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Mandato di Arresto Europeo e principio di specialità: l’interpretazione della Corte di Giustizia.

in Giurisprudenza Penale Web, 2020, 9 – ISSN 2499-846X

Corte di Giustizia dell’Unione Europea, Quarta Sezione, Sentenza 24 settembre 2020
Causa C-195/20 PPU

Il 24 settembre scorso la Quarta Sezione della Corte di Giustizia dell’Unione Europea (CGUE) ha depositato la sentenza sul rinvio pregiudiziale effettuato dal Bundesgerichtshof (Corte federale di giustizia, Germania), in ossequio alla procedura prevista dall’art. 267 TFUE.

Il motivo del rinvio è stata l’interpretazione dell’art. 27 paragrafo 2 della decisione quadro 2002/584/GAI, che disciplina il mandato di arresto europeo (MAE), riguardante la cd. regola della specialità. Secondo tale regola, una persona non può essere sottoposta a un procedimento penale, condannata o altrimenti privata della libertà per eventuali reati anteriori alla consegna diversi da quello per cui è stata consegnata. Tuttavia, il paragrafo 3, lettera g), del medesimo articolo prevede che la regola della specialità non si applichi qualora l’autorità giudiziaria dell’esecuzione che ha consegnato la persona dia il proprio assenso.

1. I fatti oggetto del rinvio pregiudiziale.

Nel caso di specie, un uomo veniva sottoposto in Germania a tre procedimenti penali distinti.

In primo luogo, il 6 ottobre 2011, veniva condannato da un tribunale circoscrizionale a una pena detentiva di un anno e nove mesi per traffico di stupefacenti. L’esecuzione però veniva condizionalmente sospesa.

In secondo luogo, nel 2016, veniva avviato nei suoi confronti un procedimento penale per abuso sessuale su minore commesso in Portogallo, dove all’epoca si trovava. In relazione al tale procedimento, la procura di Hannover emetteva un primo MAE e l’autorità portoghese ne autorizzava la consegna. Il soggetto veniva condannato ad una pena detentiva di un anno e tre mesi e, durante l’esecuzione, la Germania revocava la sospensione condizionale della pena relativa al primo procedimento.

In terzo luogo, egli subiva un procedimento per i reati di violenza sessuale aggravata nonché di estorsione, commessi nel 2005 sempre in Portogallo.

A seguito della revoca della sospensione condizionale, nel 2018 la procura di Flensburg (Germania), chiedeva alla Corte d’Appello portoghese, in quanto autorità giudiziaria dell’esecuzione del mandato d’arresto europeo relativo al primo dei procedimenti penali sopra elencati, di rinunciare all’applicazione della regola della specialità e di permettere l’esecuzione della pena inflitta dal tribunale tedesco nel 2011. In mancanza di risposta dall’autorità portoghese, la Germania rimetteva l’imputato in libertà e lo sottoponeva a sorveglianza socio-giudiziaria.

Meno di un mese più tardi, l’uomo si recava prima nei Paesi Bassi e poi in Italia. La procura di Flensburg emetteva un secondo MAE nei suoi confronti affinché fosse data esecuzione alla pena del 2011. Sulla base di tale provvedimento, le autorità italiane eseguivano l’arresto dell’imputato e acconsentivano alla sua consegna alla Germania.

In seguito a specifica richiesta da parte dalla Germania, l’Italia acconsentiva altresì a che l’uomo fosse sottoposto a procedimento penale per i fatti di violenza sessuale e di estorsione del 2005. Nell’ambito di tale procedimento, in data 5 novembre 2018 l’autorità tedesca emetteva un mandato di arresto nazionale e, in data 16 dicembre 2019, condannava l’imputato alla pena di sette anni di reclusione.

L’imputato proponeva quindi ricorso per Revision avanti alla Corte federale tedesca contestando la validità del procedimento per i fatti del 2005 in quanto l’autorità dell’esecuzione portoghese non aveva mai dato il proprio assenso a tale azione penale, come previsto dall’articolo 27 della decisione quadro 2002/584/GAI. Alla luce di tale contestazione, il giudice di rinvio si domandava se il mandato d’arresto del 5 novembre 2018 potesse essere mantenuto o dovesse essere annullato; decideva pertanto di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte questione pregiudiziale sul punto

2. La decisione della Corte.

Nell’esaminare il caso, la Corte ha richiamato i valori comuni su cui si fonda l’Unione che, come precisato all’art. 2 TUE, obbliga gli Stati membri al rispetto del suo diritto. Ha ricordato inoltre che la decisione quadro sul MAE è diretta, “mediante l’instaurazione di un nuovo sistema semplificato e più efficace di consegna delle persone condannate o sospettate di aver violato la legge penale, a facilitare e ad accelerare la cooperazione giudiziaria allo scopo di contribuire a realizzare l’obiettivo assegnato all’Unione di diventare uno spazio di libertà, di sicurezza e di giustizia fondandosi sull’elevato livello di fiducia che deve esistere tra gli Stati membri.” (sentenza, para. 32). In particolare, gli Stati sono tenuti al rispetto del principio del reciproco riconoscimento ex art. 1 para 2 della decisione, che li obbliga a dare esecuzione ai MAE, ad eccezione dei casi tassativamente elencati dal testo normativo.

Pertanto, le disposizioni della decisione quadro, afferma la Corte, non possono essere interpretate in modo tale da vanificarne gli scopi. A tale riguardo, la Corte ha osservato che dall’interpretazione letterale dell’articolo 27, paragrafo 2, della decisione quadro risulta che la regola della specialità che esso sancisce è strettamente connessa alla consegna risultante dall’esecuzione di uno specifico MAE, in quanto il testo di tale disposizione fa riferimento alla «consegna» al singolare. Di conseguenza, esigere che un assenso, ai sensi dell’articolo 27, paragrafo 3, lettera g), della decisione quadro 2002/584, sia fornito tanto dall’autorità giudiziaria dell’esecuzione di un primo MAE quanto dall’autorità giudiziaria dell’esecuzione di un secondo MAE nuocerebbe all’efficacia della procedura di consegna, vanificando il già menzionato obiettivo della decisione quadro.

Nel caso di specie la sola consegna rilevante per valutare il rispetto della regola della specialità è quella effettuata sulla base del secondo MAE. Pertanto, l’assenso richiesto dall’articolo 27, paragrafo 3, lettera g), della decisione quadro 2002/584 doveva essere dato unicamente dall’autorità giudiziaria dell’esecuzione dello Stato membro che ha consegnato la persona sottoposta a procedimento penale sulla base di detto MAE e quindi dall’Italia. Di conseguenza, dal momento che, l’imputato aveva lasciato volontariamente il territorio tedesco dopo aver scontato in tale Stato membro la pena cui era stato condannato per i fatti oggetto del primo MAE, non era più legittimato a invocare la regola della specialità relativa a tale primo MAE.

In conclusione, con la sua sentenza del 24 settembre 2020, la Corte ha dichiarato che l’articolo 27, paragrafi 2 e 3, della decisione quadro 2002/584 dev’essere interpretato nel senso che “la regola della specialità di cui al paragrafo 2 di tale articolo non osta a una misura restrittiva della libertà adottata nei confronti di una persona oggetto di un primo MAE a causa di fatti diversi da quelli posti a fondamento della sua consegna in esecuzione di tale mandato e anteriori a tali fatti, qualora tale persona abbia lasciato volontariamente il territorio dello Stato membro di emissione del primo MAE e sia stata consegnata al medesimo, in esecuzione di un secondo MAE emesso successivamente a detta partenza ai fini dell’esecuzione di una pena privativa della libertà, a condizione che, in relazione al secondo MAE, l’autorità giudiziaria dell’esecuzione di quest’ultimo abbia dato il proprio assenso all’estensione dell’azione penale ai fatti che hanno dato luogo alla suddetta misura restrittiva della libertà”.

Come citare il contributo in una bibliografia:
S. Carrer, Mandato di Arresto Europeo e principio di specialità: l’interpretazione della Corte di Giustizia, in Giurisprudenza Penale Web, 2020, 9