La Corte EDU delinea il concetto di ‘sufficiently close connection in substance’ nell’ambito del ne bis in idem convenzionale.
Corte EDU, Sez. IV, Sentenza 21 luglio 2020
Ricorso n. 34503/10, Velkov c. Bulgaria
Con la sentenza in epigrafe la Corte europea dei diritti dell’uomo ha chiarito la portata del requisito – individuato nel 2016 con la nota sentenza A. e B. c. Norvegia – di “sufficently close connection in substance and time”, richiesto ai procedimenti sanzionatori in materia penale per il rispetto dell’art. 4, Prot. 7 della Convenzione, che – come è noto – sancisce il divieto di bis in idem.
La Corte si è concentrata, in particolare, sulla “connection in substance”, ricordando anzitutto gli elementi rilevanti per determinare se esiste una connessione sufficientemente stretta dal punto di vista materiale: (i.) se i diversi procedimenti perseguono finalità complementari e quindi riguardano, non solo in astratto ma anche in concreto, diversi aspetti dell’atto pregiudizievole per la collettività; (ii.) se la natura duplice del procedimento in questione è una conseguenza prevedibile, sia in diritto che di fatto, del medesimo comportamento illecito; (iii.) se il procedimento in questione sia stato condotto in modo da evitare, per quanto possibile, la ripetizione della raccolta e della valutazione delle prove, in particolare attraverso un’adeguata interazione tra le varie autorità competenti, da cui risulti che l’accertamento dei fatti effettuato in un procedimento si è ripetuto nell’altro; (iv.) se la sanzione comminata nel procedimento conclusosi per primo è stata presa in considerazione nel procedimento conclusosi per ultimo, in modo da non gravare l’interessato di una sanzione nel complesso troppo gravosa (para 71).
Di tali elementi la Corte ha dovuto tenere conto nella vicenda oggetto del ricorso, in cui – per fatti di violenza a cose e persone in occasione di una manifestazione sportiva – il ricorrente era stato sottoposto a due procedimenti da parte delle autorità bulgare: l’uno amministrativo, conclusosi con le sanzioni della detenzione per 15 giorni e del divieto di partecipare ad eventi sportivi per due anni, e l’altro penale, all’esito del quale era stata comminata la sanzione di 2 anni di reclusione.
I Giudici di Strasburgo hanno rilevato la violazione dell’art. 4, Prot. 7 della Convenzione, ritenendo che alcuni dei suddetti criteri non fossero stati rispettati (para 78-80).
Infatti, ha notato la Corte, sia il procedimento amministrativo che quello penale perseguivano essenzialmente lo stesso scopo, ossia punire il turbamento dell’ordine pubblico causato dal ricorrente.
In secondo luogo, l’accertamento dei fatti effettuato nel procedimento amministrativo non è stato preso in considerazione nel procedimento penale: le dichiarazioni degli stessi testimoni oculari dei fatti sono state assunte e analizzate separatamente in ciascuno dei procedimenti.
In terzo luogo, la Corte ha rilevato che la sanzione della privazione della libertà personale inflitta al richiedente al termine del procedimento amministrativo non è stata presa in considerazione nell’ambito del procedimento penale, né nel determinare la durata della pena detentiva né nel dedurre da essa i giorni già trascorsi dal richiedente in carcere o agli arresti domiciliari.