Questione di legittimità costituzione della legge di recepimento del MAE in relazione alla tutela della salute del consegnando: una vittoria per la human rights defense (anche) nella cooperazione penale europea.
in Giurisprudenza Penale Web, 2020, 9 – ISSN 2499-846X
Corte di appello di Milano, Sez. V penale, ord. 17 settembre 2020
Presidente Ichino, Estensore Curami
L’ordinanza della Corte di appello di Milano nel procedimento MAE n. 129/2019 sospende il giudizio e, evidenziata la rilevanza e non manifesta infondatezza della questione posta della difesa, solleva la questione di legittimità costituzionale degli artt. 18 e 18-bis della l. 69/2005, in riferimento agli artt. 2, 3, 32 e 110 (recte, 111) della Costituzione in quanto non la legge italiana, né la decisione quadro 2002/584/GAI prevedono che il giudice dello stato dell’esecuzione del MAE possa – o debba – rifiutare di consegnare il soggetto destinatario di un M.A.E. all’autorità estera, nel caso in cui tale consegna determinerebbe un pregiudizio per la sua salute.
L’indubbia rilevanza della questione avrebbe peraltro riflessi potenzialmente su tutto il territorio dell’Unione, qualora la Corte costituzionale ritenesse di approfondire la questione se la stessa decisione quadro 2002/584/GAI sub art 3 e 4 sia compatibile con il diritto dell’Unione Europea e in particolare con l’art. 35 della Carta dei diritti fondamentali dell’UE nella misura in cui non prevedono la possibilità, o il dovere, per il giudice nazionale di non eseguire il M.A.E. nel caso in cui tale esecuzione potrebbe arrecare pregiudizio per la salute del soggetto destinatario del mandato .
Il procedimento de qua – iniziato nell’ottobre 2019 – solleva peraltro anche ulteriori stimoli di riflessione nella cooperazione internazionale europea, qui brevemente accennati.
In primis, la misura custodiale nel MAE processuale è stata richiesta dalla Croazia in aggravamento per non aver rispettato la misura originaria dell’obbligo di firma violata dall’indagato: il semplice aggravamento della misura può davvero formare oggetto di un mandato di arresto europeo? Cioè: aver violato le prescrizioni di una misura cautelare molto più blanda (che lo stato emittente riteneva evidentemente adeguata) rientra nel catalogo dei reati previsti per la consegna: se la qualifica che il giudice è tenuto a verificare il fatto non è previsto come reato dalla legge italiana, non si da luogo alla consegna del cittadino italiano (artt. 8, co. 2 e 3, l. n. 69/2005).
In secondo luogo, l’autorità giudiziaria del paese di emissione avrebbe potuto attivare il meccanismo di cui alla Decisione Quadro 2009/829/GAI del Consiglio del 23 ottobre 2009 sull’applicazione tra gli Stati membri dell’Unione europea del principio del reciproco riconoscimento alle decisioni sulle misure alternative alla detenzione cautelare, che prevede la possibilità che l’Autorità Giudiziaria di uno Stato membro dell’Unione, che abbia adottato una misura cautelare non detentiva nei confronti di un soggetto sottoposto a procedimento penale per l’esecuzione nello Stato di residenza (art. 9 comma 1 Decisione Quadro), strumento di cooperazione europea purtroppo poco usato.
Il considerandum 3 della richiamata D.Q. 829/2009 stabilisce infatti che “(…) la presente decisione quadro si prefigge l’obiettivo della sorveglianza dei movimenti di un imputato alla luce del preminente obiettivo della protezione dei cittadini in generale nonché del rischio rappresentato per essi dal regime esistente, che prevede due sole alternative: detenzione cautelare o circolazione non sottoposta a controllo. Le misure rinforzeranno pertanto il diritto dei cittadini rispettosi della legge di vivere in sicurezza”.
I successivi consideranda invece evidenziano che “(4) Le misure previste nella presente decisione quadro dovrebbero mirare inoltre a rafforzare il diritto alla libertà e la presunzione di innocenza nell’Unione europea nel suo complesso e assicurare la cooperazione tra gli Stati membri allorché una persona sia soggetta a obblighi o a misure cautelari durante un procedimento giudiziario. Di conseguenza, l’obiettivo della presente decisione quadro è la promozione, ove opportuno, del ricorso a misure non detentive come alternativa alla detenzione cautelare, anche quando, a norma della legislazione dello Stato membro interessato, la detenzione cautelare non potrebbe essere disposta ab initio“; “(5) Per quanto concerne la detenzione di persone sottoposte a procedimento penale, esiste il rischio di una disparità di trattamento tra coloro che risiedono e coloro che non risiedono nello Stato del processo: la persona non residente nello Stato del processo corre il rischio di essere posta in custodia cautelare in attesa di processo, laddove un residente non lo sarebbe”.
Tale normativa comunitaria ha trovato trasposizione nel diritto interno con il d. lgs. 36/2016, il cui art. 10 comma 1 prevede che la Corte di Appello riconosce la decisione sulle misure cautelari quando ricorrono congiuntamente le seguenti condizioni:
a) la persona interessata ha la residenza legale e abituale nel territorio dello Stato o ha manifestato la volontà di ivi recarsi per porre la sua dimora in vista dell’esecuzione delle misure cautelari;
b) il fatto per cui è stata emessa la decisione sulle misure cautelari è previsto come reato anche dalla legge nazionale, indipendentemente dagli elementi costitutivi o dalla denominazione del reato;
c) la durata e la natura degli obblighi e prescrizioni impartiti sono compatibili con la legislazione italiana.
Nel caso di specie, tutte e tre le condizioni parevano sussistenti.
Il consegnando, indagato “vulnerabile” per le condizioni psichiatriche complesse, per le quali è stata riconosciuta anche una invalidità del 75% per “sindrome schizoaffettiva con pregressa dipendenza da sostanze” nel 2019 dalla Commissione medica dell’INPS – è infatti cittadino italiano e residente in Italia; la condotta di detenzione di sostanze stupefacenti ai fini di spaccio è prevista come reato anche dalla legislazione italiana e la misura cautelare croata dell’obbligo di dimora con obbligo di firma giornaliero città è senz’altro compatibile con la legislazione italiana, in quanto misure cautelari dal contenuto identico sono contemplate dagli artt. 282 e 283 c.p.p..
Pareva quindi opportuno sottoporre al giudice italiano la necessità – vista la valenza come vero e proprio principio fondamentale del nostro ordinamento del carcere come extrema ratio – di richiedere, nell’ottica di una leale cooperazione fra stati membri, alla autorità croata di ritirare il MAE per emettere una misura cautelare non custodiale da riconoscere in Italia (cd. informazioni supplementari). La sollecitazione di adottare una misura cautelare non detentiva da eseguire in Italia, oltre ad essere maggiormente proporzionata e non in contrasto con i principi fondamentali del nostro ordinamento, eviterebbe i gravi rischi per la salute mentale a cui il consegnando, affetto da grave patologia psichiatrica, sarebbe esposto in caso di carcerazione in Croazia (anche in relazione all’art. 4 Carta e art 3 CEDU).
Inoltre, è opportuno evidenziare che l’art. 18-bis comma 1 lettera c) della l. 69/2005, in attuazione dell’art. 4 comma 6 della Decisione Quadro 2002/584/GAI in materia di MAE, prevede il rifiuto di esecuzione del MAE se esso è stato emesso ai fini della esecuzione di una pena o di una misura di sicurezza privative della libertà personale, qualora la persona ricercata sia cittadino italiano o cittadino di altro Stato membro dell’Unione europea, che legittimamente ed effettivamente abbia residenza o dimora nel territorio italiano, sempre che la Corte di Appello disponga che tale pena o misura di sicurezza sia eseguita in Italia conformemente al suo diritto interno.
Dunque, che senso ha obbligare il soggetto richiesto a soffrire una carcerazione cautelare in Croazia – esponendolo di conseguenza a forti rischi di un grave pregiudizio per la sua salute mentale – quando, se il processo nello Stato croato si concludesse con una condanna a una pena privativa della libertà personale, egli potrebbe scontare tale pena in Italia?
Le istanze e riflessione difensive trovavano il comune denominatore nella cd. human rights defense, ciò nella difesa basata sulla forza espansiva dei diritti fondamentali, vero forziere dei pirati della difesa.
Come citare il contributo in una bibliografia:
N. Canestrini, Questione di legittimità costituzione della legge di recepimento del MAE in relazione alla tutela della salute del consegnando: una vittoria per la human rights defense (anche) nella cooperazione penale europea, in Giurisprudenza Penale Web, 2020, 9