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“Terra mia”: un disegno di legge da rivedere

in Giurisprudenza Penale Web, 2020, 11 – ISSN 2499-846X

di Enrico Di Fiorino e Cosimo Pacciolla

A cinque anni dall’introduzione della legge 68/2015 in materia di ecoreati, il disegno di legge denominato “Terra mia”, fortemente voluto dal Ministro dell’Ambiente Sergio Costa, si propone di innovare significativamente l’apparato sanzionatorio applicabile alla materia ambientale, attraverso un intervento che interessa – per quanto qui di interesse – il Testo Unico dell’Ambiente (d. lgs. 152/2006), il Codice Penale, il Codice Antimafia (d. lgs. 159/2011) e il d. lgs. 231/2001, che disciplina la responsabilità da reato degli enti.

Riprendendo le parole del suo promotore, il disegno di legge muoverebbe dalla volontà di “non di punire e basta, ma di dare innanzitutto la possibilità di rimediare. […] L’ambiente e lo sviluppo, la tutela del territorio e la produzione, vanno di pari passo” (Sergio Costa, 28 novembre 2020, Huffington Post Italia).

Vedremo che non è così: Terra mia, nei fatti, finisce per punire male, anzi malissimo, ponendo sullo stesso livello gli inquinatori di professione e le imprese che colposamente possono avere inquinato più degli altri (ossia di tutti coloro che – cittadini o imprenditori – producono emissioni, immissioni o scarichi entro i limiti consentiti). Né il disegno di legge è capace di raggiungere l’ulteriore dichiarato obiettivo, quello di implementare l’opzione rimediale, quale auspicabile alternativa alla soluzione punitiva “classica”, di prevenzione generale.

Come citare il contributo in una bibliografia:
E. Di Fiorino – C. Pacciolla, “Terra mia”: un disegno di legge da rivedere, in Giurisprudenza Penale Web, 2020, 11