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La Cassazione sulla (im)possibilità di estinguere il debito tributario mediante compensazione.

Cass. pen., Sez. III, Sentenza 10 giugno 2020 (Ud. 29 gennaio 2020), n. 17806
Presidente Lapalorcia, Relatore Andreazza, Ricorrente Tamburro

Con la sentenza in commento, la Terza Sezione torna su un istituto tra i più dibattuti nell’ambito del diritto penale tributario, ossia la causa di non punibilità prevista dall’art. 13, comma 1 d.lgs. 74/2000 per i reati di cui agli artt. 10-bis, 10-ter e 10-quater, comma 1 laddove, prima della dichiarazione di apertura del dibattimento di primo grado, il contribuente abbia provveduto ad estinguere il debito tributario mediante integrale pagamento.

La sentenza, chiamata a decidere su un caso di omesso versamento di IVA ex art. 10-ter, ha affrontato vari profili di doglianza sollevati dal ricorrente, ma è – in particolare – sulle modalità estintive del debito che essa ha pronunciato un principio di diritto innovativo e meritevole di una riflessione critica.

Prima affermazione

Innanzitutto, con riferimento alla lamentata carenza dell’elemento soggettivo del reato in capo al contribuente, che si era trovato nella assoluta impossibilità di versare l’IVA dovuta a causa del mancato incasso dell’imposta sulle fatture emesse (che non erano mai state pagate dai clienti), la Corte ha replicato ritenendo la doglianza infondata, poiché “l’obbligo di indicazione nella dichiarazione e di versamento della relativa imposta non deriva, nel segno di un costante orientamento di questa Corte, dall’effettiva riscossione del corrispettivo, ma dalla emissione, quand’anche antecedente a tale riscossione, della fattura (da ultimo Sez. 3, n. 41070 del 27/06/2019, Felisio, Rv. 277939; Sez. 3, n. 6220 del 23/01/2018, Ventura, Rv. 272069)”. 

Seconda affermazione

Anche con riguardo all’ulteriore profilo di carenza dell’elemento soggettivo invocato dal ricorrente, e connesso al perdurante stato di crisi che aveva colpito l’azienda, la Corte ha ritenuto l’infondatezza del motivo di ricorso, ricordando che, in simili circostanze, l’interessato che voglia invocare una simile scusante è vincolato a “puntuali oneri di allegazione che devono investire non solo l’aspetto della non imputabilità al contribuente della improvvisa crisi economica, ma anche quello della necessità di adottare le misure idonee a fronteggiarla, anche attingendo al proprio personale patrimonio (si vedano, tra le tante, Sez.3, n. 20266 del 08/04/2014, P.G. in proc. Zanchi, Rv. 259190 Sez. 3, n. 5467/14 del 05/12/2013, Mercutello, Rv. 258055)”: in altri termini, la Corte ha ribadito il noto e severo orientamento che ricollega la possibilità di escludere l’elemento soggettivo dei reati di omesso versamento per crisi di liquidità ad una sorta di probatio diabolica.

Terza affermazione

Infine, e per venire alla questione di maggior interesse, la Corte si è soffermata sulla nozione di “integrale pagamento” rilevante ai sensi dell’art. 13 d.lgs. 74/2000 ai fini di escludere la punibilità dei reati tributari di omesso versamento. Nel caso di specie, il ricorrente aveva invocato che si tenesse conto, a fini estintivi, di un sopravvenuto credito d’imposta suscettibile di compensazione con tale debito. La Corte ha peraltro negato la correttezza di tale impostazione, poiché – premessa comunque l’impossibilità pratica di accogliere tale tesi, per il fatto che il credito era maturato dopo la scadenza per l’effettuazione del pagamento estintivo del debito – la Corte afferma di non dover neppure entrare in questa questione di diritto intertemporale, ritenendo di poter pervenire prima ancora, già in linea di diritto, ad escludere l’accoglibilità della tesi proposta dal ricorrente, in quanto “il dettato dell’art. 13 cit., che fa espresso riferimento al “pagamento”, in esso includendo anche ipotesi specifiche derivanti da istituti di natura conciliativa, non consente di includervi l’ipotesi della compensazione legale che, come noto, rientra, per espressa qualificazione del codice civile, tra i “modi di estinzione delle obbligazioni diversi dall’adempimento”, ovvero, in altri termini, diversi proprio dal pagamento”. Medesima ragione per la quale un’eventuale compensazione non si sarebbe potuta ritenere, prima ancora, anche ove effettuata prima della scadenza del termine di consumazione del reato di omesso versamento (27 dicembre), utile ad evitare il superamento della soglia di punibilità e quindi la consumazione del reato.

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Una riflessione critica

Alla radice di questa lettura, che nega qualunque rilevanza della compensazione tributaria a fini premiali penali, sta la considerazione sopra riportata secondo cui pagamento e compensazione sarebbero, sul piano civilistico, due diversi modo di estinzione delle obbligazioni, dei quali solo il primo – e non invece la seconda – assumerebbe valore di atto di “adempimento”. 

Quella proposta dalla Corte sembra, tuttavia, una lettura eccessivamente formalistica e non condivisibile. 

La stessa etichetta di “modi di estinzione delle obbligazioni” dimostra come, in realtà, su un piano sostanziale, la compensazione sia idonea a conseguire proprio il risultato prefissato dall’art. 13 d.lgs. 74/2000, ossia l’estinzione del debito tributario: che ciò avvenga mediante pagamento o mediante compensazione è un dato che dovrebbe risultare del tutto indifferente al giudice penale, posto che tale indifferenza sussiste per le pretese erariali. 

Infatti, la compensazione è un metodo di estinzione delle obbligazioni riconosciuto dall’ordinamento tributario e disciplinato dall’art. 17 d.lgs. 241/1997: non ammettere una sua parallela valenza in sede penale significa non approntare nessuna maggior tutela alle citate pretese erariali – posto che il contribuente andrà comunque a spendere quel credito in compensazione con un altro debito tributario – e dare luogo, invece, all’irrogazione di una sanzione penale per un fatto di reato che andrebbe correttamente ritenuto non punibile, essendo state soddisfatte le condizioni di cui all’art. 13 d.lgs. 74/2000.