CONTRIBUTIDiritto Penitenziario

Ancora sul rapporto tra permessi premio e sentenza costituzionale n. 253 del 2019: si al riconoscimento di interesse per il giudizio ex art. 4-bis, comma 1-bis, o.p., ma con qualche incertezza ancora da eliminare.

in Giurisprudenza Penale Web, 2020, 11 – ISSN 2499-846X

Cassazione Penale, Sez. I, 22 settembre 2020 (ud. 22 giugno 2020), n. 26480
Presidente Di Tomassi, Relatore Saraceno

1. Si è avuta occasione di approfondire in questa Rivista il tema in esame dando contezza di quanto emerso in sede di commento e prima applicazione della sentenza costituzionale n. 253 del 2019 in rapporto alla richiesta di permesso premio (1).  In sintesi: rispetto al quesito della permanenza d’interesse per il condannato per delitto ostativo di cui all’elenco del comma 1 dell’art. 4-bis o.p. e non collaborante ad attivare in sede di richiesta di permesso premio un procedimento incidentale di verifica della sussistenza delle condizioni di c.d. impossibilità o inesigibilità-irrilevanza di utile collaborazione ai sensi del comma 1-bis della medesima disposizione, si è visto che all’iniziale risposta negativa da parte della giurisprudenza di legittimità (2) ha fatto immediatamente seguito nella medesima sede giudiziaria un repentino cambio di rotta nella direzione più favorevole ai condannati (3).

2. La sentenza che qui si annota (4), pur nel quadro di una decisione di inammissibilità del ricorso, è una di quelle più recenti decisioni che con esplicita motivazione rimarca il consolidamento dell’opzione interpretativa di più ampio respiro, sebbene alcune di queste impongano per rigore alcune puntualizzazioni.

In linea con il principio delineato dalla prima delle decisioni di legittimità che hanno invertito l’originario trend interpretativo negativo, la decisione in commento ribadisce in maniera netta che «la decisione della Corte costituzionale non ha investito le disposizioni in tema di collaborazione impossibile o inesigibile, non eliminate e tuttora dotate di concreta portata precettiva ed utilità, in quanto l’accertamento in positivo della impossibilità o inesigibilità della collaborazione qualifica la scelta del condannato di astensione dal fornire informazioni alla autorità giudiziaria in termini univoci e non connotati da alcun minimo disvalore, restando l’ambito delle indagini, demandate alla giurisdizione di sorveglianza, circoscritto al solo parametro di esclusione dell’attualità di collegamenti con la criminalità organizzata»; la sentenza conclude sul punto ribadendo «l’inalterata utilità dell’istituto [della collaborazione impossibile] rispetto al quale il novum contenuto nella decisione n. 253 del 2019 è assente».

A dispetto, quindi, dell’iniziale opzione negativa incline a negare un qualsiasi interesse giuridicamente apprezzabile, il più recente orientamento sembra invece configurarne addirittura due: da un lato quello a dimostrare che il silenzio serbato sui fatti delittuosi a lui definitivamente ascritti non può essere connotato “da alcun minimo disvalore”, ed in specie non sia espressione del mantenimento di collegamenti criminosi; dall’altro lato a far sì che, in caso di esito positivo del giudizio di accertamento, la successiva verifica in tema di collegamenti con la criminalità organizzata sia limitata alla sola recisione di quelli passati e null’altro. Per entrambi i profili si tratta, in buona sostanza, della piena condivisione delle prime osservazioni di commento proposte nell’immediatezza della pubblicazione della sentenza costituzionale n. 253 del 2019 (5).

La tendenza sembra quindi consolidarsi, tant’è che aperture in tal senso si registrano anche nella giurisprudenza di merito con provvedimenti che da un lato ribadiscono l’interesse del condannato «ad una pronuncia sull’istanza di accertamento in via incidentale delle condizioni per una dichiarazione di impossibilità e/o inesigibilità di una collaborazione con la giustizia, chiedendo quindi sostanzialmente di essere posto nella condizione di poter giustificare la sua mancata collaborazione, altrimenti ritenuta sintomatica della volontà di mantenimento dei collegamenti con la criminalità organizzata» (6); e dall’altro quello «all’accertamento della collaborazione impossibile o inesigibile in considerazione del fatto che in questo caso il condannato verrà ammesso all’esperienza premiale previa acquisizione di elementi tali da escludere collegamenti con la criminalità organizzata laddove, in ipotesi di silenzio del condannato che potrebbe collaborare, a seguito della pronuncia della Corte Costituzionale si rende necessaria anche l’acquisizione di ulteriori elementi tali da escludere il pericolo di un ripristino dei collegamenti… con regime probatorio rafforzato a carico del condannato» (7).

3. Il quadro interpretativo sopra delineato sembra però ancora presentare alcune imperfezioni proprio nella sede di legittimità, che a ben vedere parrebbero ascriversi a semplici sviste; o almeno così si spera.

Se, infatti, come già detto, a seguito del positivo giudizio ex art. 4-bis, comma 1-bis, o.p. dinanzi al tribunale di sorveglianza, la sentenza qui in commento, al pari di molte altre, ribadisce che il successivo giudizio dell’organo monocratico in tema di collegamenti criminosi deve rimanere «circoscritto al solo parametro di esclusione dell’attualità di collegamenti con la criminalità organizzata», s’impone di dare conto del fatto che due decisioni di legittimità coeve, pur ribadendo apertamente la medesima persistenza di interesse del condannato, affermano però che in analoga situazione il successivo giudizio dell’organo monocratico in tema di collegamenti criminosi deve rimanere «circoscritto al solo parametro di esclusione dell’attualità di collegamenti con la criminalità organizzata e del pericolo di un loro ripristino (Sez. 1, n. 10551 del 12/12/2019, dep. 23/03/2020, Galati, Rv. 278490)» (8); laddove, appunto, il riferimento al “pericolo di ripristino” sembra un eccesso.

A ben vedere, però, la lettura isolata di tali decisioni, o financo meno correttamente solo di tale isolato inciso, potrebbe portare a valutazioni fuorvianti poiché quanto affermato in tema di pericolo di ripristino di collegamenti contrasta in generale con l’impostazione interpretativa di base incline al riconoscimento di interesse che entrambe le decisioni apertamente riconoscono, e financo con il precedente che ha segnato il favorevole cambiamento interpretativo in seno alla giurisprudenza di legittimità che entrambe le decisioni espressamente citano (9).

Del resto, se è vero «che la decisione della Corte costituzionale non ha investito le disposizioni in tema di collaborazione impossibile o inesigibile, non eliminate e tuttora dotate di concreta portata precettiva ed utilità», conseguentemente, come correttamente osservato (10), la stessa sentenza costituzionale non può aver reso deteriore la condizione del condannato che versi in una situazione di impossibilità o inesigibilità di utile collaborazione con la giustizia – che è sì un non collaborante, ma non per sua scelta – il quale mantiene quindi integro a suo carico l’onere di specifica allegazione degli opportuni elementi a sostegno dell’assunto della ricorrenza di situazioni di impossibilità o inesigibilità della collaborazione (dinanzi al tribunale), e degli elementi  che ineriscono alla non attualità dei collegamenti (dinanzi al magistrato), ma non del pericolo di un loro ripristino secondo il canone di “prova rafforzata” delineato dalla decisione costituzionale, onere che invece è addossato alla diversa figura del non collaborante per sua scelta.

4. Infine, un ultimo tema non toccato dalla decisione in commento ma declinazione del precedente.

Come detto, «la decisione della Corte costituzionale non ha investito le disposizioni in tema di collaborazione impossibile o inesigibile, non eliminate e tuttora dotate di concreta portata precettiva ed utilità», ragione per cui dette disposizioni continuano quindi – si passi l’espressione – a vivere di vita propria secondo i canoni interpretativi già consolidatisi nel tempo e dunque immuni al novum introdotto dalla sentenza costituzionale n. 253 del 2019.

Può ragionevolmente sostenersi, pertanto, che il più volte evocato “onere probatorio rafforzato” configurato da tale decisione (11) sia criterio di prova e di giudizio che riguardi solo la figura del non collaborante per sua scelta che intraprenda la nuova strada delineata dalla sentenza proponendo di superare la preclusione prevista dall’art. 4-bis, comma 1, o.p. attraverso la dimostrazione della recisione di collegamenti passati e l’assenza di pericolo di ripristino di quelli futuri. Al contrario, nessun “onere probatorio rafforzato” circa la dimostrazione della (sola) insussistenza dei collegamenti passati può prevedersi per il non collaborante per impossibilità o inesigibilità a carico del quale resta configurabile il tradizionale onere di allegazione, con possibile utilizzo del criterio della c.d. prova positiva contraria non da rapportarsi però alla più elevata rigidità valutativa delineata dalla decisione costituzionale.

Si consideri, infatti, che se è pur vero che la dimostrazione della insussistenza di collegamenti criminosi passati sia stata giustamente definita «diabolica [poiché] dare la prova che qualcosa non esiste è certamente compito estremamente gravoso» (12), deve però osservarsi che i criteri interpretativi ante sentenza costituzionale n. 253 del 2019 non erano invero attestati su quella più elevata rigidità valutativa che al contrario sembra oggi essere fortemente patrocinata da quest’ultima decisione. Devesi ricordare, infatti, che sebbene le storiche sentenze costituzionali n. 306 del 1993, n. 357 del 1994 e n. 68 del 1995 – in linea con la previsione dell’art. 4-bis, comma 1, o. p. nella versione derivante dall’intervento della legge di conversione del 07.08.1992, n. 356 e rispetto alla primigenia modifica introdotta con l’art. 15, comma 1, del decreto legge 08.06.1992, n. 306 (13) – contenessero tutte espressa indicazione della necessità di una esclusione di contatti criminosi probatoriamente caratterizzata da un canone di “certezza” (14), il legislatore del 2002 (15), nel riprodurre nel corpo dell’art. 4-bis o.p. le rationes decidendi sviluppate in quelle decisioni, escluse con una scelta poi riconfermata con la riforma del 2009 (16) qualsiasi riferimento a detto criterio di valutazione. Secondo l’odierna formula normativa del comma 1-bis dell’art. 4-bis o.p. la recisione dei collegamenti deve essere apprezzata senza alcun riferimento alla “certezza” posto che, come da sempre ragionevolmente sostenuto (17), qualsiasi valutazione in argomento non potrà che raggiungere al massimo un apprezzabile grado di probabilità sotto il profilo soggettivo e mai la certezza sotto il profilo strettamente oggettivo. Ciò, quindi, ha sempre legittimato il ricorso alla sopra evocata prova positiva contraria (18), cioè a dire quella dimostrazione articolata sull’accertamento di fatti e circostanze positivamente accertate di natura soggettiva ed oggettiva che considerate nel loro complesso non possono che far logicamente ritenere escluso su un piano probabilistico e non appunto di certezza il fatto contrario, cioè a dire l’esistenza di collegamenti con sodalizi criminosi (19).

E tale assetto interpretativo, valido per il non collaboratore per impossibilità o inesigibilità, deve ritenersi immune rispetto alla configurazione del più elevato standard probatorio introdotto dalla sentenza costituzionale n. 253 del 2019 per il non collaboratore “per scelta”, comportando la novità introdotta, come forse non a caso sottolineato dalla giurisprudenza, una «diversità parziale delle regole dimostrative della assenza di pericolosità» (20).


(1) V., volendo, RICCI, Riflessioni sull’interesse del condannato per delitto ostativo e non collaborante, all’accertamento di impossibilità di utile collaborazione con la giustizia ex art. 4-bis, comma 1-bis, o.p. a seguito della sentenza della Corte Costituzionale n. 253 del 2019, in Giur. Pen. Web, 2020, 1; ID., “Collaborazioneimpossibile” e permessi premio: le prime risposte della giurisprudenza di legittimità post sentenza Corte Costituzionale n. 253 del 2019, in Giur Pen. Web, 2020, 5
(2) Si tratta di Cass. Pen., Sez. I, 10.12.2019, ric. Trigila; Sez. I, n. 1636 del 13.12.2019, ric. Marrone; Sez. I, n. 3314 del 14.01.2020, ric. Mariotti; n. 3313 del 14.01.2020, ric. P.G. L’Aquila c. Castaldo; n. 3311 del 14.01.2020, ric. Papalia; n. 3310 del 14.01.2020, ric. Longo; n. 3309 del 14.01.2020, ric. Spampinato; n. 3308 del 14.01.2020, ric. Longo; n. 3307 del 14.01.2020, ric. P.G. L’Aquila in c. Pullara (tutte pubblicate il 27.01.2020).
(3) L’inversione interpretativa si deve a Cass. Pen., Sez. I, n. 10551 del 12.12.2019, ric. Galati, e Sez. I, n. 5553 del 14.02.2020, ric. Grasso; l’orientamento si è poi consolidato con   Sez. I, n. 3284 del 27.11.2020, ric. Mariano; Sez. V, n. 5108 del 23.01.2020, ric. P.G. L’Aquila c. Di Stefano; Sez. V, n. 4773 del 19.12.2019, ric. Mondella; Sez. I, n. 18865 del 25.05.2020, De Gennaro; Sez. I, n. 18866 del 25.05.2020, ric. Leone; Sez. I, n. 29142 del 22.06.2020, ric. Serio; Sez. I, n. 31017 del 24.09.2020, ric. Rotondale; Sez. I, n. 31025 del 24.09.2020, ric. Vergelli; Sez. I, n. 29151 del 24.09.2020, ric. Maccarrone; Sez. I, n. 29141 del 22.06.2020, ric. Staiti; Sez. I, n. 29140 del 22.06.2020, ric. D’Iorio.
(4) Si tratta di Cass. Pen., Sez. I, n. 26480 del 22.06.2020, ric. Cotena; in particolare v. par. 2.1. del “ritenuto in fatto” e 1.2. e 2 del “considerato in diritto”.
(5) Per entrambi i temi valga il rinvio a BORTOLATO, Il futuro rientro nella società non può essere negato a chi non collabora, ma la strada è ancora lunga. Brevi riflessioni sulla sentenza 253/2019 della Corte Costituzionale, in Dir. Pen. e Proc., 2020; RICCI, Riflessioni sull’interesse del condannato, cit.   
(6) E’ quanto affermato da Trib. Sorv. L’Aquila, ord. 30.06.2020, C. (inedita).
(7) In tal senso Uff. Sorv. Padova, decr. 25.09.2020, D.L. (inedita).
(8) L’inciso è tratto da Cass. Pen., Sez. I, n. 29140 del 22.06.2020, ric. D’Iorio e lo si riscontra anche in Sez. I, n. 29141 del 22.06.2020, ric. Staiti.
(9) In effetti nelle motivazioni delle decisioni si cita espressamente come precedente di riferimento la sentenza Cass. Pen., Sez. I, n. 10551 del 12.12.2019, ric. Galati, capofila dell’orientamento indicato a nota n. 3.
(10) E’ l’autorevole opinione di BORTOLATO, Il futuro rientro nella società, cit.
(11) Il riferimento è al noto par. 9 della sentenza costituzionale n. 253 del 2019.
(12) Così, con efficacia, già nell’immediatezza dell’entrata in vigore della norma, IOVINO, Osservazioni sulla recente riforma dell’ordinamento penitenziario, in Cass. Pen., 1993, 1257.
(13) In effetti, in tale versione della disposizione, con riferimento alla fattispecie di collaborazione c.d. “irrilevante”, espressamente si leggeva: «purché siano stati acquisiti elementi tali da escludere in maniera certa l’attualità dei collegamenti con la criminalità organizzata»; per una puntuale ricostruzione ed analisi dei rapporti tra il d.l. n. 306/92 e la successiva legge di conversione n. 356/92 valga ancora oggi, per tutti, l’analisi di GUAZZALOCA-PAVARINI, L’esecuzione penitenziaria, Torino, 1995, 338.
(14) Si legge in Corte Cost., 19 luglio 1994, n. 357: «sempre che siano stati acquisiti elementi tali da escludere in maniera certa l’attualità di collegamenti con la criminalità organizzata»; analogamente, Corte Cost., 22 febbraio 1995, n. 68: «ferma restando, peraltro, la necessità che siano stati acquisiti elementi tali da escludere in maniera certa l’attualità dei collegamenti con la criminalità organizzata».
(15) Il riferimento, giova ricordare, è alla l. 23 dicembre 2002, n. 11, recante norme in materia di trattamento penitenziario, con le quali sono state tradotte in espresse formule normative le soluzioni imposte dalle sentenze Corte Cost. n. 357 del 1994 e n. 68 del 1995.
(16) Il riferimento qui è alla legge 23.04.2009, n. 38 di conversione in legge, con modificazioni, del d.l. 23.02.2009, n. 11, recante misure urgenti in materia di sicurezza pubblica e di contrasto alla violenza sessuale.
(17) In tal senso, tutt’oggi condivisibile, già in sede di primo commento alla riforma, v. PETRINI, Commento alla legge 23.12.2002, n. 279,  in Leg. Pen., 235.
(18) L’espressione è di IOVINO, Osservazioni sulla recente riforma, cit., 1262, le cui puntuali osservazioni in relazione alla formulazione originaria del 1993, sotto tutt’ora valide e riproponibili.
(19) Se ne ritrova traccia anche nella giurisprudenza di legittimità: «elementi tali da escludere l’attualità dei collegamenti con la criminalità organizzata che ben possono essere riconducibili ad elementi incompatibili con la permanenza di collegamenti», così Cass. Pen., Sez. Fer., n. 34746 del 15.09.2011, ric. C.F.
(20) Così Cass. Pen., Sez. I, n. 31017 del 24.09.2020, ric. Rotondale; analogamente, Sez. I, n. 31025 del 24.09.2020, ric. Vergelli.

Come citare il contributo in una bibliografia:
A. Ricci, Ancora sul rapporto tra permessi premio e sentenza costituzionale n. 253 del 2019: si al riconoscimento di interesse per il giudizio ex art. 4-bis, comma 1-bis, o.p., ma con qualche incertezza ancora da eliminare, in Giurisprudenza Penale Web, 2020, 11