La Cassazione sul pericolo di reiterazione del reato contestato al pubblico ufficiale in caso di dimissioni dall’incarico.
[a cura di Lorenzo Roccatagliata]
Cass. pen., Sez. VI, Sent. 26 ottobre 2020 (ud. 29 settembre 2020), n. 29684
Presidente Fidelbo, Relatore Bassi
Con la sentenza in epigrafe, la Sezione sesta della Corte di cassazione si è pronunciata in tema di esigenze cautelari, con specifico riferimento al pericolo di reiterazione del reato.
Ad uno degli indagati ricorrenti, membro di una giunta regionale e vice segretario regionale di un partito politico, era stata applicata la misura del divieto di dimora in relazione ad una contestazione di turbata degli incanti (art. 353 c.p.).
Con riguardo alle esigenze cautelari, il Giudice della cautela aveva stimato sussistente nell’attualità il pericolo di reiterazione criminosa in considerazione del potere decisorio dell’indagato, della tessitura di una fitta trama di relazioni sociali, della caratura politica e della personale capacità di imporre soluzioni difficilmente raggiungibili in una logica di libero dialogo politico, tali da rendere elevato il rischio di reiterazione criminosa nonostante la sospensione del ruolo politico rivestito all’epoca dei fatti dall’indagato.
In premessa, il Supremo Collegio ha rammentato come “con la legge 16 aprile 2015 n. 47, il legislatore abbia prescritto che, ai fini della sussistenza dell’esigenza di natura special preventiva, il pericolo non debba essere più soltanto ‘concreto’, ma anche ‘attuale’ al momento in cui si procede all’adozione della misura cautelare, e come non possa desumersi ‘dalla gravità del titolo di reato per il quale si procede’, in linea con i principi già peraltro reiteratamente espressi dalla giurisprudenza più rigorosa ed attenta alla salvaguardia del bene costituzionalmente garantito della libertà personale ante iudicium (…). Ne discende che la valutazione sul rischio di reiterazione criminosa non può atteggiarsi in termini di mera potenzialità del pericolo, in ipotesi desumibile da circostanze distanti nel tempo o dalla gravità del reato posto a base del titolo restrittivo, ma deve fondarsi su dati concreti ed oggettivi (cioè non meramente congetturali), attinenti al caso di specie, che rendano siffatta esigenza reale ed attuale, cioè effettiva nel momento in cui si procede all’applicazione della misura cautelare”.
Nella fattispecie, al contrario, la Corte ha ritenuto che “a tale cristallina indicazione normativa non si è adeguatamente conformato il Giudice del riesame là dove ha ancorato la sussistenza nell’attualità del pericolo di reiterazione criminosa a circostanze indubbiamente significative – quali il potere decisorio esplicato dall’indagato, la fitta rete di relazioni sociali, la caratura politica e la personale capacità di imporre soluzioni difficilmente raggiungibili in una logica di libero dialogo politico -, ma la cui rilevanza non è stata adeguatamente contestualizzata alla luce della decadenza del ricorrente dalla carica di Assessore della Giunta regionale (…) e delle dimissioni dal ruolo di vice segretario regionale del [partito di appartenenza, ndr]”.
In altri termini, ha proseguito la Corte, “il Collegio distrettuale ha omesso di tenere conto dell’insegnamento di questa Corte che, in diverse occasioni, ha avuto modo di chiarire che, in caso di dimissioni dall’incarico pubblico – sebbene non operi nessun automatismo – il giudice può ritenere persistenti le esigenze cautelari soltanto qualora evidenzi che l’agente mantiene una posizione soggettiva che gli consenta, pur nell’ambito di funzioni o incarichi pubblici diversi, di continuare a commettere condotte antigiuridiche aventi lo stesso rilievo ed offensive della stessa categoria di beni e valori di appartenenza del reato commesso (…). Il decidente è dunque tenuto ad una valutazione attenta del caso concreto ed all’adempimento di un adeguato onere motivazionale che dia conto dell’influenza personale del prevenuto indipendentemente dall’ufficio ricoperto e dunque della concretezza e dell’attualità del rischio di recidivanza (…)”.
In buona sostanza, nel caso di specie il Tribunale del riesame “avrebbe dunque dovuto indicare gli elementi specifici e le ragioni per le quali [l’indagato, ndr], pur decaduto dalla posizione di primazia politica che rendeva possibile o comunque favoriva il suo contributo alla realizzazione della condotta criminosa, possa essere ancora in grado di reiterare condotte offensive dei medesimi beni giuridici”.
Per queste ragioni, la Corte ha annullato l’ordinanza con rinvio in punto di esigenze cautelari, da rivalutare alla luce delle coordinate ermeneutiche più sopra richiamate.