Trattamento inumano o degradante nella detenzione: calcolo dello spazio minimo pro capite e fattori compensativi della strong presumption di violazione dell’art. 3 CEDU. La parola alle Sezioni Unite
in Giurisprudenza Penale Web, 2020, 7-8 – ISSN 2499-846X
in Giurisprudenza Penale Trimestrale, 2020, 3 – ISSN 2724-0304
Cassazione Penale, Sez. IV, Ordinanza, 11 maggio 2020 (ud. 21 febbraio 2020), n. 14260
Presidente Mazzei, Relatore Cairo
Il contributo delinea il contrasto giurisprudenziale – evidenziato in una recente ordinanza di remissione alle Sezioni Unite – registratosi su talune questioni inerenti la violazione dell’art. 3 CEDU nel trattamento penitenziario: da un lato, l’individuazione del corretto criterio di computo dello spazio minimo disponibile pro capite in cella collettiva; dall’altro, l’ambito di operatività dei cd. criteri compensativi enucleati dalla Corte EDU.
L’art. 35-ter ord. penit. costituisce un rimedio predisposto in reazione alla problematica strutturale del sovraffollamento penitenziario, nella forma della sottoposizione del detenuto a trattamento inumano nell’esecuzione penale per violazione dello standard spaziale minimo individuale pari a tre mq. Tale norma contiene un rinvio mobile all’interpretazione dell’art. 3 CEDU da parte della Corte alsaziana, rendendosi pertanto centrale la preliminare ricostruzione dell’elaborazione europea, alla luce della pronuncia Muršić. c. Croazia, quale giurisprudenza consolidata – avente dunque efficacia interna vincolante –, che rappresenta la sintesi dell’evoluzione sovranazionale del rapporto tra la garanzia convenzionale e il sovraffollamento carcerario.
L’analisi è volta a valutare la conformità all’indirizzo europeo dei contrapposti orientamenti della giurisprudenza di legittimità, a partire dalla distinzione inerente la nozione di spazio disponibile per ciascun detenuto: talvolta intesa alla stregua di “superficie materialmente calpestabile”, in altre pronunce concepita quale “superficie che assicuri il normale movimento all’interno della cella”.
Per quanto concerne la questione del criterio di calcolo da utilizzare, le suddette definizioni implicano una differente considerazione degli arredi fissi, che possono acquisire una connotazione negativa, se preclusivi della libertà di movimento. La decisione europea pone l’accento sulla necessaria valutazione complessiva del periodo detentivo sofferto dal ricorrente, potendosi rinvenire – oltre al rilevante elemento della carenza spaziale – anche altri fattori indicativi di una detenzione gravemente inadeguata, a fondamento della violazione. Nonostante solo l’indirizzo più restrittivo condivida l’esito concreto della sentenza europea, ci si sofferma sulla riconducibilità anche dell’altro orientamento al diritto vivente sovranazionale, attraverso una lettura generalizzata del requisito del naturale movimento nella cella, applicato dalla Grande Camera.
Le diverse definizioni del concetto di spazio disponibile si riflettono altresì sull’ambito applicativo dei fattori compensativi: la concezione restrittiva, attribuendo importanza preminente al mancato rispetto della soglia spaziale minima, li reputa rilevanti unicamente nelle ipotesi di superficie superiore ai tre mq. Di contro, l’indirizzo contrapposto ne afferma un’applicabilità più estesa, anche in ipotesi di spazi inferiori alla soglia minima. Si evidenzia come i Giudici europei, in caso di inosservanza dello spazio personale minimo, ne circoscrivono sensibilmente l’operatività, escludendosi le situazioni di sovraffollamento grave e prolungato.
In attesa dell’autorevole pronunciamento, dall’analisi emerge l’esigenza di un approccio sostanzialistico alla problematica, difficilmente sintetizzabile nell’esclusione di determinate tipologie astratte di arredi dal computo superficiario, dovendosi valorizzare le eterogenee situazioni concrete per accertare l’effettiva vivibilità dello spazio individuale. Si auspica infine un intervento normativo, nell’ottica di certezza del diritto, in una materia direttamente riguardante i diritti e le libertà fondamentali delle persone detenute.
Come citare il contributo in una bibliografia:
L. Frabboni, Trattamento inumano o degradante nella detenzione: calcolo dello spazio minimo pro capite e fattori compensativi della strong presumption di violazione dell’art. 3 CEDU. La parola alle Sezioni Unite, in Giurisprudenza Penale Web, 2020, 7-8Il contributo è stato altresì pubblicato nella rivista trimestrale:
L. Frabboni, Trattamento inumano o degradante nella detenzione: calcolo dello spazio minimo pro capite e fattori compensativi della strong presumption di violazione dell’art. 3 CEDU. La parola alle Sezioni Unite, in Giurisprudenza Penale Trimestrale, 2020, 3, p. 51