ARTICOLIDIRITTO PENALE

La Cassazione sulla nozione di “violazione di legge” all’indomani della riforma dell’abuso di ufficio.

[a cura di Lorenzo Roccatagliata]

Cass. pen., Sez. VI, Sent. 12 novembre 2020 (ud. 17 settembre 2020), n. 31873
Presidente Mogini, Relatore Calvanese

Con la sentenza in epigrafe, la Corte di Cassazione, Sezione sesta, ha svolto alcune interessanti riflessioni sulla fattispecie di abuso di ufficio, la quale – come è noto – è stata recentemente oggetto di riforma. Infatti, il Decreto Legge 16 luglio 2020, n. 76, convertito dalla Legge 11 settembre 2020, n. 120, all’art. 323 c.p., primo comma, ha sostituito le parole “di norme di legge o di regolamento,” con quelle “di specifiche regole di condotta espressamente previste dalla legge o da atti aventi forza di legge e dalle quali non residuino margini di discrezionalità” (per il testo della novella, clicca qui; per un primo commento della riforma, si rimanda al contributo di Tullio Padovani, in questa Rivista, ivi).

Il primo aspetto di interesse riguarda l’elemento soggettivo. Ad avviso della Corte, “la prova del dolo intenzionale, che qualifica la fattispecie di cui all’articolo 323 cod. pen., prescinde (…) dall’accertamento dell’accordo collusivo con la persona che si intende favorire, potendo essere desunta anche dalla macroscopica illegittimità dell’atto, sempre che tale valutazione non discenda in modo apodittico e parziale dal comportamento ‘non jure’ dell’agente, ma risulti anche da elementi ulteriori concordemente dimostrativi dell’intento di conseguire un vantaggio patrimoniale o di cagionare un danno ingiusto”.

Il secondo aspetto riguarda, invece, la interpretazione della nozione diviolazione di legge” – che rende penalmente illecita la condotta anche ai sensi della novella – e la rilevanza della condotta consistita nel rilascio di un Permesso di costruire in violazione del piano regolatore comunale e degli altri strumenti urbanistici.

Sul punto, il Supremo Collegio ha rilevato che “come più volte affermato da questa Corte, il permesso di costruire, per essere legittimo, deve conformarsi – ai sensi dell’art. 12, comma 1, d.P.R. n. 380 del 2001 – ‘alle previsioni degli strumenti urbanistici, dei regolamenti edilizi e della disciplina urbanistico-edilizia vigente’. Dall’espresso rinvio della norma agli strumenti urbanistici discende che il titolo abilitativo edilizio rilasciato senza rispetto del piano regolatore e degli altri strumenti urbanistici integra, una ‘violazione di legge’, rilevante ai fini della configurabilità del reato di cui all’art. 323 cod. pen.”.

Seguendo questa elaborazione giurisprudenziale” ha quindi concluso la Corte “deve ribadirsi che i piani urbanistici non rientrano nella categoria dei regolamenti, come ritenuto da risalente e superato orientamento giurisprudenziale, che nel mutato quadro normativo escluderebbe la fattispecie di abuso in atti di ufficio, ma in quella degli atti amministrativi generali la cui violazione, in conformità dell’indirizzo ermeneutico consolidato, rappresenta solo il presupposto di fatto della violazione della normativa legale in materia urbanistica (art. 12 e 13 del d.P.R. n. 380 del 2001) (…), normativa a cui deve farsi riferimento, per ritenere concretata la ‘violazione di legge’, quale dato strutturale della fattispecie delittuosa ex art. 323 cod. pen. anche a seguito della modifica normativa”.

Da ultimo, ha rilevato il Collegio che “la normativa in questione integra inoltre l’ulteriore requisito richiesto dalla modifica normativa, in quanto si tratta di norme specifiche e per le quali non residuano margini di discrezionalità: l’art. 12 cit. detta i requisiti di legittimità del permesso a costruire e il successivo art 13 cit. detta la disciplina urbanistica che il dirigente del settore è tenuto a rispettare nel rilascio del permesso a costruire”.

Sulla base di tali riflessioni, la Corte ha ritenuto che la novella legislativa non fosse idonea ad incidere sulla penale rilevanza della condotta contestata nel caso di specie.

Redazione Giurisprudenza Penale

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