Il condannato Giuda. Sul palcoscenico un’ipotesi di revisione. (Recensione a ‘Giuda’, di Raffaella Bonsignori)
[Ph. Luigi Cerati]
Il 13 e il 14 agosto, al teatro Gassman di Borgio Verezzi, nell’ambito del 54° Festival Teatrale verezzino, è andato in scena, in prima nazionale, Giuda, un testo di Raffaella Bonsignori. Protagonista Maximilian Nisi, che ne ha curato anche la messa in scena, musiche di Stefano De Meo, video art di Marino Lagorio.
Prossimo appuntamento a Roma, in autunno.
Raffaella Bonsignori è giornalista e scrittrice, ma è soprattutto avvocato penalista e assistente universitaria di Procedura Penale all’Università di Roma La Sapienza. Per me, oltre che una collega, è una cara amica: siamo entrambe allieve del prof. Franco Cordero.
In una recente intervista ha rivelato che nel suo Giuda c’è molta parte della sua professione. Non stento a crederlo.
Dal testo emerge un uomo concentrato sulla carnalità della vita, sui dubbi, sui propri interessi, incapace di rinunciare al peccato, ma anche un uomo che sa amare, coraggioso e assertivo, pieno, dunque, di quelle contraddizioni che spesso si riconoscono in molti protagonisti di vicende giudiziarie. Chi frequenta le aule di giustizia sa bene che non esiste un confine netto tra bene e male, tra cattiveria e bontà.
Giuda è prigioniero nel suo aldilà e racconta la propria versione dei fatti, ma si rende perfettamente conto che le sue parole non hanno altro riscontro che se stesse e, disperato, esclama: “Gli uomini vogliono sempre la prova di tutto. Maledette prove …. Tutti sotto processo. Nella vita e nella morte”.
Le prove, già … gli strumenti utili a raggiungere la verità processuale, una delle tante verità, direbbe il Giuda di Raffaella, incredulo sia di fronte alla verità di Dio, identificata con Cristo (Ego sum Via, Veritas et Vita), sia di fronte alla verità degli uomini.
Giuda è un personaggio che incarna il “colpevole perfetto”, di fronte al quale tutti gli altri si sentono innocenti, anche quando non lo sono; il colpevole da rinchiudere, gettando via la chiave; il colpevole che, oggi, troviamo in molti uomini condannati dal sentire popolare ancor prima che da un giudice. Nelle sue parole ritroviamo il senso dell’autodifesa disperata, che impone domande più che fatti accertati.
Dalla premessa al suo libro, in vendita su Amazon, apprendiamo che l’Autrice ha approfondito la storia e la personalità dell’apostolo traditore sia su testi teologici, sia su saggi storici e opere di narrativa; ha letto con attenzione i Vangeli canonici e quelli aprocrifi, evidenziando alcune incongruenze e facendone tesoro. Tutto ciò emerge con chiarezza dalla lettura del copione: la fantasia letteraria affianca mirabilmente un’attenta esegesi dei testi sacri. Da buon avvocato ha usato i fatti noti per giungere a quelli ignoti, che minano la credibilità della condanna; una condanna che ancora oggi sembra un pesante, indistruttibile mantello posato sulle spalle di Giuda.
Se non avesse tradito, come avrebbero fatto le Sacre Scritture a compiersi? Il destino di morte di Gesù avrebbe trovato egualmente la via per realizzarsi?
Raffaella Bonsignori si chiede se Giuda e Gesù non siano stati alleati, in quel gioco di morte, e lo fa anche sulla scorta di quanto emerge dal vangelo di Giuda, ritrovato nei pressi del Nilo negli anni Settanta; uno dei vangeli rifiutati ab origine dalla Chiesa.
La storia del tradimento è nota: Giuda porta le guardie da Gesù su ordine dei sacerdoti e consente che lo arrestino. Il processo è rapido e culmina con la crocifissione, con la morte di Gesù. Nell’ottica cristiana, Giuda pecca due volte: quando tradisce e quando si dà la morte impiccandosi. Sotto il profilo strettamente penale, invece, come possiamo inquadrare la sua condotta? Possiamo dire che è in concorso con l’omicidio di Gesù, avendolo consegnato nelle mani dei suoi carnefici? Oppure, dal momento che Gesù doveva morire e sapeva di morire per mondare l’umanità dal peccato e adempiere le Sacre Scritture, è possibile pensare all’istigazione al suicidio, da parte di Giuda, ossia di colui che facilitò il piano di morte?
Raffaella, pur senza addentrarsi in dinamiche processuali, sfiora i più forti argomenti difensivi. Giuda amava Gesù e lo amava al punto da seguirlo, anche se non sempre concorde con i suoi insegnamenti (“Non ho mai detto di essere d’accordo con lui su ogni cosa. Anche se, alla fine, lo seguivo sempre. La foglia non può dire al vento dove deve portarla. Ero rapito dal suo spirito ….”); ed è un Giuda che sa amare profondamente, quello che emerge da questo testo, basti solo pensare alla poetica descrizione dei sentimenti di un uomo per la donna che gli cattura il cuore (“…Ti manca l’aria se solo smetti di pronunciare il suo nome. Il pensiero di lei prende vita, t’invade. Più cerchi di allontanarla dall’anima, più la riempie. Il tuo mondo si fa improvvisamente piccolo, perché lei lo abita in ogni angolo. Dà colore ai tuoi sensi, sostanza ai tuoi sogni. Ti accorgi di non essere niente al di fuori del suo respiro. Persino quello che mangi contiene il suo sorriso e il vino ti racconta storie allegre e storie tristi che parlano di lei. Tutte le altre donne non esistono se non per la loro imperdonabile colpa di non essere lei. La donna che ami è un demone senza peccato, disperso in una felicità che confina con il mondo delle lacrime”), o alla dichiarazione d’amore per la Maddalena (“…amavo persino i suoi demoni. E non ho mai smesso, neppure adesso che sono morto. Mai. È una fiamma che non può essere soffocata nemmeno da questo grigio niente che mi circonda, nemmeno dal gelo del mio inferno”). Giuda, che appartiene alla Resistenza ebraica, allo zelotismo, e vuole combattere contro la tirannia dei Romani, tradisce nella speranza che Gesù si salvi con un miracolo e convinca, così, anche i più restii degli ebrei a combattere al suo fianco (“Un ultimo miracolo, il più grande … Ma ci pensi? Lui che si tira via i chiodi dalle mani e dai piedi, che scende dalla croce sano come un pesce, che trasforma le spine in oro, indossando finalmente una corona degna del re dei giudei. A quel punto tutti avrebbero creduto, tutti avrebbero finalmente combattuto. E Roma sarebbe finita in ginocchio”). Giuda non ha idea che vogliano veramente uccidere Gesù e, quando se ne rende conto, quando si rende conto che Gesù non avrebbe compiuto il miracolo di salvarsi, tenta di cambiare le cose, restituendo il denaro, cancellando il patto scellerato (“Ecco i vostri soldi insanguinati. Che Dio vi maledica! Non potete farlo morire, non potete …”).
Anche sul suicidio del traditore Raffaella accende la fiamma del dubbio. Giuda muore sopraffatto dal rimorso, dal dolore. Ma si è davvero suicidato? Se lo chiede lui stesso, in questo testo. Nel vangelo di Matteo si parla di impiccagione; negli Atti degli Apostoli, Pietro afferma che Giuda finisce in terra con il ventre squartato e le viscere sparse ovunque. Una dinamica non poco dubbia. Da un albero si può cadere, ma è improbabile che ne consegua un simile sventramento. E se Giuda fosse stato ucciso per aver tradito?
Le nebbie storiche in cui è avvolta la vita e la morte dell’apostolo traditore sono plasmate da Raffaella Bonsignori come una magnifica creta dalla quale emerge una verità, la verità di Giuda, o, meglio, una delle tante verità di cui è composta la vita, come accennavo sopra, e chiunque svolga la professione di avvocato penalista sa bene che è nel ginepraio delle verità che si intravede il confine tra lecito e illecito.