit, dixit”.

Ebbene, la conversione senza emendamenti, avente efficacia ab initio, guadagna un sapore latamente confermativo della scelta a monte effettuata dal Governo, dichiarativo del prodotto normativo originario e di sua stabilizzazione nell’ordinamento (Conti, Decreto «anti-scarcerazioni»: celerità processuale e controlli nell’esecuzione della pena, in Dir. Pen. e Proc., 2001, 3, 297 ss.; Celotto-Di Benedetto, sub art. 77 Cost., in Commentario Costituzione, in leggiditalia.it).

Appare evidente che il ragionamento su esposto non pone problematiche quando la legge di conversione senza emendamenti, nella sua portata retroattiva, si saldi esattamente e senza discontinuità al decreto-legge che la precede; in questo caso, la regola posta, a prescindere dalla sua efficacia retroattiva o solo per l’avvenire, trova il proprio incipit sostanziale nel momento dell’entrata in vigore del decreto-legge e si dirama con continuità nel tempo.

Altro è invece immaginare l’irruzione, prima della conversione del decreto-legge, di una norma di altro decreto d’urgenza che incida sul primo.

In questo caso, infatti, assume notevole pregnanza la riflessione circa la retroattività della legge di conversione senza emendamenti e sul suo ruolo all’interno del fenomeno della successione di leggi nel tempo.

Al riguardo, si potrebbe sostenere che la legge di conversione, nella misura in cui assume una efficacia dichiarativa, ha la sola funzione di confermare una norma presente nel decreto-legge ma non contiene un vero e proprio valore positivo autonomo, sicché essa sfugge alla “competizione temporale” tra le norme; su tale premessa, il fenomeno della successione di leggi nel tempo si limiterebbe al confronto tra due decreti-legge in successione cronologica, senza considerare rilevante la legge di conversione benché posteriore. Messe così le cose, l’analisi dovrebbe essere limitata al confronto tra le due fonti governative, il d.l. 18/2020 e il d.l. 23/2020, con il risultato di ritenere che l’art. 83 decreto-legge n. 18/2020, laddove colloca la fine della cd. “fase uno” al 15 aprile 2020, deve intendersi superato dall’intervento successivo dell’art. 36 dl 23/2020 il quale stabilisce il dies ad quem all’11 maggio 2020.

L’orientamento è pregevole sul piano degli effetti, perché sana la ferita temporale inflitta dall’ingarbugliato iter normativo; tuttavia, esso porge il fianco ad una obiezione e, cioè, che il ruolo della legge di conversione si tradurrebbe in una normativa “a spegnimento automatico”: essa interverrebbe al solo fine di conferire pregio al decreto-legge senza avere alcun valore nel sistema delle fonti nonostante si tratti di una disciplina approntata dal massimo organo rappresentativo delle istituzioni democratiche, il Parlamento; inoltre, dopo avere avallato il contenuto di un decreto legge, essa esulerebbe dal fenomeno della successione di leggi nel tempo in spregio al dato ontologico della sua esistenza in vita, della sua entrata in vigore dopo la pubblicazione in Gazzetta Ufficiale, del suo contributo di verifica circa i presupposti della decretazione di urgenza, nonché della mutata veste dei contenuti normativi, da decreto-legge a legge.

Forse, allora, il garbuglio legislativo circa i termini finali della sospensione giudiziaria ex lege può essere risolto in un modo più rispondente ai canoni formali del prodotto legislativo.

Sotto tale profilo, il dato dirimente potrebbe essere il tessuto letterale dell’art. 36 D.L. 23/2020, il quale, a ben vedere, non modifica in senso tecnico l’art. 83 commi 1 e 2  D.L. 18/2020, vale a dire non sostituisce formalmente quel tessuto positivo (che, pertanto, continua – anche dopo l’art. 36 DL 23/2020 – a indicare quale termine finale il 15 aprile 2020) ma letteralmente “proroga” il termine di sospensione giudiziaria all’11 maggio 2020. Nessuna legge successiva è intervenuta a paralizzare detta “proroga”; né su quest’ultima ha formalmente inciso il prodotto legislativo di conversione del dl 18/2020. In questa prospettiva, la disciplina che ha introdotto la “proroga” dei termini al 11 maggio 2020 sembra immune dalla successione tra fonti normative nel tempo: benché anteriore rispetto alla legge di conversione del dl n. 18/2020, che nulla ha innovato circa il termine finale del 15 aprile 2020, la “proroga” disciplinata dall’art. 36 dl n. 23/2020 è tuttora in vita in quanto non esplicitamente paralizzata da alcun atto legislativo. Sulla base di tali premesse, il termine del 15 aprile 2020 resta prolungato all’11 maggio 2020 tramite la persistente vigenza dell’art. 36 dl 23/2020, collocato in una posizione formalmente “neutra” rispetto agli altri due provvedimenti (dl n. 18/2020 e la sua legge di conversione). In definitiva, l’art. 36 d.l. 23/2020, nell’ottica sopra enunciata, non possiede una efficacia emendante propriamente detta dell’art. 83 commi 1 e 2 dl 18/20202, bensì una funzione meramente “traslativa” di un termine unitariamente prescritto da tale ultima previsione e dalla sua legge di conversione.

La tesi ora espressa avrebbe il merito, per ricondurre a ragionevolezza l’impianto dei termini nella cd. fase uno, di non depotenziare il ruolo formale della legge di conversione la cui dignità giuridica merita, al contrario, di essere ribadita.

Come citare il contributo in una bibliografia:
A. Scalfati – F. Lombardi, Termini processuali sospesi nell’emergenza sanitaria: successione di leggi nel tempo e l’enigma del dies ad quem, in Giurisprudenza Penale Web, 2020, 5