La conversione in legge del d.l. n. 28 del 2020 con legge n. 70 del 2020 non elide i dubbi e le perplessità sulle scelte del legislatore
in Giurisprudenza Penale Web, 2020, 7-8 – ISSN 2499-846X
La lettura della l. 25 giugno 2020 n.70 di conversione del d.l. 30 aprile 2020 n. 28 evidenzia subito come il Parlamento abbia utilizzato il d.d.l. di conversione come una sorta di passepartout per interventi anche in materie non presenti nel d.l. n. 28 del 2020 e altresì come abbia fatto ricorso a una tecnica legislativa che si potrebbe definire un po’ disinvolta. Alla eterogeneità delle previsioni già accolte nel d.l. n. 28 del 2020 accomunate dall’essere considerate «misure urgenti in materia di ordinamento penitenziario» si aggiunge, infatti, la scelta di introdurre disposizioni ex novo in tema di utilizzo di aeromobili a pilotaggio remoto, di autorizzazioni al colloquio telefonico nonché ancora in tema di accesso dei garanti alle strutture detentive o ancora in tema di cambio di generalità dei collaboratori di giustizia, che non sono certo riconducibili all’emergenza da Covid 19.
Ci si limiterà in questa sede ad un commento alle previsioni in materia penitenziaria in cui peraltro sono più consistenti le “addenda” rispetto al testo del d.l. n. 28 del 2020, omettendo quelle in materia cautelare, rimaste invariate in sede di conversione: al riguardo pare opportuno subito precisare che il d.l. 10 maggio 2020 n. 29 è stato abrogato, ma il suo contenuto è stato trasfuso nel provvedimento in esame, a conferma della disinvoltura del modus procedendi. Suscita perplessità al riguardo la precisazione, contenuta nell’art. 1 comma 2, secondo cui «restano validi gli atti e i provvedimenti adottati e sono fatti salvi gli effetti prodottisi e i rapporti giuridici sorti sulla base» del d.l. n. 29 del 2020, giacché sembra ignorare che tali provvedimenti ben potrebbero essere stati oggetto di impugnazioni o potrebbero esserlo.
Prendendo le mosse da quanto già previsto nel d.l. n. 28 del 2020, si ricorda che il governo era intervenuto a modificare la disciplina del procedimento applicativo ̶ delineato nell’art. 30-bis ord. penit. ̶ dei permessi c.d. di necessità, cioè di quei permessi concessi nell’imminente pericolo di vita di un familiare o di un convivente o per eventi di particolare gravità (art. 30 ord. penit.). Si tratta cioè di permessi con una «evidente ispirazione umanitaria» proprio perché volti a consentire l’espressione dei rapporti familiari, soprattutto in situazioni connotate da particolare gravità.
Nell’iter concessivo descritto nell’art. 30-bis cit., che già prevedeva l’acquisizione di informazioni sulla sussistenza dei motivi addotti a mezzo anche delle autorità di pubblica sicurezza del luogo in cui l’istante deve recarsi, era stata introdotta, con il d.l. n. 28 del 2020 in relazione a richieste presentate da detenuti per reati di cui all’art. 51 comma 3-bis e 3-quater c.p.p. (nonché da detenuti sottoposti al regime differenziato in peius ex art.41-bis ord.penit.) l’acquisizione necessaria del parere del Procuratore della Repubblica presso il tribunale del capoluogo del distretto ove ha sede il tribunale che ha emesso la sentenza: in sede di conversione si è precisato che deve trattarsi del Procuratore della Repubblica presso il tribunale che ha pronunciato la sentenza di condanna o presso il tribunale ove ha sede il giudice che procede. E ciò in ragione della considerazione che possono beneficiare di tali permessi tutte le persone recluse, qualunque sia il titolo detentivo (cioè custodia cautelare, sentenza di condanna definitiva, o misura di sicurezza). Al riguardo si noti che non è stata modificata l’espressione “detenuti” usata nel d.l. n. 28 del 2020, che è riduttiva dato che il permesso di necessità può essere utilizzato anche dagli internati. Peraltro parrebbe poco coerente con la ratio della modifica ritenere che il parere in questione debba essere richiesto per gli imputati e condannati e non per gli internati.
La nuova previsione, all’apparenza di scarso rilievo, è tuttavia destinata a creare un appesantimento dell’iter concessivo nell’ipotesi in cui il richiedente rivesta una duplice posizione, quella di detenuto imputato e detenuto condannato in via definitiva, dato che la richiesta del parere dovrà essere indirizzata sia al Procuratore della Repubblica presso il tribunale che ha pronunciato la sentenza di condanna sia a quello della sede del giudice procedente. Appesantimento ancora più evidente ove si ricordi poi che, nell’ipotesi in esame, a esprimersi sulla concessione saranno sia il magistrato di sorveglianza sia, in relazione al titolo cautelare, il giudice procedente.
Il parere riguarda l’attualità di collegamenti e la pericolosità del soggetto e deve essere trasmesso al giudice richiedente entro 24 ore, così che «appare assai difficile che possa essere preceduto da una approfondita istruttoria». È forse superfluo, ma pare comunque opportuno ricordare che il giudice, qualora si orienti per un rigetto dell’istanza, non sarà tenuto a richiedere il parere.
Un ulteriore intervento ̶ sempre in tema di permessi di necessità ̶ riguarda il comma 9 dell’art. 30-bis ord. penit. relativo alla previsione della comunicazione trimestrale dei permessi concessi e del loro esito al procuratore generale della Corte d’appello, il quale, nell’ipotesi in cui i provvedimenti riguardino soggetti detenuti per delitti previsti dall’art. 51 comma 3-bis e 3-quater c.p.p. o persone sottoposte al regime differenziato ex art. 41-bis comma 2 ord. penit. deve darne comunicazione «rispettivamente al procuratore della Repubblica presso il tribunale del capoluogo del distretto ove ha sede il tribunale che ha emesso la sentenza e al procuratore nazionale antimafia e antiterrorismo». La modifica operata in sede di conversione è simmetrica rispetto a quella apportata al comma 1 dello stesso art. 30-bis cit.
Come citare il contributo in una bibliografia:
L. Cesaris, La conversione in legge del d.l. n. 28 del 2020 con legge n. 70 del 2020 non elide i dubbi e le perplessità sulle scelte del legislatore, in Giurisprudenza Penale Web, 2020, 7-8