La Cassazione sul dolo dei reati di utilizzazione ed emissione di fatture per operazioni inesistenti.
[a cura di Lorenzo Roccatagliata]
Cass. pen., Sez. III, Sent. 24 novembre 2020 (ud. 18 settembre 2020), n. 32734
Presidente Andreazza, Relatore Gentili
Con la sentenza qui allegata, la Corte di cassazione, Sezione terza, si è pronunciata nell’ambito del procedimento cautelare penale relativo alle vicende di una nota squadra calcistica.
La pronuncia è di interesse in ragione dei principi giuridici enunciati con riguardo ai reati fiscali previsti agli articoli 2 e 8, d. lgs. n. 74/2000 (rispettivamente, utilizzazione ed emissione di fatture per operazioni inesistenti).
La imputazione provvisoriamente contestata all’indagato, connessa alla sua qualità di Presidente del Consiglio di amministrazione della società sportiva, riguardava (a.) la utilizzazione di fatture relative ad operazioni inesistenti nelle dichiarazioni fiscali presentate negli anni di imposta dal 2014 al 2018, (b.) la emissione nel corso dei medesimi anni di fatture aventi ad oggetto prestazioni inesistenti, (c.) la redazione di false comunicazioni sociali per avere indicato nei bilanci della società sportiva le plusvalenze rivenienti da alcune di tali operazioni inesistenti.
In particolare si contestava all’indagato, in concorso con alcuni dirigenti di altre società sportive, di avere fittiziamente acquistato e ceduto i diritti sulle prestazioni sportive di taluni giovani calciatori, apparentemente per importi molto elevati, al fine di realizzare utili fittizi, legati alla valorizzazione sportiva di costoro, tali da far apparire il conseguimento di cospicue plusvalenze da iscrivere in tal modo in bilancio.
Fra i motivi di ricorso avverso la cautela del divieto temporaneo di rivestire cariche direttive in persone giuridiche e di esercitare imprese, l’indagato aveva segnalato che la reciprocità delle operazioni commerciali indicate come fittizie (si parla a tal riguardo significativamente di “operazioni a specchio”), sarebbe stata tale da annullare qualsivoglia vantaggio fiscale e comunque avrebbe escluso il dolo specifico che deve caratterizzare i reati tributari contestati.
La Corte ha disatteso il motivo, argomentando che, “per un verso, ai fini della sussistenza dei reati fiscali contestati, non vi è la necessità che il fine di evasione delle imposte ovvero di consentire a terzi l’evasione di imposta – operazione questa nel primo caso riferita al dichiarante fraudolento e nell’altro al soggetto che si avvale delle fatture relative ad operazioni inesistenti compiacentemente emesse dal reo – sia né l’unico scopo perseguito dal soggetto agente né il principale, potendo esso concorrere, sebbene in ipotesi statisticamente marginali, con altre finalità – così come si verifica nel presente caso in cui la finalità principale perseguita dalle parti era, con tutta verosimiglianza, quella di compiere un’operazione di maquillage contabile onde far risultare delle apparenti plusvalenze, legate alla valorizzazione di giovani calciatori, da esporre di fronte agli Ispettori della Federazione Italiana Giuoco Calcio – e, per altro verso, che proprio la reciprocità del meccanismo delle fittizie cessioni consentiva ai soggetti che se ne giovavano di realizzare le plusvalenze, le quali diversamente sarebbero state foriere di imposizione tributaria, neutralizzandole sul medesimo piano fiscale con i costi connessi alle avvenute acquisizioni del diritto alle prestazioni sportive di altri calciatori”.