ARTICOLIDIRITTO PENALE

La Cassazione chiarisce la portata della riforma dell’abuso di ufficio, rilevandone l’ininfluenza sulla fattispecie di abuso per omessa astensione.

[a cura di Lorenzo Roccatagliata]

Cass. pen., Sez. fer., Sent. 17 novembre 2020 (ud. 25 agosto 2020), n. 32174
Presidente Lapalorcia, Relatore Amoroso

Con la sentenza in epigrafe, la Corte di Cassazione, Sezione feriale, si è pronunciata in merito alla nuova formulazione della fattispecie di abuso di ufficio ad opera del Decreto Legge 16 luglio 2020, n. 76, poi convertito dalla Legge 11 settembre 2020, n. 120, il quale all’art. 323 c.p., primo comma, ha sostituito le parole “di norme di legge o di regolamento,” con quelle “di specifiche regole di condotta espressamente previste dalla legge o da atti aventi forza di legge e dalle quali non residuino margini di discrezionalità” (per il testo della novella, clicca qui; per un primo commento della riforma, si rimanda al contributo di Tullio Padovani, in questa Rivista, ivi).

In particolare, la Corte ha rilevato che la riforma non ha inciso sulla seconda condotta punita dalla norma, la quale è rimasta invariata, vale a dire quella del pubblico ufficiale o dell’incaricato di pubblico servizio che, omettendo di astenersi in presenza di un interesse proprio o di un prossimo congiunto o negli altri casi prescritti, intenzionalmente procura a sé o ad altri un ingiusto vantaggio patrimoniale ovvero arreca ad altri un danno ingiusto.

Si riporta di seguito il ragionamento della Corte sul punto.

“(…) deve farsi un breve cenno alla modifica normativa dell’art. 323 cod. pen. introdotta di recente dal d.l. 16 luglio 2020, n. 76, (…) unicamente e solo per quanto serve ad evidenziarne la totale ininfluenza rispetto al caso qui in decisione (…).

Si tratta di una modifica che investe solo uno dei due segmenti di condotta che sono considerati rilevanti ai fini dell’integrazione del delitto di abuso d’ufficio che punisce con lo stesso trattamento sanzionatorio, accomunandone il relativo disvalore, sia la condotta del pubblico ufficiale o dell’incaricato di pubblico servizio che nello svolgimento delle funzioni o del servizio viola le norme di legge che ne disciplinano l’esercizio e sia quella, del medesimo soggetto qualificato, che ometta di astenersi in presenza di un interesse proprio o di un proprio congiunto o negli altri casi prescritti. 

Per effetto di tale modifica l’abuso di ufficio nella prima opzione, ovvero quello della violazione delle norme di legge che disciplinano lo svolgimento delle funzioni o del servizio, può essere ora integrato solo dalla violazione di ‘regole di condotta previste dalla legge o da atti aventi forza di legge’, cioè da fonti primarie, con esclusione dei regolamenti attuativi, e che abbiano, inoltre, un contenuto vincolante precettivo da cui non residui alcuna discrezionalità amministrativa. 

Ma siffatta modifica, seppure di grande impatto ove non dovessero intervenire ulteriori modifiche in sede di conversione, e sebbene medio tempore abbia notevolmente ristretto l’ambito di rilevanza penale del delitto di abuso d’ufficio con inevitabili effetti di favore applicabili retroattivamente ai sensi dell’art. 2, comma 2 cod. pen., non esplica alcun effetto con riguardo al segmento di condotta che, in via alternativa rispetto al genus della violazione di legge, riguarda esclusivamente e più specificamente l’inosservanza dell’obbligo di astensione, rispetto al quale la fonte normativa della violazione è da individuarsi nella stessa norma penale salvo che per il rinvio agli altri casi prescritti, rispetto ai quali non pare ugualmente pertinente la limitazione alle fonti primarie di legge, trattandosi della violazione di un precetto vincolante già descritto dalla norma penale, sia pure attraverso il rinvio, ma solo per i casi diversi dalla presenza di un interesse proprio o di un prossimo congiunto, ad altre fonti normative extra-penali che prescrivano lo stesso obbligo di astensione”.

Redazione Giurisprudenza Penale

Per qualsiasi informazione: redazione@giurisprudenzapenale.com