La disciplina del whistleblowing nei settori pubblico e privato
in Giurisprudenza Penale Web, 2020, 9 – ISSN 2499-846X
La segnalazione di irregolarità, da parte di intranei ad un’organizzazione, è un formidabile strumento di prevenzione di illeciti commessi all’interno della stessa; ogni irregolarità può compromettere l’attuazione del principio di buon andamento amministravo (art. 97 Cost.); mentre, nel settore privato “l’utilità sociale” (art. 41 comma 2 Cost.) opera come controlimite rispetto alla libertà di iniziativa economica. Le summenzionate disposizioni di rango costituzionale escludono, a monte, ogni ipotetico contrasto tra il dovere di fedeltà verso l’ente di appartenenza -che dovrebbe comportare il divieto di non comunicare all’esterno quanto appreso in funzione del proprio ruolo- e l’interesse pubblico alla rilevazione dell’illecito.
È necessario, affinché tale strumento risulti efficace, che il segnalante, in buona fede e che abbia ragionevoli motivi di sospetto, goda sia di una tutela avverso atti ritorsivi nei sui confronti (cd. misure anti-relation), sia dell’esclusione della punibilità di condotte di “rivelazione del segreto”.
In Europa continentale la disciplina si sviluppa su impulso sovranazionale, e inizialmente per finalità di contrasto alla corruzione[1].
In Italia l’art. 1 comma 51 l. 190/2012 (cd. Legge Severino) è il primo intervento[2] specificamente dedicato alla disciplina della segnalazione, ma circoscritto al solo settore pubblico. Si tratta dell’inserimento dell’art. 54-bis dall’interno del d.lgs. 165/2001, cd. T.U. pubblico impego. Il summenzionato art. 54-bis si occupa delle misure anti-relation[3], dell’individuazione dei soggetti destinatari della segnalazione[4], nonché della disciplina sulla riservatezza dell’identità del segnalante, la quale non può essere rivelata, salvo consenso dello stesso o nel caso in cui la rivelazione sia “assolutamente indispensabile” per la difesa del segnalato. La denuncia è sottratta dal dritto di accesso agli atti[5].
Nonostante la contiguità con la disciplina codicistica dell’obbligo di segnalazione per i pubblici agenti[6] è possibile individuare alcune peculiarità nel settore del pubblico impiego: facoltatività della segnalazione, destinatari e oggetto della stessa.
Nelle aree di intersezione prevale la disciplina codicistica (vista la sanzione in caso di inerzia), ma il segnalante beneficia comunque delle tutele perché la denuncia all’Autorità Giudiziaria rappresenta uno dei canali di segnalazione di cui all’art. 54-bis.
Inoltre, oggetto della segnalazione nella disciplina codicistica è una condotta di reato perseguibile d’ufficio, mentre nell’art. 54-bis rileva in generale ogni condotta illecita
Dal punto di vista dell’elemento soggettivo in entrambe le discipline opera il contro-limite implicito della buona fede. L’obbligo di denuncia viene meno solo rispetto al dolo intenzionale del reato di calunnia, mentre nella disciplina dell’art. 54-bis è sufficiente la colpa grave affinché non operi la disciplina di tutela[7].
Nel 2014 (l. 90, art. 31, comma 1) si è esteso il novero dei soggetti destinatari della segnalazione anche all’ANAC.
Da ultimo, la l. 179/2017 (“Disposizioni per la tutela di autori di segnalazioni di reati o irregolarità […]”), composta di soli tre articoli, ma interamente dedicata all’istituto, ha razionalizzato la disciplina, sia nel settore pubblico che privato.
Il primo articolo definisce ampliandolo il novero dei soggetti tutelati[8], rende assoluto il divieto di rivelazione dell’identità, salvo consenso, non solo nel procedimento disciplinare[9], ma anche penale[10] e contabile[11]; si attribuiscono all’ANAC poteri sanzionatori e di emanare linee guida[12].
Circa le misure di tutela dedicate al segnalante si prevede opportunamente un’inversione dell’onere probatorio in virtù del quale spetta al datore di lavoro-P.A. dimostrare la non discriminatorietà di un’eventuale misura disciplinare contro il segnalante[13]; è riconosciuto il diritto alla reintegra in caso di licenziamento[14].
Di converso, la tutela è esclusa se, almeno con sentenza di primo grado, sia accertata la responsabilità del segnalante per reati commessi tramite la denuncia, o sia accertata la responsabilità aquiliana per dolo o colpa grave[15].
Il secondo articolo inserisce misure di tutela anche nel settore privato. Si tratta dell’interpolazione del comma 2-bis all’interno dell’art. 6 del d.lgs. 231/2001. La disposizione rappresenta un ulteriore tassello normativo volto a definire, per grandi linee, le caratteristiche che il modello organizzativo e gestionale deve possedere per ambire alla non punibilità dell’ente (nel caso di un reato commesso da un soggetto apicale).
Nello specifico il modello dovrà prevedere specifici canali di segnalazione, di cui almeno uno informatico, che permettano di mantenere la riservatezza dell’identità del segnalante; inoltre è necessario che il modello sancisca il divieto di atti ritorsivi e preveda l’irrogazione di sanzioni disciplinari, sia verso chi adotta l’atto ritorsivo, sia verso colui che effettua segnalazioni infondate con dolo o colpa grave[16].
Circa l’oggetto si deve trattare di “segnalazioni circostanziate di condotte illecite” (cioè o suscettibili di integrare uno dei “reati-presupposto 231” e “fondate su elementi di fatto precisi e concordanti”, o, alternativamente, condotte in violazioni del modello) delle quali il soggetto inserito all’interno dell’organigramma è venuto a conoscenza “in ragione delle funzioni svolte”. È apprezzabile la specificazione, mancante nel settore pubblico, secondo la quale il segnalante debba fornire elementi utili per il riscontro.
L’intervento nel suo complesso è apprezzabile, ma risulta inopportuna la collocazione all’interno del d.lgs. 231/2001 data la settorialità della disciplina (sia dal punto di vista dei soggetti convolti[17], sia per la tassatività del catalogo dei reati-presupposto[18]) e la facoltatività dell’adozione dei modelli.
Inoltre la norma non individua quale dovrebbe essere il soggetto destinatario della segnalazione; non è inopportuno ritenere che tale ruolo sia affidato all’Organismo di Vigilanza, essendo la disciplina affine a quella del precedente comma, lettera d).
Il terzo articolo prevede -apparentemente- una “causa di giustificazione” di rivelazione del segreto professionale in senso lato[19]. Sembrerebbe essere stata predisposta una “scriminante” inquadrabile nella categoria dell’esercizio di un diritto (art. 51 c.p.). A ben vedere, in realtà, la buona fede (“perseguimento dell’interesse all’integrità delle amministrazioni, pubbliche e private, nonché alla prevenzione e alla repressione delle malversazioni”) non fa venire meno l’antigiuridicità del fatto, ma incide, a monte, sulla mancanza di tipicità, purché la notizia sia procurata con modalità lecite.
Non è ancora stata implementata la direttiva 2019/1937 che dovrebbe condurre ad eliminare le divergenze tra pubblico e privato, ad ampliare la definizione dei soggetti segnalanti, permettere l’utilizzo di un canale -extrema ratio- di “divulgazione pubblica”, e un allineamento della normativa con la disciplina in materia di trattamento dei dati personali[20].
[1] Ci si riferisce alla Convenzione del Consiglio d’Europa di Strasburgo del 1999 sulla corruzione e alla Convenzione ONU contro la corruzione di Merida del 2003.
[2] Discipline settoriali con finalità parzialmente assimilabile erano presenti già nel nostro ordinamento. Si tratta dell’obbligo di denuncia dei pubblici agenti rispetto a reati procedibili d’ufficio di cui sono venuti a conoscenza “in ragione del proprio rapporto di lavoro” (artt. 361 e 362 c.p. e art 331 c.p.p.); mentre in ambito privato il tub (art. 52-bis) e tuf (art. 4-undecies) prevedono l‘obbligo di predisposizione di uno strumento di segnalazione interna per le violazioni della normativa settoriale capace di garantire la riservatezza dell’identità del segnalante, nonché una tutela contro misure ritorsive. Sempre nel settore privato rilevano le disposizioni di cui all’art. 6 comma 2 d) d.lgs. 231/2001 (secondo la quale è necessario che il modello organizzativo e gestionale contenga anche la previsione di un obbligo di informazione verso l’Organismo di Vigilanza, la cui violazione sia seguita da una sanzione disciplinare ai sensi della successiva lettera e) della medesima disposizione) nonché l’art. 20, comma 2 e) TU sicurezza sul lavoro.
[3] Divieto di sanzioni, demansionamento, licenziamento, trasferimento, e altre misure organizzative aventi effetti negativi, diretti o indiretti, sulle condizioni di lavoro. Il tenere della disposizione risulta parzialmente modificato tra la versione originaria della l. 190/2012 e 179/2017.
Recenti interventi di carattere settoriale riguardano la disciplina antiriciclaggio (art. 48 d.lgs.231/2007, modificato con il d.lgs. 90/2017) e il codice delle assicurazioni private (art. 10-quater e ss. d.lgs. 209/2005, modificato con d.lgs. 68/2018).
[4] Si trattava inizialmente solo dell’Autorità Giudiziaria, Corte dei Conti e superiore gerarchico; nel 2014 si è inserita l’ANAC, nel 2017 il Responsabile della prevenzione della corruzione e della trasparenza (art. 1 comma 7 l. 190/2012); è venuto meno il riferimento al superiore gerarchico.
[5] Attualmente art. 54-bis, comma 5.
[6] Artt. 361 e 362 c.p., art. 331 c.p.p.
[7] Più nel dettaglio, il pubblico agente risponde del reato di calunnia se incolpa consapevolmente un soggetto innocente, e quindi affinché venga meno l’obbligo di denuncia è necessario il dolo intenzionale; mentre nell’art. 54-bis non è ammessa la tutela, ai sensi del comma 9, in caso di accertamento giudiziale, o di un reato, tra cui diffamazione ascrivibile anche a titolo di dolo eventuale, o addirittura, di una responsabilità aquiliana anche a titolo di colpa grave.
[8] Vedi art. 54-bis, comma 2: dipendenti pubblici in servizio presso Stato, Province, Comuni, Comunità montane; personale equiparato in regime di diritto pubblico; dipendenti di enti pubblici economici; dipendenti di enti privati in controllo pubblico; collaboratori di imprese che forniscono beni o servizi o realizzano opere in favore della PA. Non sono inclusi i dipendenti di enti privati partecipati ma non controllati dallo Stato, soggetti che potrebbero rivestire la qualifica pubblicistica ai fini penalistici e avere un obbligo di denuncia pur non godendo delle tutele previste dal 54-bis. L’esclusione risulta ulteriormente non coerente data l’inclusione persino ai collaboratori di imprese esterne che collaborano con la Pubblica amministrazione.
[9] Vedi art. 54-bis, comma 3.
[10] In questo caso però “nei modi e nei limiti previsti dall’art. 329 del codice di procedura penale” ai sensi del comma 3, prima parte, art. 54-bis l.165/2001. Il rinvio alla disposizione del codice di rito risulta essere superfluo, perché si sarebbe comunque applicata tale disposizione, non essendo il processo penale, eventualmente instaurato contro il segnalato, caratterizzato da alcuna peculiarità che potrebbe portare ad escludere l’applicazione della summenzionata regola procedurale. Si tratta evidentemente della volontà del legislatore di dimostrare di avere preso in considerazione, in un eventuale bilanciamento di interessi, anche il diritto di difesa dell’indagato-segnalato. Null’altro.
[11] In questo procedimento non può essere rivelata “fino alla chiusura della fase istruttoria” (vedi art. 54-bis, comma 3).
[12] Vedi art. 54-bis, commi 5 e 6.
[13] Vedi art. 54-bis, comma 7.
[14] Vedi art. 54-bis, comma 8.
[15] Vedi art. 54-bis, comma 9. L’intervento modificativo è risolutivo perché la disciplina ante-2017 si caratterizzava per un’eccessiva estensione dell’esclusione delle tutele, anche in caso di “colpa lieve”; inoltre si trattava di una disposizione di incerta applicazione perché non ricollegata ad un accertamento giudiziale. La disposizione post-2017 apparentemente è in contrasto con il principio di “presunzione di non colpevolezza”; a ben vedere, in realtà, alla sentenza di primo grado non segue l’irrogazione di una sanzione penale, ma solo l’esclusione di un regime derogatorio, quale appunto quello di cui all’art. 54-bis. La disposizione è criticabile dal punto di vista del principio di certezza giuridica: non si comprende quale sia lo scenario prospettabile nel caso in cui la sentenza di primo grado sia “smentita” nei gradi successivi. È sicuramente preferibile una lettura che consenta l’applicazione -pur tardiva- delle tutele (a tale lettura, però, segue un irrimediabile incertezza circa lo svolgimento del giudizio del lavoro in seguito all’impugnativa dell’irrogazione del provvedimento disciplinare).
[16] La previsione di un sistema disciplinare che imponga l’irrogazione di sanzioni in caso di segnalazioni non in buona fede è di fondamentale importanza al fine di non creare disparità di trattamento tra dipendenti pubblici e privati. L’apparente disparità di trattamento (causata dal mancato rinvio dell’art. 6 comma 2-bis al comma 9 dell’art. 54-bis) può essere colmata per mezzo di una interpretazione sistematica della disciplina del d.lgs. 231: il medesimo art. 6, ma al comma 2, lettera e), impone che il modello organizzativo sia dotato anche di un “sistema disciplinare idoneo a sanzionare il mancato rispetto elle misure indicate dal modello”, tra le quali, quindi, anche il divieto di effettuare con dolo o colpa grave segnalazioni che si rivelano infondate.
[17] Non essendo la disciplina applicabile ad ogni entità del settore privato (vedi art. 1 d.lgs. 231/2001)
[18] Dal combinato disposto con il comma 2 lettera d) del medesimo art. 6 d.lgs. 231/2001 emerge una lacuna. Questa disposizione prevede infatti un obbligo di segnalazione in capo ai soggetti inseriti all’interno dell’organigramma verso l’Organismo di vigilanza, ma solo attinente a violazioni del modello stesso. Rimane esclusa, dunque, da entrambe le disposizioni, la possibilità di segnalare reati non inseriti nl novero dei “reati presupposto 231”. Il quid pluris del comma 2-bis sta nella possibilità che la segnalazione abbia ad oggetto anche condotte che possono integrare uno dei “reati presupposto 231”, ma che non sono stati considerati nell’attività di risk management, e quindi non considerati ai fini delle cautele organizzative interne che concorrono a comporre il modello organizzativo e gestionale.
[19] Nello specifico: segreto d’ufficio (art. 326 c.p.), professionale (art. 622 c.p.) scientifici e industriali (623 c.p.) e dovere di lealtà (art. 2015 c.c.).
[20] Specialmente, regolamento 679/2016.
Come citare il contributo in una bibliografia:
V. Drosi, La disciplina del whistleblowing nei settori pubblico e privato, in Giurisprudenza Penale Web, 2020, 9