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La Cassazione sulla esimente di cui all’art. 384 c.p. in caso di favoreggiamento commesso dal lavoratore in seguito ad infortunio sul lavoro.

Cass. pen., Sez. VI, Sent. 23 luglio 2020 (ud. 7 luglio 2020), n. 22253
Presidente Bricchetti, Relatore Paternò Raddusa

Con la sentenza in epigrafe la Corte di cassazione si è pronunciata in tema di favoreggiamento commesso dal lavoratore in un caso di infortunio sul lavoro: il ricorrente, mentendo alla PG quanto alle modalità di un infortunio accaduto ad un suo collega e avvenuto in sua presenza, aveva reso dichiarazioni potenzialmente utili a sviare le indagini che si svolgevano, per quel sinistro, nei confronti del responsabile della sicurezza per l’ipotesi di reato di cui all’art. 590 cod. pen.

Fra i motivi di ricorso la difesa aveva lamentato difetto di motivazione e violazione di legge con riguardo alla ritenuta non configurabilità dell’esimente di cui all’art. 384 c.p.: nel concludere per la non applicabilità di tale esimente la Corte territoriale, da un lato, si sarebbe avvalsa di una argomentazione tautologica nel ritenere non dimostrate le concrete prospettive di licenziamento che avevano giustificato le dichiarazioni dell’imputato e, dall’altro lato, non avrebbe considerato che la situazione di pericolo che poteva aver giustificato le dichiarazioni del ricorrente trovava ragione nella necessità di perseguire un proprio diritto di difesa, evitando indagini a proprio carico nell’ambito dell’infortunio occorso al collega.

La Corte ha dichiarato il motivo inammissibile, sulla base delle seguenti argomentazioni.

In primo luogo, “il pericolo addotto secondo la prospettiva difensiva offerta in appello (i.e., il pericolo di venire licenziato se avesse detto la verità), non risponde ad una concreta dimostrazione in punto di fatto ma ad una mera suggestione logica, peraltro immediatamente smentita dalla conferma delle dichiarazioni mendaci che hanno concretato il favoreggiamento contestato, ribadite dal ricorrente nel corso del giudizio, allorquando era già stato licenziato da tempo e pur potendo avvalersi della via d’uscita garantita dall’ad 376 cod. pen. (i.e. la non punibilità in caso di ritrattazione prima della chiusura del dibattimento, ndr)”.

In secondo luogo nonvale riferirsi ad una situazione di necessità correlata all’esigenza di sottrarsi a diretti profili di responsabilità, per aver in qualche modo contribuito al sinistro (…): una siffatta prospettiva, seppur smentita apertamente dal motivare della sentenza di primo grado, non risulta neppure sollecitata in occasione dell’appello e non può essere dunque addotta in sede di legittimità, legandosi ad elementi in fatto diversi da quelli devoluti alla Corte territoriale”.

Redazione Giurisprudenza Penale

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