ARTICOLIDIRITTO PENALE

La Cassazione sui criteri di imputazione oggettiva della responsabilità amministrativa dell’ente discendente dalla commissione di reati colposi.

[a cura di Lorenzo Roccatagliata]

Cass. pen., Sez. IV, Sent. 26 ottobre 2020 (ud. 22 settembre 2020), n. 29584
Presidente Dovere, Relatore Cappello

Con la sentenza in epigrafe, la Sezione quarta della Corte di cassazione ha ribadito alcuni principi in materia di responsabilità amministrativa da reato dell’ente ex d. lgs. n. 231/2001, con specifico riferimento ai criteri di imputazione oggettiva stabiliti dall’art. 5 d. lgs. cit. per gli illeciti discendenti da reati colposi (nella fattispecie, segnatamente, i reati di lesioni e omicidio colposi commessi sul luogo di lavoro, di cui all’art. 25 septies d. lgs. cit.).

Il profilo innovativo della pronuncia, come si vedrà, riguarda la ritenuta irrilevanza – ai fini della determinazione della responsabilità dell’ente – della sistematicità delle violazioni delle norme antinfortunistiche, ben potendo venire in rilievo episodi singoli o occasionali.

Anzitutto, la Corte ha inquadrato la natura della responsabilità dell’ente: “trattasi di un modello di responsabilità che, coniugando i tratti dell’ordinamento penale e di quello amministrativo, ha finito con il configurare un tertium genus di responsabilità, compatibile con i principi costituzionali di responsabilità per fatto proprio e di colpevolezza (…)”.

In seconda battuta, con riguardo ai criteri d’imputazione oggettiva della responsabilità dell’ente – l’interesse o il vantaggio di cui all’art. 5 – “essi sono alternativi e concorrenti tra loro, in quanto il primo esprime una valutazione teleologica del reato, apprezzabile ex ante, cioè al momento della commissione del fatto e secondo un metro di giudizio marcatamente soggettivo; il secondo ha, invece, una connotazione essenzialmente oggettiva, come tale valutabile ex post, sulla base degli effetti concretamente derivati dalla realizzazione dell’illecito (…)”.

Sul punto, inoltre, ricorda la Corte che “per non svuotare di contenuto la previsione normativa che ha inserito nel novero di quelli che fondano una responsabilità dell’ente anche i reati colposi, posti in essere in violazione della normativa antinfortunistica (…), la giurisprudenza ha elaborato un criterio di compatibilità, affermando in via interpretativa che i criteri di imputazione oggettiva di che trattasi vanno riferiti alla condotta del soggetto agente e non all’evento, coerentemente alla diversa conformazione dell’illecito, essendo possibile che l’agente violi consapevolmente la cautela, o addirittura preveda l’evento che ne può derivare, pur senza volerlo, per rispondere a istanze funzionali a strategie dell’ente (…). Si è così salvaguardato il principio di colpevolezza, con la previsione della sanzione del soggetto meta-individuale che si è giovato della violazione (…)”.

In concreto, “la casistica ha offerto, poi, alla giurisprudenza di legittimità l’occasione per calibrare, di volta in volta, il significato dei due concetti alternativamente espressivi del criterio d’imputazione oggettiva di cui si discute: si è così affermato, per esempio, che esso può essere ravvisato nel risparmio di risorse economiche conseguente alla mancata predisposizione dei procedimenti e dei presidi di sicurezza; nell’incremento economico conseguente all’incremento della produttività non ostacolata dal rispetto della normativa prevenzionale (…); nel risparmio sui costi di consulenza, sugli interventi strumentali, sulle attività di formazione e informazione del personale (…); o, ancora, nella velocizzazione degli interventi di manutenzione e di risparmio sul materiale”.

Sotto altro profilo, “la sistematicità della violazione non rileva quale elemento della fattispecie tipica dell’illecito dell’ente: l’art. 25-septíes cit. non richiede la natura sistematica delle violazioni alla normativa antinfortunistica per la configurabilità della responsabilità dell’ente derivante dai reati colposi ivi contemplati. Tale connotato, inoltre, non è imposto dalla necessità, sopra già tratteggiata, di rinvenire un collegamento tra l’azione umana e la responsabilità dell’ente che renda questa compatibile con il principio di colpevolezza e consenta, quindi, di escludere correttamente dal novero delle condotte a tal fine rilevanti quelle sì sostenute da coscienza e volontà, ma non anche dall’elemento della “intenzionalità”, come sopra definita (…).

Infatti, “se il criterio di imputazione di cui si discute ha lo scopo di assicurare che l’ente non risponda in virtù del mero rapporto di immedesimazione organica, assicurando che la persona fisica abbia agito nel suo interesse e non solo approfittando della posizione in esso ricoperta, è eccentrico rispetto allo spirito della legge ritenere irrilevanti tutte quelle condotte, pur sorrette dalla intenzionalità, ma, in quanto episodiche e occasionali, non espressive di una politica aziendale di sistematica violazione delle regole cautelari”.

Redazione Giurisprudenza Penale

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